Vivere è anche costruire rapporti con le altre persone: chiedere e ascoltare, guardare e distogliere gli occhi, avvicinarsi e allontanarsi.
Scrivere non è diverso, perché i personaggi che metti in scena non restano soltanto segni scuri su una pagina o pixel sullo schermo. A volte lo vorresti.
Provo a procedere in modo ordinato.

Antefatto.
A fine novembre è uscito un Mariani, sì, un altro. Mi fido di Amazon che indica quello del 2021 come ventiduesimo, quindi siamo a quota ventitré. Ovviamente chiedo a Babe se gradisce un pezzo per il blog e aggiungo che accetto proposte.
Copia e incolla della risposta: “Mi piacerebbe un pezzo sul tuo rapporto con Antonio, attraverso gli anni.”
Notare: 1) rapporto 2) uso del nome 3) attraverso gli anni.
Ed è quello che proverò a darle e a dare al suo blog.

Quando ho scritto il primo Mariani, “Morte a domicilio”, non sapevo che sarebbe diventato il primo di una lunga serie. Avevo già pubblicato un giallo, dei romance storici e contemporanei e un bel po’ di racconti. Mi viene in mente una storia con un assassino che vuole essere trovato, ma dopo aver portato a termine la sua vendetta. Contro chi? È ovvio, contro chi è incaricato delle indagini. Non amo gli investigatori dilettanti, nasce così il commissario Antonio Mariani, funzionale alla storia. Non amo i super eroi, non nella vita e non sulla carta, quindi sarà un uomo piuttosto normale. Gli do una famiglia, situazione perfetta per la vendetta dell’assassino. Essendo uomo normale deve avere qualche scheletro nell’armadio, anche per giustificare la vicenda. Quale colpa è più “normale” di aver tradito la moglie? Non mi piacciono le “mogliettine perfettine”, quindi gli metto accanto Francesca Lucas con cui ha un rapporto non facile. Una piccola precisazione: nel 2000, quando ho proposto questo personaggio, i commissari di carta non erano numerosi come in questi ultimi anni e anche la location genovese era inconsueta.

“Morte a domicilio” piace e quindi continuo. Per me non è un periodo semplice: sono tanto impegnata sul lavoro e mia madre comincia a stare male. Scrivo davvero tanto perché è la mia via di fuga. Non mi appassiona risolvere rebus, ma costruirli è rilassante. Ho la fortuna di trovare un editore, Marco Frilli, che non mi chiede sinossi e dà fiducia.

Non mi concentro su Antonio, ma sull’intreccio giallo. Nei primi romanzi gioco soprattutto sul suo rapporto con Francesca. Nelle storie si infiltra qualcosa di mio personale, ma come dettagli, tipo Hitchcock, che nei suoi film faceva una comparsata. Diciamo pure “scherzi”: in “Morte a domicilio”, un personaggio è ricoverato con gamba rotta al Monoblocco (io); in “Il dubbio” c’è l’ufficio postale di Tommaseo (quello da cui spedivo i dattiloscritti); in “La segreta causa” uccido una giallista genovese di nome Luisa (per l’anagrafe sono Maria Luisa) e Antonio la vede a Lavagna durante una presentazione (dove avevo presentato i due precedenti) e ho dormito dove alloggiava la vittima.

Intanto succedono due cose: a forza di scrivere Antonio, al presente e in prima persona, comincio a girarmi quando sento chiamare “Antonio”, anche se di me gli do ancora il meno possibile.
La seconda è molto più personale. Ho cominciato a scrivere “Il Cartomante di via Venti” quando muore mia madre, vado in pensione (come previsto) e devo occuparmi della salute di mio padre. Per mesi il romanzo resta fermo e quando lo riprendo io sono diversa. Indizio chiaro: una location importante è Piazza Settembrini, a Sampierdarena, la delegazione in cui sono nata. E ho cominciato a dire che Antonio era nato lì, a dargli una vita.

Apro parentesi. Non rileggo i miei romanzi, ci sto male. Eppure, mi è capitato di doverlo fare. Il cartomante no! Non riesco a rileggerlo. Mi fido dalla quarta di copertina. Chiusa parentesi.

Ma è capitato un imprevisto: è arrivato Marco Iachino, all’inizio di sfuggita e poi ha acquistato spessore. Rapporti è sempre la parola chiave. Lui e Antonio si danno reciprocamente profondità al punto che nei romanzi successivi, da “Giorni contati” a “Il caso cuorenero”, si puntellano a vicenda. Sento di essere pronta per approfondire Antonio e posso far uscire di scena Marco.
Il fatto non mi è stato perdonato da alcune lettrici e ciò dimostra che Iachino era molto amato. Ammetto, anche da me. Un Antonio più giovane? Non solo, Marco ha meno dubbi e meno errori alle spalle.

