Pondicherry – Sono arrivata nell’ashram (comunità spirituale) di Aurobindo che, insieme alla deliziosa atmosfera Costa Azzurra sixitie’s style un po’ decadente, tipica di Pondicherry e a una sconfinata quanto brutta spiaggia di sabbia gialla su un mare color piombo, dove tutte le coppiette di indiani innamorati si scattano selfie, contribuisce a fare di Pondy (come affettuosamente viene chiamata dai più), una delle mete più visitate dell’India del Sud.

Finalmente il luogo ideale per respirare, riposarsi e raccogliere le idee, lasciandomi alle spalle il traffico, i clacson, gli scooter e i tuk tuk che fanno lo slalom tra macchine e pedoni, famiglie di mendicanti che fanno esibire in capriole bimbetti e bimbette scalze e truccate come piccole signorine, i mercanti, i friggitori di frittelle, gli affettatori di cocchi freschi e manghi, gli spremitori di melograni e di canne da zucchero, tutta la folla di turisti che fotografano, insomma tutto quel rumore di vita che pulsa frenetica.

Qui vige il silenzio totale e molte cose sono vietate: entrare con le scarpe, che vengono lasciate fuori in apposite nicchie custodite, usare macchine fotografiche e cellulari, fumare, correre, schiamazzare, entrare scollate o in abiti succinti.

Il silenzio è interrotto solo dal cinguettio degli uccelli. Mi siedo sotto un grande albero, scrivo, medito e osservo gli scoiattoli correre tra i rami e i fedeli che in silenzio ruotano lentamente attorno alla tomba dove da sessantotto anni riposa Aurobindo, cosparsa di ghirlande di fiori colorati, gialli e rossi soprattutto, che le donne intrecciano in silenzio.

Sentivo che era giusto rendere omaggio a Sri Aurobindo, nato a Calcutta nel 1872 col nome di Aravinda Ghose, poeta, scrittore, filosofo, maestro yoga che si distinse anche per il suo impegno politico in favore dell’indipendenza dell’India, considerato dai suoi discepoli un avatar, l’incarnazione dell’Assoluto. Quando poi si allontanò dalla vita pubblica per continuare il suo percorso spirituale in ritiro, il buon Aurobindo decise di affidare i suoi sadhaks, i discepoli che seguivano i suoi insegnamenti, a The Mother, La Madre, la sua controparte spirituale, nata Blanche Rachel Mirra Alfassa. Oggi l’ashram di Aurobindo non è soltanto un luogo di meditazione e preghiera, ma è anche il centro nevralgico di molte attività sociali e di beneficenza di Pondicherry, pasti per indigenti, servizi medici, aiuti pratici ed economici per la gente dei villaggi vicini.

Prima di raggiungere Auroville, una delle mete che mi ha spinto in questa (per adesso) estenuante avventura indiana, sentivo fortissimo il desiderio di andare a salutare Sri Aurobindo e ringraziarlo perché con i suoi meravigliosi insegnamenti e il suo esempio ha gettato i semi per la nascita della più incredibile città del mondo, fondata nel 1968, diciotto anni dopo la sua morte, dai suoi sadhaks.

Spiegare cos’è Auroville se non la si è vista ma, soprattutto, respirata, è molto difficile. Qui tutto è pace, armonia, gioia, Natura, energia, purezza. È la città ideale, una città universale, dove uomini e donne di ogni nazione, di ogni credo, di ogni tendenza politica possono vivere in pace e in armonia. Lo scopo di Auroville è quello di realizzare l’unità umana.

Matrimandir – Capodanno
(Immagine reperita sul Web)

Ci arrivo con un tuk tuk lasciando la provinciale trafficata e imboccando a destra, in campagna, inoltrandoci in una strada sterrata e polverosa e percorrendola per un bel pezzo, dove a destra e a sinistra, tra palme da cocco, ananas, alberi della gomma, giganteschi jack fruits, alberi di anacardi e le immancabili karol leaf (foglioline che vengono aggiunte a qualsivoglia indian food e che hanno un sapore particolare che non potrò mai dimenticare) si intravedono abitazioni contadine, tipici rivenditori di cibo da strada che già friggono, gente che vende frutta, mucche, capre, galline, bambinetti che giocano, cani, una scuola, donne eleganti nei loro sari colorati con ceste sul capo, panni stesi, un paio di scuolabus gialli che rientrano dopo aver accompagnato gli scolari, donne che stendono panni.

Sono molto impaziente, cerco di scorgere il celeberrimo Matrimandir, l’enorme globo d’oro, cuore pulsante di Auroville e catalizzatore di pace, come il capitano Achab cercava la sua balena bianca. Chiedo all’autista del tuk tuk che sorride e scuote la testa, come si fa quando qualcuno fa una domanda molto scema che non merita risposta.

