A partire da mercoledì 24 luglio, questo racconto e altri due, più corposi, saranno disponibili in download gratuito su www.velmastarling.com per chi si iscrive al sito, che è stato aggiornato e rinnovato (era ora!). Fra tutte le persone che si iscriveranno entro domenica 28 luglio, ne estrarrò tre a cui inviare a domicilio una copia di “Buck e il terremoto”, una delle antologie a cui ho partecipato per donare fondi alle città dell’Italia centrale colpite dal sisma del 2016. Grazie a chi vorrà partecipare, e grazie a Babette per avermi ospitata.
Velma J. Starling
«Asia, ci buttiamo in piscina?»
La ragazza inclinò la testa. «A quest’ora? Sara, i tredici anni li abbiamo superati da un po’.»
«Ma…»
«Stasera alla festa del Palace la piscina sarà aperta, basta portare il costume.» Si girò di schiena sul lettino. «Sarà una figata, altro che questa pozza piena di bambinetti.»
«Solo un tuffo, dai. Fa un caldo!»
«Chi se ne frega del caldo, Monica. Dicevate di volere un’abbronzatura da brasiliane. Allora rimettetevi giù.»
Qualche momento di silenzio, poi un «okay» strascicato. Sara aveva messo mano al tubetto della crema solare. «Ancora un’oretta posso resistere.»
Monica si mise a sfogliare una rivista. «Va bene. Magari una nuotata più tardi.»
«Fate quello che vi pare, basta che non mi rompete le palle» sbuffò Asia.
Le altre due rimasero interdette, si guardarono.
Asia scoppiò in una risata. «Dai, sto scherzando!» Si girò di nuovo e slacciò il pezzo sopra, il segno del costume non doveva vedersi. Appoggiò la testa di lato, chiuse gli occhi e sorrise.
* * *
«In piscina? E da quando?»
«A scuola fanno dei lavori, saremo senza palestra per sei mesi. Hanno accorpato le ore di educazione fisica due alla volta e ci portano a nuotare al Palazzetto.»
«Ma che bello. Non sei contenta?»
«Nemmeno un po’.»
«Come mai?»
«Non voglio farmi vedere in costume, Asia mi sta già abbastanza addosso.»
«Tu non la considerare, vedrai che poi smette.»
«Certo mamma, come no.»
* * *
Il Palace. Asia prese un respiro di soddisfazione. Fino all’estate prima nemmeno l’avrebbero fatta entrare: l’unica volta che ci era riuscita limonandosi un tizio dello staff, l’avevano beccata e rispedita a casa. All’inizio i suoi erano incazzati neri, poi con due moine li aveva riconquistati. Nessuno aveva saputo niente, non c’era pericolo di brutte figure. Le rodeva solo ammettere che i baristi del locale stavano attenti sul serio a non incasinarsi coi minorenni: escluso che ti dessero da bere se non presentavi un documento. Avrebbe dovuto aspettare un anno intero, che palle. Non ci era abituata.
Per tre anni di medie e cinque di liceo era stata la regina, la leader, la più ammirata, anche la più temuta che non fa mai male. Adesso era tempo di passare a un altro livello. I soldi li aveva, la bella presenza pure. E tanto carattere. Fosse vissuta in America, come minimo sarebbe stata una cheerleader fidanzata con il quarterback della squadra di rugby. Invece aveva dovuto accontentarsi di un liceo classico: quello giusto per le ragazze cool. Gente di buona famiglia, alla moda, piena di soldi. Il branco giusto per una leonessa. D’altra parte, se gli americani avevano inventato lo spring break per folleggiare, erano messi malissimo, si accontentavano di due settimane. Lei? No, Asia aveva un’estate intera e se la sarebbe goduta da urlo. Scuola: finita. Maturità: passata. Diciotto anni: compiuti a ottobre. Adesso al Palace ci poteva entrare, cazzo se ci poteva entrare. Quella era la sua notte, la prima di una lunga serie: si sarebbe sballata e avrebbe bevuto a sfinimento, e qualunque occasione si fosse presentata l’avrebbe colta.
Il posto era come se lo ricordava dall’anno prima, per quei pochi minuti che ci era rimasta. La balconata gigante si affacciava sulla piscina nel giardino a terrazze e sull’intera città. I due pergolati che si incrociavano erano illuminati da uno sfavillio di lampade e candele dentro bocce di vetro. Quando le tre ragazze percorsero il vialetto, vestite e truccate come star del cinema sul red carpet, ammiccamenti e occhiate si sprecarono.
* * *
«Mi spiano e mi prendono in giro, mamma. Ogni volta. Quelle stronze!»
«Niente parolacce, per favore.»
«Perché non le senti quando parlano di me. O di te.»
