Il mio viaggio è cominciato il 6 agosto all’aeroporto di Bologna con una bomba della seconda guerra mondiale da disinnescare che ha fatto ritardare o annullare tutti i voli della giornata.
Non sono una feticista dei segni del destino, ma cominciare con una bomba nei pressi dell’aeroporto non penso si possa ascrivere alla categoria “iniziare sotto i migliori auspici”. In realtà a parte boccheggiare tutti pigiati, prima nell’area partenze dell’aeroporto e poi nella fusoliera del boing (perchè l’aria condizionata decolla insieme all’aereo), il viaggio non ha avuto altri infausti risvolti e con solo un’ora e mezza di ritardo sono atterrata a Bristol dove il mio driver, John, mi aspettava per condurmi presso la famiglia con cui avrei vissuto per due settimane.
Il primo impatto con la lingua indigena è stato, come sempre, una bella doccia fredda. Studiare inglese da zero alla tenera età di 41 anni (ora ne ho 46, ma ho cominciato cinque anni fa), comporta uno sforzo cognitivo abbastanza considerevole. La mente si ribella a certe violenze, anche se la curiosità e le emozioni sgomitano per avere la meglio.
John parlava accompagnando le sue frasi con risate. Generalmente apprezzo molto le persone che parlano e ridono parlando, mi comunicano allegria e positività, ma la risata su una lingua ostica stronca e limita la comprensione, per cui la mia prima mezz’ora nel Somerset è stata tutta un “Can you repeat, please?”.
Ad aspettarmi nella mia casa di Bath c’erano Katrina e David, la coppia che aveva accettato di ospitarmi. Mi sono sentita immediatamente a mio agio con loro, sulla soffice moquette del soggiorno abbiamo iniziato una easy conversazione basica di quelle che danno un bel colpo di spugna a tutte le masturbazioni cerebrali con le quali siamo solite complicarci inutilmente la vita.
Fatica cognitiva e pace intellettuale, il binomio delle mie vacanze. Questo è il mio Diario di Viaggio a Bath.
Arrivai a scuola un lunedì mattina fresco e ventoso (con una spruzzatina di pioggia, se non piove è consigliabile accertarsi di non aver sbagliato nazione). Dopo aver percorso a piedi mezz’ora di strada nel bellissimo centro di Bath, sfiorando il Royal Crescent e attraversando Queen Square, approdai infine nella minuscola casa georgiana che ospitava la mia scuola. I britannici sono dei maestri nell’ottimizzare gli spazi: dove noi vedremmo sì e no una cabina telefonica, loro fanno una sala congressi.
Le classi erano organizzate per livelli di conoscenze: più il livello della lingua era alto, più in basso si trovava fisicamente l’aula nel verticalissimo edificio della scuola. Se vi state ancora chiedendo quale sia il mio livello d’inglese, vi basti sapere che la mia aula era nel sottotetto, dalle finestre vedevo volare i gabbiani (giuro!) e potevo contare tutte le tegole delle case circostanti. Quindi non potevo che migliorare, perché più su di così non ci si poteva andare (dubito che nel Regno dei Cieli sia richiesta la seconda lingua). In realtà scoprii con orgoglio e sollievo che capivo quasi tutto quello che dovevo fare e potevo interagire attivamente con il mio insegnante e i compagni.
E così mi calai rapidamente nell’asettica modalità studentesca, quel limbo particolare che ti avvolge la mente e il cuore quando perdi temporaneamente gli strumenti introspettivi, perché si prova con profondità sempre, in qualunque condizione, ma solo un pensiero squisitamente articolato te ne restituisce la consapevolezza.
I pomeriggi dopo la scuola sono stati la parte più salottiera della mia vacanza. Innanzitutto bisogna rendersi conto che in Gran Bretagna vanno molto le tea rooms e i musei (in quest’ordine) per cui quando gli inglesi decidono di fare un museo (e vi garantisco che li sanno fare benissimo anche se dentro non hanno niente da metterci), partono dalla tea room. Tutti i musei hanno splendide tea room.
Dopo lezione io battezzavo quale museo visitare e, una volta espletata la parte culturale, mi piazzavo nella tea room, ordinavo il mio herbal tea e lo sorseggiavo con georgiana eleganza. Il massimo del lusso era cedere alla tentazione di ordinare il cream tea… io l’ho fatto una volta sola. E sono orgogliosissima del mio selfcontrol.
