India – Kerala: il Festival degli Elefanti al Tempio di Ganesh.
Un’altra delle cose indimenticabili a vita che ho fatto grazie a Francis e Jacqueline è stato partecipare al Festival degli elefanti al Tempio di Ganesh.
Non potete capire cosa significhi letteralmente un “bagno di folla” se non vi è mai capitato di partecipare a un festival religioso importante come quello annuale per il locale tempio di Ganesh, la più giocosa divinità tra le centinaia a cui gli indiani sono devoti, quel dio con la testa di elefante e gli occhi che ridono, protettore dei bambini e della nostra anima fanciulla. Pertanto, il mio preferito!
Cinquantasei elefanti bardati a festa, abbigliati con stoffe sgargianti e scudi dorati cesellati e scintillanti (ma con le catene alle zampone, povere bestiole, sigh!) marcianti a gruppi di tre, ogni gruppo preceduto da una trentina di uomini (poco) abbigliati diversamente secondo la tribù d’appartenenza, ma tutti rullanti tamburi e tutti danzanti a ritmo di differenti danze tribali e, a chiudere la mastodontica processione, quindici carri allegorici giganti che ritraggono Shiva, Kalì, Vishnu, l’immancabile Ganesh, vacche sacre, e tante altre divinità, quasi tutte sanguinarie, con facce terrificanti e occhi iniettati di odio e spiritati, che per effetto di meccanismi ben nascosti dalle vesti sontuose dei pupazzi (i medesimi della fabbrica visitata pochi giorni prima), pugnalano nemici, sconfiggono arpie volanti, domano cinque tigri contemporaneamente, tagliano la testa a grossi serpenti, anch’essi in resina e di ottima fattura. Ma, soprattutto, la folla.
Avete presente la festa di San Gennaro a Napoli, quando il santo (o chi per lui) compie il miracolo e scioglie il sangue? Beh… moltiplicatela per mille e avrete un’idea. La gente, ragazzetti con tagli all’ultima moda, vecchi col tipico mudhu (telo annodato in vita), donne con principeschi sari, bambini, turisti, gruppi di ragazzotti che seguono gruppi di giovani amiche a scopo rimorchio, venditori di palloncini, zucchero filato rosa, gelati colorati, torce fluorescenti, intere famiglie con nonni anziani, zie grasse con nipotini in collo, il popolo indiano – tutto forse – era ovunque. Per la strada, in un’onda umana infinita, uno tsunami in cui non potevi fare altro se non seguire la corrente, a frotte sui tetti delle case e sporgenti dalle finestre, grappoli di persone a perdita d’occhio, come vigneti prima della vendemmia, sui terrazzi e pericolosamente attorno ai pachidermi, a mucchi sulla sommità di palazzi in costruzione.
Nel momento esatto in cui pensavo di diventare un chapati schiacciato tra la folla, i miei amici Francis e Jacqueline con cui ci tenevamo per mano come in cordata, hanno deviato su un piccolo spazio incredibilmente libero e siamo saliti su per delle scale sconnesse, dribblando grossi ferri arrugginiti (quelli zigrinati che sbucano dal cemento armato) e mattoni sbreccati, fino ad arrivare sulla sommità di un edificio, tra rifiuti e grosse insegne al neon ormai divelte e inutilizzate, dov’erano ammassate intere famiglie con i telefoni cellulari puntati e le nonne con la sedia portata da casa in prima fila, senza cornicioni, ringhiere né muretti di protezione.
Sotto di noi si svolgeva uno degli spettacoli più incredibili, esagerati, rumorosi, ridondanti e kitsch mai visti!
I poveri pazienti ubbidienti pachidermi facevano solo due cose: agitavano le orecchie, grandi come foglie di banano, e lasciavano cadere enormi “polpettoni” durante tutta la via crucis.
Lascio la “mia” casina sulla “mia” spiaggia e la famiglia che mi ha adottata e che ho adottato, con la promessa di tornare presto qui e con il giuramento solenne che loro verranno presto a trovarmi.
Saluto gli operosi pescatori che a ogni alba e a ogni tramonto partono con le loro barche, cuciono reti, disimpigliano conchiglie e pesci palla spinosi e ridono mettendoti allegria, saluto anche quei ladruncoli dei merli indiani, per cui non puoi lasciare un attimo un pezzo di pappalam incustodito che…gnam! sparisce in un battito d’ali… e mi avvio col tuc tuc del fratello di Francis verso Varkala, la più celebre località del Kerala, a metà tra Woodstock e Ibiza.
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