Finalmente si ferma, mi saluta e mi lascia in un enorme parcheggio con la promessa che verrà a riprendermi tra otto ore.

Sono emozionata, perché sto per entrare nella città che vorrei, quella che tutti gli stati del mondo dovrebbero prendere come esempio. Auroville, la cosiddetta città dell’Aurora (l’aurora di un nuovo mondo e di una nuova civiltà basata sull’Amore) compie cinquant’anni quest’anno ed è patrimonio dell’Unesco. La popolazione internazionale che la abita ambisce a una vita senza denaro, governo, religione e urbanizzazione selvaggia e tutte le persone, i movimenti culturali e le organizzazioni che vogliono contribuire significativamente al progresso dell’umanità, possono fare richiesta di cittadinanza.

Auroville è il punto di riferimento per lo sviluppo ecosostenibile e l’innovazione sociale indiana e del mondo. La città è energeticamente autosufficiente grazie all’energia solare, è fondata sull’agricoltura biologica, il riciclaggio della quasi totalità dei materiali e la costruzione con tecniche di bioedilizia. Vanta un sistema educativo gratuito e senza voti (free progress) e si struttura sulla proprietà collettiva, senza leggi o forze dell’ordine, coltiva l’arte spontanea, la quiete e la meditazione.

Oggi Auroville ospita circa duemilacinquecento residenti permanenti provenienti da quarantacinque diverse nazioni e circa cinquemila visitatori, di cui la maggior parte turisti o volontari stranieri alla ricerca di un’esperienza di vita migliore di quella frenetica a cui siamo drammaticamente assuefatti. Il 45% della popolazione è indiana, mentre i centoventiquattro italiani presenti fanno dell’Italia la quarta nazione più rappresentata dopo l’India, la Francia e la Germania. Per divenire residenti permanenti, è richiesto ai nuovi arrivati di contribuire attivamente alla comunità per almeno due anni, senza mai allontanarsi. Un comitato analizza poi le richieste di residenza e a ogni nuovo cittadino viene richiesto come prima cosa di piantare un albero. Dalla sua fondazione a oggi, Auroville ha dato vita a una foresta in mezzo al deserto, tre chilometri di diametro di terra rossa che oggi sono lussureggianti di verde, dove sono presenti più di centocinquanta piccole imprese e start up che, anche grazie all’interculturalità di Auroville, danno vita a progetti agricoli, artigianali, multimediali, culturali e persino legati all’industria del software e delle traduzioni.

I residenti non pagano i beni di prima necessità, frutta, verdura, legumi, chapati di cui si approvvigionano nelle mense, nel piccolo supermercato o nei deliziosi ristorantini, dove viene servita l’acqua filtrata e quindi bevibile senza problemi (in tutto il resto dell’India sono stata attentissima a bere soltanto acqua in bottiglia sigillata, con cui mi lavavo persino i denti), ma versano una cifra fissa dalla loro maintenance, una sorta di stipendio uguale per tutti coloro che ne hanno bisogno e svolgono un servizio per Auroville. Chi se lo può permettere offre i propri servizi gratuitamente o con un compenso inferiore, e tutti contribuiscono al progresso e al mantenimento della città.

Nelle accoglienti boutique della città di Auroville, tutti gli abiti, le scarpe, le borse, gli accessori, nonché the, cosmetici, olii da massaggio, cibi e infusi tutti rigorosamente bio e ayurvedici, sono prodotti in loco. Acquistando una sciarpa, un pareo o una gonna, si sovvenziona la comunità delle donne che tessono, colorano, tagliano e cuciono le stoffe di cui è fatto quello che state acquistando. Stessa cosa dicasi per ogni confezione di the, barattolo di marmellata o bevanda di frutta (tutti gli alimenti sono prodotti da agricoltura biologica, cosa pressoché impossibile in quasi tutta l’India) nei negozi allestiti con cura ed eleganza internazionale. In uno degli ampi, pulitissimi e accoglienti punti ristoro di Auroville ho gustato forse il pranzo migliore di tutto il mio viaggio, con un delizioso gelato (non mi sembra vero… mi sto godendo un gelato senza la paura di dover correre in bagno!) per un conto ridicolo.

Immagine reperita nel web

Poco più avanti ci sono un museo e una libreria che non sfigurerebbero in nessuna capitale europea e nel modernissimo auditorium mi fermo per vedere e ascoltare cosa rappresenta quello che è il cuore di Auroville, ovvero il Matrimandir, il golden globe, una gigantesca costruzione sferica fatta di tanti dischi dorati grandi e più piccoli, che racchiude dodici camere in cui si può meditare per quindici minuti al massimo, per lasciare spazio alla persona che segue, con la musica di sottofondo di una sorgente d’acqua, simbolo di vita (io lo interpreto come la rappresentazione del mondo, composto da tanti individui che formano un tutto). La ragazza olandese con cui faccio colazione irradia serenità e sembra avere una luce particolare negli occhi e nel sorriso. Mi spiega che meditare lì dentro è un’esperienza meravigliosa. Ognuna delle dodici camere rappresenta una qualità (fede, temperanza, pazienza ecc.) e prende il nome di un fiore che ne è il simbolo.

