La terza settimana mio marito è venuto a prendermi e insieme siamo andati a Edimburgo (Edinburgh in Englis, vi faccio notare la N prima della B… come esponente del clan dei dislessici una N prima di una B è una speranza).

Rientrare in seno alla famiglia mi ha reintrodotta gradualmente al pensiero articolato. Dallo stereotipo del personaggio delle grammatiche per stranieri sono diventata una turista. Ma non la turista bidimensionale delle guide. Una turista in quattro dimensioni. Piano piano si sono riaperte quelle aree della mente che erano state chiuse per ottimizzare le risorse.

Ho apprezzato il riaffiorare dell’uso complesso di un codice linguistico. Le sfumature di senso. Quella sottile differenza che c’è nell’usare un certo verbo scegliendo intenzionalmente la costruzione della frase tra diverse possibili. Ho sentito la marea delle parole alzarsi fino a trovare il livello giusto capace di esprime il mio pensiero, quello che mi rappresenta, quello che fa di me una persona diversa da quella incapace di soffrire o amare del tutto perchè incapace di cesellare il proprio pensiero.

The Royal Mile

EdiNburgo (licenza accordata?) è una città affascinante e inquietante al tempo. Per noi meridionali ha una luce lattiginosa e bianca molto diversa da quella a cui siamo abituati. E poi, scusate, assomiglia un po’ a Gotham City (quella di Batman): guglie di pietra annerite dai secoli, nuvole basse, cinquanta sfumature di grigio… e poi ponti, ponti dappertutto e non sui fiumi, ponti su altre strade.

Abbiamo avuto poco sole nei nostri giorni scozzesi e questo ha certamente contribuito a implementare l’atmosfera goth della città, nonostante questo la musica sempre presente per le strade, (per lo più si sentono le cornamuse) rende la città vibrante e movimentata senza trasmettere quel senso di iperattività tipico delle capitali occidentali.

La chicca assoluta riguardante il mio soggiorno a EdimburgHo (adesso lo scrivo come diavolo mi pare!) è che il nostro miniappartamento (un altro capolavoro di far star tutto in tre metri quadrati di area) era di fianco al cimitero, tenetevi forte!, di Greyfriars, il campo santo in cui si possono vedere le lapidi da cui J. K. Rowling ha tratto i nomi di alcuni dei personaggi di Harry Potter (Minerva McGonegall, per noi McGranitt, e Tom Riddle, lord Voldemort) e anche la lapide del famosissimo cagnolino Bobby che dopo la morte del suo padrone, per i successivi quattordici anni, si recò quotidianamente sulla di lui tomba.

    Lapidi delle tombe di Thomas Riddell e William McDonagall (Cimitero di GreyFriars)

Mi piacciono moltissimo i cimiteri inglesi. Le lapidi grigie spuntano dalla terra come radicchi, i prati sono curati e c’è quell’ordine disordinato dell’insieme che dà un tocco molto casual al tutto. Ogni lapide è diversa dall’altra, non sono armoniche tra loro né nella forma né nella distanza; le più vecchie sono storte, alcune sono chiare altre rossicce, ce ne sono alcune attaccate i muri delle case e altre sul muro di cinta, tutte sparse in una movimentata anarchia dell’aldilà.

The Elephant House
Qui nacque Harry Potter
(immagine dal web)

La Rowling evidentemente bazzicava il mio quartiere, che si stendeva su George IV Bridge, perché al numero 21 di suddetta via è situato anche il pub “The Elephant House” dove lei scrisse i primi capitoli della celeberrima saga di Harry Potter. Inutile precisare che il pub è perennemente gremito di gente.

Poco più sopra, verso il Royal Mile, si snoda dalla stessa George IV Bridge, una stradina secondaria che ha tutta l’aria di essere la zia di Diagon Alley. Come fan del mago bambino era abbastanza emozionata.

Holyrood Palace (ingresso)
Immagine reperita su Wikipedia

Ai due capi del Royal Mile ci sono le due residenze reali: il castello medievale arroccato sulla roccia da una parte e l’Holyrood Palace sul lato opposto.

La storia ha vibrato in entrambe le residenze: le battaglie sulla rocca, gli interessi diplomatici nella più signorile residenza di Holyrood.

Come certamente i più intuitivi di voi avranno indovinato, ho un debole per gli aspetti frivoli della vita e quindi nei miei peccati devo annoverare un interesse (spiccato? Sì) per la royal family. Pertanto, il fatto che Holyrood Palace sia la residenza scozzese di Elizabeth the Second, l’ha posta in cima ai miei interessi.

Le stanze aperte al pubblico sono numerose e ce ne sono un paio che Her Majesty usa davvero  (really) quando risiede a Edinburgh. Ecco, lì il mio cuore ha mancato un battito, come si legge ripetutamente nei romanzi rosa.