«Ah, perché adesso ce l’hanno con tutte e due?»
«Dicono che siamo grasse uguali, due ciccione lardose.»
«Se è per quello abbiamo anche entrambe i capelli neri.»
«Dai, mamma. Non cambiare discorso.»
«Tu non le ascoltare, fregatene. Parlerò con il preside, vedrai che presto andrà meglio. E ricordati giovedì il controllo dall’endocrinologo.»
* * *
Le ragazze passarono dalla terrazza alla pista centrale, sgomitando per farsi largo. Asia si guardava in giro con fare scafato e si dimenava come fosse stata su un palco. Intorno a loro, alcune persone ballavano e altre cercavano l’abbordaggio: sfilze di scollature generose pronte ad abbinarsi con addominali palestrati e viceversa. Difficile capire chi avrebbe concluso la serata portandosi qualcuno a casa e chi si sarebbe concesso dieci minuti in un privè, o anche solo in un bagno. Non si contavano le volte in cui una coppietta andava ad appartarsi e ne interrompeva un’altra sul più bello. Anche questo contribuiva all’eccitazione generale.
Asia alzò la voce sopra la musica martellante. «Andiamo a bere qualcosa, ho la gola secca.»
A ogni passo del tragitto fino al bar, Monica e Sara sgranavano gli occhi alla vista di così tanta gente chinata su piste sottili di polvere bianca.
Sara alzò un sopracciglio. «E pensare che in teoria la coca era passata di moda.»
«Balle» spiegò Asia con una scrollata di spalle. «Passa di moda solo per chi non può permettersela».
Monica prese un’aria cospiratrice. «Tu hai mai…»
«Qualche volta» sogghignò l’altra. «Provate anche voi. In questi posti ne gira a fiumi, e anche buona. Basta pagare.»
«Qui è troppo figo.» Sara saltellava come una ragazzina. «Facciamoci un selfie tutte insieme.»
Asia si girò e diede un’occhiata alle loro spalle. «Occhio a chi abbiamo dietro, niente sfondi compromettenti.»
«Sei paranoica! Chi vuoi che ci faccia caso?»
«Non so voi ma io non posso farmi beccare, c’è gente a casa che mi crocifiggerebbe per molto meno.»
«Embé, che ti frega.»
«Non dire stronzate, Monica.» Per la prima volta in tutta la giornata, lo sguardo di Asia era serio. «Se ti ritrovi sputtanata in rete, tanto vale essere morta.»
Fu come se, per un secondo, le avesse colpite una folata di gelo. Prima di poterselo impedire, Asia si portò una mano alle labbra, le altre due distolsero lo sguardo.
«Cazzo. Non ci pensate» sibilò Asia. «Non pensate a quella storiaccia. Nessuno ha mai detto che sia stata colpa nostra, okay?»
«Nessuno tranne la madre.»
«Che c’entra. Quella era di parte.»
* * *
«Tesoro, non ci passi un po’ troppo tempo su quei cosi?»
«È normale, mamma.»
«Va bene, ma se ogni minima cosa che fai la devi mettere su tutti i social…»
«Basta farlo una volta, poi c’è una app che collega gli account.»
«Ah sì?»
«Guarda: metto questa foto su Facebook e da lì finisce anche su Instagram, Twitter… perfino su Whatsapp! Funziona anche con i post e i video.»
«Ma pensa.»
* * *
Sara iniziò a tossire, appoggiò il cocktail nel timore di farlo cadere. Monica le diede dei colpetti sulla schiena.
«Troppo forte?»
«No! No, che dici. Mi è andata qualche goccia di traverso.» Tossì ancora, appoggiandosi al bordo di una sedia.
«Tirati su.» L’altra la afferrò per un braccio e la aiutò a tenersi in equilibrio. «Ti stai perdendo la parte migliore.»
Sara alzò la testa e si schiarì la gola, che ancora bruciava. «Cioè?»
Monica le indicò la scena a pochi passi da loro: Asia intenta a parlare con un ragazzo, sorriso furbo e pettorali in vista sotto la maglietta aderente.
«Ci sta provando?» chiese Sara.
«A te che sembra? Tra un po’ le sbava addosso.»
«Gran figo, comunque: l’avevo notato poco fa, quando siamo arrivate al banco. Era insieme a una cicciona bionda, l’ho vista dargli dei soldi.»
Monica fece una smorfia. «Non farà mica il… oddio che schifo!»
In quel momento, Asia fece segno al ragazzo di aspettare un attimo e si avvicinò alle amiche.
«Si chiama Andrea» rise. «Credo. Dice che vuole… conoscermi meglio. Noi ci rivediamo al residence, okay?»