Il cream tea è un attentato alle coronarie e alla circolazione del sangue in generale. Dopo un cream tea il colesterolo schizza alle stelle e la glicemia sale a livelli tali che si rischia il coma, perché un cream tea degno di questo nome consiste in una dose variabile di tea o herbal tea (senza teina, ma non è lì problema), uno o due scones da farcire con marmellate assortite e clotted cream.
La clotted cream è una mousse a metà strada fra il burro e la panna montata. La sua bontà è direttamente proporzionale al danno permanente che infliggerà alla vostra salute.
Nei miei vagabondaggi culturali a Bath ho amato sopra ogni altra cosa la visita al Numero 1 di Royal Crescent e all’Assembly Room.
Il Numero 1 di Royal Crescent è la prima abitazione del famosissimo edificio semicircolare, il Royal Crescent appunto, progettato nel ‘700 dall’architetto John Wood. Attualmente la casa è un museo ed è stata restaurata per riprodurre fedelmente l’aspetto originario, mobili e suppellettili sono autentici.
Nonostante sia di modeste dimensioni, io ci ho passato un pomeriggio intero. In ogni stanza c’è un volontario che è a disposizione dei visitatori per spiegare la funzione della camera e rispondere alle domande. I volontari sono tutti pensionati che trasmettono un amore per la fettina di storia che custodiscono e tramandano, che di per sé è commovente. Mi sono intrattenuta con loro con grande piacere, erano pazienti e disponibili, hanno ripetuto per me tante volte le stesse informazioni.
L’incontro con il reality del quotidiano georgiano ha messo in luce ciò che nei romanzi rosa storici passa sotto silenzio a favore di quell’atmosfera meravigliosa che in cambio ci regalano.
L’igiene era da epidemie!
Lo sapevo che tutti quei secchi d’acqua calda che i domestici trascinano su e giù per le scale nei romanzi per rendere la pelle delle damigelle profumata e fresca, erano balle clamorose, ma l’impatto con la descrizione dettagliata delle dermatiti, delle condizioni dei bagni (che non esistevano, almeno non come li intendiamo noi), delle teste rasate (e vi risparmio altri dettagli estremamente imbarazzanti) ha leggermente modificato il senso di disappunto che ho sempre provato per essere nata nel 1971 e non due secoli prima.
L’Assembly Room è quell’Assembly Room che Jane Austen descrive in “Northanger Abbey” e solo per quello ci avrei piantato le tende e tanti saluti. Ma non è tutto lì. Nel seminterrato è allestito un percorso interattivo di storia del costume che raccoglie pezzi che vanno dal 1610 ai giorni nostri. Un tripudio di crinoline, corsetti, busti, abiti, sottane, sellini, tutti originali e descritti con quel gossip style nel quale gli inglesi sono maestri. Per rendere l’esperienza più reale c’è una stanza a metà del percorso in cui ci sono riproduzioni degli abiti esposti che i visitatori possono provare, il tutto corredato di cappelli e parrucche. L’abito che ho provato io pesava da solo almeno cinque chili, era di una scomodità pazzesca e naturalmente nessuna damigella sarebbe stata in grado di indossarlo senza l’aiuto di una cameriera.
Anche questi particolari hanno contribuito a ridimensionare notevolmente il mio desiderio di reincarnarmi indietro di un paio di secoli. Dopotutto le possibilità di incontrare un Mr. Darcy originale sarebbero state comunque scarsissime anche agli albori dell’800 e in più avrei dovuto vagabondare per il Regno Unito in condizioni igieniche discutibili, con abiti poco puliti e assai scomodi.
Il pepper mint tea sorseggiato all’Assembly Room ha decretato la fine delle mie pie illusioni.
(Ove non diversamente specificato, le immagini sono di Rebecca Quasi e non possono essere utilizzate senza l’assenso dell’autrice).
La Pagina – Autore di Rebecca Quasi su Amazon
L’immagine di copertina è stata trovata nel web.
Sono splendidi i tuoi vagabondaggi per Bath. E i riferimenti a Jane Austen! Strepitosi.