Molto suggestivo per me è stato anche vedere il luogo in cui Davide Rizzio fu assassinato dai complici del marito di Maria di Scozia il quale sospettava che Rizzio e Maria avessero un affaire. Nessuna guida e audioguida ha confermato o smentito il rumor in questione (anche Wikipedia sta sul vago). Non vi dico il livello della mia curiosità in proposito. (A distanza di quasi cinque secoli credo che avremmo diritto a sapere).

La capitale della Scozia è una città molto sicura, lo si percepisce in vari modi, quello più eclatante è che i bambini delle elementari girano in autobus da soli dopo la scuola. Li vedi nelle loro divise verso le tre del pomeriggio che aspettano il bus, in gruppo o da soli. Per me, da insegnante, è stato sorprendente considerato che dove vivo e insegno io non permettiamo ai bambini di allontanarsi da scuola senza essere accompagnati da un adulto delegato dai genitori o dai genitori stessi (sorvolo sulle considerazioni riguardo all’autonomia e alla conquista di piccole indipendenze…).

Due parole sul cibo, poi chiudo.

Christmas Pudding
http://www.cibo360.it/cucina/mondo/pudding.htm

In Inghilterra non si mangia male. Non è l’Italia, ovvio, ma è opportuno dire le cose come stanno. Ho una mia opinione personale sul mito che in Inghilterra non si mangi bene, credo che questa diceria sia fondata sul fatto che sulle isole britanniche manchi uno stile culinario riconoscibile, una sorta di logo o marchio che li collochi da qualche parte nella graduatoria mondiale delle cucine. Manca anche una tradizione culinaria casalinga, infatti nei supermercati è difficile comprare cibi freschi e si trova molta roba precotta o surgelata. Eppure nei miei tre soggiorni in UK io ho sempre vissuto in famiglie dove si cucinava spesso e bene. Katrina e David, i miei host di Bath, addirittura facevano il pane in casa.

Detesto quando i sociologi tracciano indentikit precisi dei popoli, è una forma un po’ coercitiva di analisi che, se per un verso ci azzecca, per un altro dipinge a tinte fasulle.

In ogni caso io gli inglesi li adoro perché quando penso di averli capiti, loro mi spiazzano facendo qualcosa di inaspettato.

Bar in una chiesa anglicana

La prima volta che ho visto un bar dentro una chiesa anglicana consacrata è stato l’anno scorso a Glastonbury e ho pensato che fossero i “glastonburesi” (glastonburini?) a essere particolarmente originali (c’è la storia del cespuglio di biancospino di Giuseppe d’Arimatea che da sola la dice lunga), ma quando ne ho trovato un altro a Bath dentro la chiesa di St. Michael, mi si è accesa la lampadina, così ho chiesto lumi al mio insegnante il quale mi ha detto che molte chiese, per mantenersi, hanno inaugurato questa iniziativa “ricreativa”… inside.

E così accanto al fonte battesimale trovi il bancone del bar, i tavolini, ottimi dolci, una vasta scelta di miscele di tea, gli orari delle messe e i turni di catechismo… per trascorrere un pomeriggio rilassante nel corpo e nello spirito.

Poteva mancare?

Guardando i miei giorni inglesi posso dire che hanno avuto una netta impronta linguistica, la lingua, del resto, è stato lo scopo che mi ha spinta a partire, una lingua che amo e che talvolta mi respinge, ma non mi offendo, la perdono e ricomincio da capo.

L’inglese, a differenza dell’italiano che ho conquistato con naturalezza dalla nascita (ma non senza fatica), è una lingua fast. Le parole di uso più comune sono spesso cortissime, è una lingua che si condensa in rapidissimi modi di dire: concetti che noi tenderemmo ad esprimere con lenta articolazione, in inglese sbocciano in tre parole.

Per un po’ le due velocità linguistiche hanno convissuto nella mia mente ed è stato bellissimo. Poi per un brevissimo attimo, alla fine dei giorni di Bath, l’inglese ha occupato più spazio dell’italiano e mi sono sentita appagata. Infine ho rivisto le persone che amo di più con le quali comunico in italiano e, come vi dicevo, la marea è salita, il pensiero complesso, ricco di dettagli, raffinato, s’è allargato nuovamente permeando ogni angolo del mio apparato cognitivo.

La lingua di Jane Austen è sempre lì, in disparte, più solida, più robusta, adatta ad ordinare, all’occorrenza, uno squisito cream tea.

Arrivederci. Il mio viaggio (per ora) termina qui.

La Pagina-Autore su Amazon di Rebecca Quasi

L’immagine di copertina è stata reperita nel web.