«Occhio Asia, forse è un coso, come si dice, un gigolò. Sicura di voler andare con lui?»
«E anche se fosse?» Bevve un sorso. «A me, soldi non ne ha chiesti.»
«Sì, però…»
«Sara, a questo servono le villeggiature!» La voce di Monica si era fatta sottile. «Vai in un posto dove non ti conosce nessuno, a fare il cazzo che vuoi.»
Ad Asia venne un attacco di riso sguaiato.
«Che c’è?»
«Casomai a farti…» disse lei, quasi senza respiro. «A farti tutti i cazzi che vuoi!»
Scoppiarono in una risata. Poi Sara sembrò distrarsi, guardava di sbieco.
«Ecco, è quella.»
«Quella chi?»
«La cicciona biondo platino con gli occhiali brilluccicosi, vicino alla colonna. Quella che dava i soldi al tipo.»
«E allora?» sbottò Asia. «Chi se ne frega!»
«Sbaglierò, eppure mi sembra di averla già vista.»
«Che stronzata, Monica, avrà cinquant’anni. E poi quaggiù non conosciamo nessuno, l’abbiamo appena detto, no?»
Monica alzò le spalle.
* * *
«Mi ha fotografata, non capisci? Nuda!»
«Cosa? Ma dove?»
«Nello spogliatoio della piscina! E adesso quelle foto sono… sono…»
«Tesoro calmati, vedrai che…»
«Sono in giro sulle chat della scuola, sui social, le hanno viste tutti! TUTTI!»
«Torno dal preside, in qualche modo ne verremo a capo.»
«Tanto è finita, mamma.»
«Finita? Amore, che stai dicendo?»
«Tu non lo sai come funziona, parlare non servirà più a niente!»
«Su, non prenderla in questo modo.»
«A un cazzo di niente.»
* * *
Il ragazzo spinse Asia contro una parete e la baciò di nuovo. Sul parapetto vicino a loro avevano appoggiato due bicchieri ormai vuoti. Sul fondo di uno dei due, un liquido appena più opaco che nell’altro. Soffiava il vento sulla terrazza, le lampade appese ai pergolati ondeggiavano e mandavano fasci di luce in ogni direzione. Le mani di Andrea si infilavano dappertutto, specie sotto la canotta e dentro gli slip, Asia inspirava a ogni tocco e gli teneva le braccia intorno al collo.
«Siamo…» Si schiarì la voce. «Siamo un po’ in vista, quassù.»
Lui fece segno di no. «Macché in vista, in quest’angolo non viene nessuno.» Ridacchiò. «A parte noi due.»
Asia sussultò, alle parole e alle carezze. Si sentiva eccitata come non mai, incapace di resistere. Andrea le avvicinò le labbra all’orecchio, mormorò qualcosa che le procurò una vampata di calore alle guance e fra le gambe.
«E dai» insisté lui. «Sono sicuro che sei bravissima.»
Le appoggiò le mani sulle spalle e la invitò a chinarsi, lei obbedì. Le girava un po’ la testa, mettersi in ginocchio non era una cattiva idea e poi aveva voglia di andare fino in fondo. Lui le accarezzava i capelli, Asia gli sbottonò i pantaloni.
Provò un brivido di orgoglio quando Andrea iniziò a emettere versi gutturali, misti a parole smozzicate di approvazione. Non era certo la prima volta, per lei; ma non lo aveva mai fatto con uno sconosciuto in un locale pubblico, e questo la rendeva euforica. Sudava e respirava con affanno, le pupille dilatate. Appena Andrea iniziò a muovere il bacino avanti e indietro, Asia gli si aggrappò alla maglietta con una mano, mentre con l’altra lo accarezzava. Anche lei iniziò a gemere, a emettere versi frenetici, e quasi gridò quando lui schizzò senza preavviso e senza freni.
La ragazza inspirò forte, rise, un po’ tossì. Aveva il mento e il collo bagnati. Guardò verso l’alto, soddisfatta dell’espressione appagata che gli lesse in faccia. Riprese fiato, si passò una mano sulla fronte. Fu in quel momento che si rese conto, a malapena, di avere una luce puntata addosso. Trasalì, si girò di scatto. La luce si spense.
La donna grassa e bionda, seminascosta da uno dei muretti divisori, la fissava sprezzante, cellulare in mano.
«È venuta bene la ripresa?» ansimò Andrea, mentre si abbottonava i pantaloni.
«Benissimo.» La voce era gelida.
Asia non riusciva a focalizzare, aveva i riflessi lenti e i sensi offuscati. Ma vide la donna mostrarle lo schermo dello smartphone e premere un paio di tasti.
«Potenza dei social» la sentì mormorare fra i denti. «Sei appena diventata virale, stronza schifosa.»
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