Hokkaido, l’isola del nord, é già coperta da una spessa coltre di neve. Anche nella parte occidentale di Honshu, la più grande tra le isole dell’arcipelago giapponese, sta nevicando forte.
Finalmente ho capito perché metà della popolazione viva stipata, gomito a gomito nel Kantō e nel Kansai, le due zone pianeggianti dell’Honshu orientale: sono aperte all’influsso temperato dell’oceano, protette dalle montagne contro i gelidi venti siberiani. Qui ci sono camelie fiorite e stanno sbocciando i primi narcisi, mentre nel resto del paese fa freddissimo.
Fin dall’inizio di dicembre sono comparsi ovunque alberi di Natale, Santa Claus e collane di luci.
Questo può far pensare che il Natale sia una festività molto sentita, ma non è così: nessuno è mai riuscito a fare del Giappone un paese cristiano, benché ci abbiano provato. Natale è solo un’occasione in più per addobbare le città, gradita a un popolo che adora le decorazioni.
La festa vera, qui, è il Capodanno.
Nell’antico calendario lunare, l’anno comincia con l’avvicinarsi della primavera, all’inizio di febbraio. Nel 1873 un decreto imperiale sincronizzò il Giappone con il resto del mondo e spostò il capodanno al primo di gennaio. Malgrado ciò, la festa ha mantenuto il suo carattere: esprime una rinascita, l’andare incontro a un cambiamento.
Negli ultimi giorni dell’anno la casa va ripulita da cima a fondo, eliminando tutte le cose che non servono. Poi si appendono le decorazioni, fatte di paglia di riso e strisce a zigzag di carta bianca. Uffici, aziende e istituzioni cercano freneticamente di chiudere i bilanci e risolvere tutte le questioni rimaste in sospeso nell’anno che si chiude.
Il 31 dicembre la frenesia comincia a placarsi. Chi torna nel paese natio a visitare i parenti è già partito, chi resta a casa chiude la porta e si prepara a festeggiare.
Cibi e bevande non possono mancare in nessuna festa. Ci sono cibi tipici per il Capodanno, che nell’insieme si chiamano o-sechi.
Quando esistevano ancora famiglie numerose lo si preparava in casa. Oggi quasi tutti lo acquistano online o con Japanet (la rete di vendita telefonica per chi non sa, o non vuole usare il computer). Si presenta come una serie di scatole portavivande divise in scomparti, ciascuno dei quali contiene una specialità. Sono colorate e bellissime! In genere si tratta di cibi che durano almeno tre giorni: i festeggiamenti di Capodanno si concludono infatti il 3 gennaio e in quel periodo tutti (mamme comprese) devono riposare, non cucinare.
Altra usanza che si sta perdendo con la scomparsa delle grandi famiglie, è la preparazione del mochi: una specie di focaccia fatta con una varietà di riso chiamata appunto mochi-gome. Tradizione vuole che lo si faccia cuocere a vapore, in cestelli di bambù posati su una pentola e a fuoco di legna. Il riso cotto poi viene messo in un mortaio ricavato da un tronco e battuto con un tremendo martello di legno fino a ridurlo in poltiglia. Ci vuole una perfetta coordinazione tra chi maneggia il martello e chi rivolta la focaccia. Io ci ho provato una volta sola… e per fortuna le dita sono rimaste intatte.
Oggi il mochi si acquista bello e pronto nei supermercati, ma quello fatto a macchina non ha lo stesso sapore. Comunque è divertente: messo nel forno o su una piastra si gonfia, un po’ come il popcorn.
A forza di mangiare in compagnia, si arriva a mezzanotte. Tutte le campane dei templi buddhisti battono 108 rintocchi, tanti quanti sono i generi di ignoranza che affliggono gli esseri umani. Spesso sono i fedeli del tempio o gli abitanti della zona a suonare le campane (quelle giapponesi non hanno un batacchio all’interno: si percuotono da fuori, mediante un tronco sospeso a delle corde). L’ultimo rintocco della serie deve già cadere nell’anno nuovo.
È il momento di brindare con il saké (vino di riso) servito caldo in piccole brocche. I più viziosi bevono champagne e spumanti, d’importazione o anche made in Japan, che non sono così male.
I giapponesi sono infaticabili. Dopo avere battuto sulle campane, mangiato e bevuto, è uso rimanere svegli fino a veder sorgere il primo sole dell’anno nuovo. Sempre che sorga. Considerato il meteo, ci sono molti posti dove vedranno solo neve che fiocca.
Questo è il mio primo Capodanno in Giappone e anche per me è il momento di chiudere il bilancio.
Il 2022 è stato un anno di cambiamenti epocali: pensionamento, trasferimento all’estero, distacco da tutto ciò che mi era familiare… ma ne è valsa la pena!
Lo scorso Capodanno fu il momento più buio. Colpito da una grave malattia, mio marito era rinchiuso in un ospedale di Tokyo e non potevo raggiungerlo. Ero disperata.
In quel momento, un amico mi fece sentire il discorso di un monaco tibetano. Diceva più o meno così: quando siamo sommersi dalle difficoltà, tutto sembra buio. Però, a guardare bene, non tutto è proprio buio. Una piccola luce c’è. Quella bisogna guardare. Il buio lo vediamo comunque, anche senza volere. La luce invece bisogna aguzzare gli occhi per vederla.
Quelle parole furono la mia salvezza. Ve le regalo per Capodanno. Tenetele da parte: spero che non vi servano, ma nella vita non si sa mai.
Da quando ebbi la fortuna di ascoltarle, cominciai a ripetermi: in fin dei conti lui è ancora vivo. Anche oggi è vivo. Anche oggi… così passarono i giorni, i mesi e quella luce diventò sempre più forte. Le difficoltà poco a poco si appianarono, con l’aiuto di tante persone che ringrazio dal profondo del cuore.
Non tutto è risolto, restano molti problemi da affrontare, ma ce la faremo.
Felice Anno Nuovo!
Di Grazia Maria Francese vi ricordiamo “Mille rimpianti – Il castello di fuoco”, romanzo storico che fa seguito a “Mille rimpianti – Verso il Japòn”.
Lisbona, marzo 1574: caracche e galeoni salpano verso oriente. Tra i passeggeri che affrontano la perigliosa traversata fino all’India e oltre, c’è il gesuita Alessandro Valignano. Gli è stato assegnato dal Generale della Compagnia l’incarico di Visitador (ispettore) delle missioni in Africa e Asia. Si avvera per lui il sogno di una vita, abbandonato dopo una giovinezza turbolenta e poi riapparso, quasi suo malgrado: varcare gli oceani fino al remoto Japòn.
Oda Nobunaga, il signore della guerra che sta riunificando il paese, protegge i cristiani. Questi però non sono che pedine nel gioco politico/militare dell’epoca e rischiano di essere sacrificati a ogni nuovo sviluppo. Il personaggio più temibile è lo stesso Nobunaga, che lunghi anni di lotta per la supremazia hanno trasformato in un tiranno sanguinario.
Alessandro si prepara all’incontro cruciale con Oda Nobunaga ma proprio in quel momento, il destino aprirà sotto i suoi piedi la trappola di un ricordo.
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