In “Io so”, Antonio è solo. Il reparto di rianimazione non mi è sconosciuto.

I lettori vorrebbero un prequel. Le lettrici vorrebbero sapere come ha conosciuto Francesca. Scrivo “Primo” e dove lo ambiento? A Sampierdarena. Ho abitato per anni davanti a una sede dell’’ANPI, conosco la via del tram (se la cercate in mappa il nome vero è via Buranello) e via Fillack. In “Primo” ho dato molto di me ad Antonio, non tanto i gesti (sigarette e caffè) ma il modo di comunicare.
È con quel romanzo che smetto di tenerlo lontano. Se sono stanca, Antonio è stanco. Se mi alzo di buon umore, lui sorride.

Apro parentesi: una cara amica e collega, Maria Teresa Valle, quando ha letto in anteprima il Mariani 2022 mi ha detto che Antonio è particolarmente stanco, incerto e insicuro. Come me. Lui ha una giustificazione: in pochi mesi, meno di un anno, ha avuto l’omicidio di Habanera, ha rischiato di morire per l’esondazione del Cerusa, ha affrontato il caso “Le ferite del passato” e in “Tempesta” c’è stato il ferimento di Manu. E io? Io li ho raccontati. Una curiosità? Le vicende degli ultimi romanzi sono ravvicinate, finisce una e comincia l’altra. Anzi, capita che l’antefatto di una avvenga mentre Antonio affronta il caso precedente. Perché? Preferisco che invecchi più lentamente di me. Nel Mariani 2022 la domanda ricorrente “la mia vita è come la immaginavo?” è la mia. Questo per dirvi che ormai mi permetto di dargli le mie emozioni, anche le mie incertezze. Chiusa parentesi.

Eravamo rimasti a “Primo”. Con il romanzo successivo riprendo la serie dove l’avevo interrotta, ma avendo accettato che il rapporto fra me e Antonio è davvero stretto.
Contemporaneamente capisco di essere diventata “quella di Mariani”.

Apro l’ennesima parentesi. Mi ha colpito un commento della collega Luana Troncanetti, comparso alcuni giorni fa sul blog: “Da scrittrice, al momento ho un unico personaggio seriale: l’ispettore Paolo Proietti, edito dalla Frilli. Sono alla seconda indagine pubblicata, sto scrivendo la terza. Fin dall’inizio di quest’avventura, ho sempre avuto in mente un limite: 3 volumi, massimo 5. Oltre, sinceramente non penso di potercela fare.” Ha ragione, non superate i cinque se non volete che il vostro personaggio seriale diventi padrone della vostra vita e che gli diate troppo di voi. Chiusa parentesi.

Provo a non essere “quella di Mariani”, inizio un’altra serie noir (i CINQUE Maritano), una serie romance storica e un romanzo non di genere, “Tracce di Ada”. Soprattutto provo seriamente a uccidere Antonio. E non riesco.

Un fatto è certo: quando la storia si svolge a Sampierdarena c’è molto molto moltissimo di me in Antonio. “Celtique”? Le scene fondamentali (quelle da cui è nata l’idea, sempre) sono nella mia delegazione, come quelle di “Tempesta”. E Sampierdarena l’avete ritrovata anche in Mariani 2022. Infatti, la dedica è “ai miei” e i miei sono al Cimitero della Castagna. Quel percorso che da valle porta su lo conosco bene.

Vi avevo promesso un lavoro a passi ben distesi, “a bocce ferme”e di nuovo ho deviato. Ebbene sì, anche questo ho dato ad Antonio: qualcosa che è peggio del disordine, è il seguire ogni impulso e deviare e ritornare. Proprio il vizio che mi impedisce ogni scaletta e mi fa costruire ogni storia in itinere.

Ritorno alla strada principale. Da “Celtique” in poi mi sono rassegnata: non esiste il divorzio dai propri personaggi, ho anche provato il divorzio all’italiana e ho fallito.
Ma perché volevo divorziare (e voglio)? Perché lui è invadente e non mi lascia i miei spazi. L’ho tradito e niente! E, storia dopo storia, ha preso pezzi di me e li ha fatti propri.
Ha scelto i più dolorosi. La gamba malamente rotta e la schiena che urla sono le mie. Per mesi ho abusato di antidolorifici (come caramelle) e so bene come ci sente. Le ore al pronto soccorso aspettando che faccia giorno, la caposala che dice “ci sto io, in astanteria c’è un caffè e poi la scala antincendio”. Le corse al piano terra dove ci sono le ambulanze e sedersi per terra e accettare una sigaretta da uno sconosciuto perché le hai finite.
Tutto questo lo trovate nei Mariani e sono io. In realtà tutti i pezzi negli ospedali e nelle case di riposo sono veri.