Auroville e il suo centro, il Matrimandir, sono nati per costruire il nuovo mondo di pace. Per poter farne parte è necessario abbandonare ogni religione, passata, presente e futura, per entrare puri e senza preconcetti, spiega la voce de La Madre nel video che viene proiettato in continuazione ogni trenta minuti per i nuovi visitatori che non finiscono mai di arrivare.

Quella di Aurobindo non è una religione, bensì la dimostrazione reale che un mondo autogestito, dove la cooperazione, la pace e la non violenza, dove gente di ogni colore e credenze, può lavorare per un bene comune, è assolutamente possibile.

Non vedo l’ora di entrare nel Matrimandir per iniziare il mio percorso meditativo e chiedo a una delle numerose addette che ha un bellissimo sari verde e oro, qual è la procedura per accedervi.

Quando vuole andare? Mi chiede gentile. Subito, ora! Rispondo gasatissima. La signora sorride comprensiva e mi spiega che la meditazione andava prenotata prima e per i prossimi tre giorni non sarà possibile in nessun orario perché tutte le camere di meditazione sono già prenotate a tutte le ore. Insisto, ci provo, dico che io ho solo oggi perché poi ho un treno che mi porterà da un’altra parte e che mi è impossibile fermarmi, che ho fatto un lungo viaggio dall’Italia per poter entrare nel golden globe (che poi è pure la verità), ma mentre mi accorgo di quanto sono occidentale con la mia stupida insistenza, con un sorriso determinato la signora mi garantisce che non c’è proprio nulla da fare, dovrò ritornare.

Dovrei essere delusa e arrabbiata con me stessa per non essermi informata prima, invece la prendo come un segno: non sono ancora pronta, questo è il messaggio, penso.

E allora mi incammino per i tre chilometri di strada di terra rossa che porta verso il luogo forse più luminoso del pianeta (e luminoso lo è anche per la luce esterna che emana, col sole che si riflette nell’oro di cui è rivestito), attraversando un paesaggio molto verde, con distese di prati verdissimi che sembrano campi da golf, alternati a boschi e radure, con fiori coloratissimi e curati, praticamente un eden. Il percorso è scandito da cartelli di legno dipinti a mano che spiegano tutte le qualità che dovrebbe possedere chi si accinge ad entrare nel Matrimandir, qualità possedute anche dal fiore che le rappresenta.

Poi, dopo aver scattato forse cinquecento foto e ormai madida di sudore per il caldo torrido, mi appare lontano, al centro di un immenso ventaglio di verde, protetto da scalinate e da una rete, lui, il Matrimandir, meta di tutti gli aspiranti illuminati di questo mondo. Cammino ancora un po’ fino ad arrivare stanca, sudatissima ma felice, sulla collinetta di fronte al globo dorato che tiene i turisti a debita distanza, ma accoglie chiunque voglia andare a meditare, ammesso che prenoti per tempo.

E lì, davanti a quella meraviglia, tra ragazzini che scattano foto in prospettiva per far sì che il luminoso golden globe appaia tra il pollice e l’indice della loro mano, tra coppiette che si baciano e scattano selfie, tra turisti che fanno scattare le loro macchine fotografiche e intere famiglie con nonne e pupi al seguito, mi siedo sotto il grande albero, guardo il centro della città perfetta che con la sua saggia imponenza mi appare anche il centro del mondo, e penso che sì, in questo momento non potrei desiderare altro. E mi sento in pace con l’universo.

Manuela Minelli, giornalista e scrittrice, ha collaborato a quotidiani quali Il Messaggero,  La Repubblica, Il Tempo, a settimanali e mensili con interviste a personaggi del mondo dello spettacolo internazionale, della politica e dello sport, con numerosi reportage di viaggi, pubblicando più di duemila articoli.

È direttore responsabile e video giornalista della tv web Hto.tv e direttore editoriale di Elisir Letterario-servizi editoriali per autori e libri.

Vive con cinque gatti e una bassotta ed è in prima linea nelle battaglie per la difesa dei diritti di tutti gli animali.

Siete curiosi di sapere come si vive ad Auroville? Leggetevi l’intervista con Luigi (Manhoar) Fedele, un signore di settant’anni, nato ad Ariano Irpino (AV), che da anni è cittadino di Auroville e cura il sito e la comunicazione della comunità.

https://www.voglioviverecosi.com/auroville-india-dallutopia-alla-realta-raccontata-da-un-italiano-che-ci-vive-da-sette-anni.html

 

https://www.auroville.org