“La Cagna” è dedicato a mio padre, perché al Centro di riabilitazione di Ruta di Camogli c’è stato dopo l’intervento al cuore. Antonio si chiede se sua madre Emma sia o no affidabile… e cosa mi avevano raccomandato dopo le molte ore di anestesia? “Ci dica se suo padre è davvero lucido, soltanto lei può valutarlo.” Garantisco che è angoscia pura.
Tutti quei momenti non volevo scriverli, ma si sono infiltrati e li ho dati alla vita di Antonio.
E lui cosa mi ha dato? Scriverli, attribuendoli a un altro, mi ha consentito di fare un passo indietro. Vi sarà capitato di confidare a un amico un’ansia o un brutto momento? Mentre parli e rivivi è doloroso, ma poi subentra una specie di sollievo, perché avete parlato al passato e quindi è passato.
Ho usato Antonio come amico, caricandolo di parte dei miei pesi e prendendo i suoi.

Come me Anto non ama le sorprese e rilegge più che leggere, rivede vecchi film perché almeno sa come vanno a finire. Odia le uova sode. Preferisce il salato al dolce. Adora la moka e si taglia le unghie da solo. Si perde nella tangenziale di Milano. Di musica non ci acchiappa e fa foto orrende. Ama il mare e nuota volentieri (però la mia ultima nuotata in notturna risale a tantissimi anni fa). Per pensare cammina.
Quando lavora perde il senso del tempo.
Ha pochi amici e buonissimi.
Ha perso molte illusioni e non ha guadagnato certezze.
Fuma come barriera per le vite altrui su cui deve indagare; spesso fumo perché le vite che vedo mentre le racconto mi fanno star male. Apro parentesi: quando scrivo romance la sigaretta è un piacere, se sono in noir è una necessità.
Che molte opinioni di Antonio sulla vita e sugli esseri umani coincidano con le mie è abbastanza probabile e, come me, non ama esternarle. I suoi amici le conoscono e questo gli basta.

Poche righe su Mariani 2022: vi ho già detto della dedica, del percorso verso la Castagna, della delegazione di Sampierdarena. Non posso aggiungere altro se non che le riflessioni su come sia cambiata sono le mie e le avete trovate anche in “Tempesta”.
La cover? Ringrazio Carlo Frilli per aver individuato con precisione l’immagine corretta. Niente vicoli oscuri, niente pittoreschi carruggi, ma le Torri di San Benigno viste dall’alto, proprio da una delle curve verso la Castagna, e l’intreccio delle vie, tanto simile a quello delle nostre vite.

Il questore ha chiesto al commissario Antonio Mariani di indagare su alcune lettere minatorie indirizzate a Claudio Corani, noto imprenditore genovese e unico proprietario della C&C. Non è un incarico, ma un “favore personale”. Mariani accantona l’irritazione e incontra Alberta, la moglie di Corani, perché è stata lei a rivolgersi al questore. Sente anche Stefania Costanzi, la segretaria dell’imprenditore, che è stata la prima a leggerle. Sembra che le minacce siano la conseguenza di un incidente in cui, nell’autunno, ha perso la vita Franco Ratto, un giovane camionista appena assunto. Inutilmente Mariani cerca di parlare con Corani: l’uomo è irreperibile da giorni. Insiste con Alberta perché sporga regolare denuncia, ma lei risponde che quelle assenze non sono inusuali. Che una moglie non si chieda dove va il marito per giorni sembra strano al commissario, come il fatto che un imprenditore possa assentarsi trascurando i propri affari. Due giorni dopo Corani viene trovato ucciso a Sampierdarena: gli hanno sparato alla nuca. Due volte. Non è l’unica stranezza: gli indumenti della vittima non sono adeguati alla sua condizione sociale, il corpo è stato rinvenuto vicino alla torre WTC, dove ha gli uffici la C&C. L’indagine, all’inizio irritante, per Mariani diventa inquietante e risveglia troppi ricordi umani e professionali. A Sampierdarena ha vissuto fino ai vent’anni, a Sampierdarena ha affrontato la sua prima indagine da commissario e anni dopo ha incrociato nuovamente il latitante Luigi Mannini… Sì, i troppi ricordi gli rendono difficile concentrarsi, pure la Petri è meno lucida del solito. Il caso diventa più complesso perché anche la moglie di Corani viene ferita gravemente.

La recensione di Babette Brown potete leggerla QUI.