Capitolo 3

Il sole aveva oltrepassato l’apice, e di Sitra non si era vista neanche l’ombra. Seduto appena fuori della soglia di casa, Nabir aveva scrutato il sentiero dal quale sarebbe dovuta arrivare sua madre. Attraverso il velo chiaro che gli ostacolava la vista, però, non aveva visto nulla, non aveva udito nemmeno il nitrire di un cavallo o il rumore di zoccoli. Forse Selia aveva calcolato male il tempo, forse sarebbe giunta l’indomani. Eppure, la sijia era stata così sicura che fosse quello il giorno. Sitra arrivava sempre due giorni dopo la paga, così da consegnare a Selia del denaro. Era così da sempre, anche se a volte poteva capitare che saltasse un periodo, per giungere quello dopo. Era sempre stato così, e forse era una di quelle volte.
Eppure Nabir si sentì stringere il petto, in un modo così inaspettato che per qualche istante faticò a respirare. Era una sensazione che aveva sperimentato di rado, come un presentimento. Per qualche momento, cercò di respirare a fondo, calmando quel battito forsennato contro lo sterno. Perché ora provava un palpito di paura? In fondo, Sitra doveva arrivare dalla capitale, era un viaggio di poco più di mezza giornata. Forse era in ritardo o, forse, aveva aspettato un altro giorno, prima di mettersi in marcia per raggiungerli.
Scacciando il brivido che gli aveva fatto scuotere le spalle, Nabir si rilassò contro la parete di legno. Tentò di farlo, finché la voce di Selia non lo raggiunse.
«Entra, Nabir. Vieni a mangiare un po’ di zuppa.»
«Non ho fame, sijia,» mormorò. Sbatté le palpebre, cercando di scrutare tra le ombre. La presenza di Selia si palesò al suo fianco.
«È possibile che arrivi domani, a questo punto. Forse le notizie di guerra le hanno impedito di partire.»
Nabir voleva chiedere se fosse davvero sicura che quello fosse il giorno in cui doveva arrivare sua madre. Voleva chiederlo con tutte le sue forze. Aveva imparato a leggere e a far di conto, ma da quando la sua vista era peggiorata, si basava soltanto sullo scorrere dei giorni e delle notti. Doveva solo contare quanti ne fossero passati dall’ultima volta in cui aveva abbracciato sua madre. E la conclusione era la stessa a cui era giunta Selia: il periodo era giusto, il giorno anche. Certo, poteva esserci un ritardo, ma, dacché ricordava, Nabir non si era mai sentito così in apprensione. Come se fosse successo qualcosa, o stesse per… succedere.

«Nabir…»
«Vengo, sijia. Forse hai ragione, la sua presenza è importante in città.»
Non gli sfuggì il sospiro di Selia, così come non gli sfuggì la stretta alla spalla che lei gli diede. Era preoccupata. La cosa non fece che acuire la sensazione che stesse per accadere qualcosa.
Si alzò in piedi e rientrò in casa, ma non chiuse la porta. Voleva che il sole entrasse, e che scaldasse quell’aria diventata improvvisamente gelida. Stava per sedersi a tavola, quando il rumore di zoccoli gli fece alzare la testa.
«È lei?» Voleva essere un’affermazione, invece suonò come una domanda. Nabir si raddrizzò, guardando verso il riquadro della porta, chiaro contro la penombra della stanza.
Selia si mosse verso l’uscio. «No.» Categorico, ma con un carico di sospetto che Nabir assimilò a fatica. Chiunque fosse, aveva messo in allarme la sua sijia.

Il cavallo nitrì, il rumore si attenuò fino a scomparire, lasciando solo quello dei movimenti di qualcuno fuori dalla casupola che smontava da cavallo con un tintinnio di finimenti. Non ricevevano molte visite, chi avrebbe potuto essere? Nabir deglutì, in attesa, consapevole dei passi di Selia e della persona che si avvicinava da fuori. I passi erano pesanti, probabilmente erano piedi calzati da stivali da viaggio, ma non erano di una donna. Il suo udito fine aveva già escluso che lo fosse, ascoltando lo scricchiolio dei sassi e il fruscio dell’erba.
«Buona giornata.»
La voce profonda confermò quanto già aveva appurato. Nabir aggrottò la fronte, sentendo la morbida cadenza. Un uomo. Un uomo che non era del villaggio, proveniente forse dalla capitale, a giudicare dalle parole pulite ed educate.
«Buona giornata.» Selia era sulla soglia, la sua figura snella oscurava la luminosità del sole. «Che cosa posso fare per te?»
Nabir si avvicinò, incuriosito suo malgrado, accostandosi alla sijia ancora ferma nello stesso punto.
«Perdonate il disturbo. Al villaggio mi hanno indirizzato qui. Il mio nome è Gyllahesh, vengo da Omira.»
«E il motivo del tuo viaggio-» Selia lasciò cadere la frase, forse distratta da un nuovo evento.
Nabir li aveva già sentiti: zoccoli in avvicinamento. Non di un solo cavallo. Si allontanò dalla porta quando Selia fece altrettanto, e raggiunse il tavolo, improvvisamente spaventato. Cosa stava succedendo?
«Cosa vogliono?» Nabir colse la nota irritata e tesa nelle parole di Selia. Chi erano? La sua sijia lo raggiunse, e un’altra ombra si avvicinò alla porta. L’uomo non era stato invitato a entrare, ma lo fece lo stesso, occupando gran parte della luce che entrava. Nabir aggrottò la fronte, cercando di cogliere delle sfumature dalla persona che si era presentata a casa loro. Percepì invece un lieve profumo mascolino, che gli fece scorrere un brivido lungo la schiena.
«Credo abbia a che fare con Sitra,» disse l’uomo, Gyllahesh, a bassa voce, nello stesso istante in cui i cavalli venivano arrestati davanti alla casa.
«Sitra? Cosa è successo?» Selia sembrava ancora più tesa, e questo innervosì Nabir.
«Dov’è mia madre?» esclamò, ma non ottenne risposta. Fu consapevole degli sguardi addosso, ma l’entrata rumorosa impedì a chiunque di parlare.
«Ottima domanda, ragazzino.» La voce sconosciuta era fredda e limpida. «Stiamo cercando Sitra la traditrice. Abbiamo avuto indicazioni che potrebbe essersi diretta qui.»
«Sitra non è una traditrice. E comunque non è qui.» Selia non sembrava spaventata. «Avete avuto notizie sbagliate.»
«Non ne sono così sicura, cacciatrice. Sì, ti riconosco. Eri una delle esploratrici, una volta.» La donna si avvicinò, accompagnata da altre ombre.
Nabir sbatté le palpebre, i pensieri che si rincorrevano nella testa. Sua madre non poteva essere una traditrice. Era impossibile.
«E tu? Conosco anche te, di fama. Gyllahesh, se non sbaglio. Una fama ben meritata, se non erro. Cosa fai qui?»
Prima che l’uomo potesse parlare, Selia intervenne. «Si era fermato a chiedere indicazioni, ma-dira. Gli abbiamo offerto un pasto, visto che ci stavamo sedendo a tavola.»
«Ma davvero? Un libero amante come lui che accetta di sedersi in questo tugurio? Mi aspettavo di più da te, Gyllahesh.»
Nabir sussultò per l’insulto, neanche troppo velato, ma l’uomo in questione sembrò non fare una piega.
«Sono stati gentili a offrirmi un piatto di zuppa. Chi sono io per rifiutare?»
«Lo immagino,» fu la risposta beffarda. «Sempre che sia la verità.» La donna si mosse. «Cercate ovunque, se rinvenite anche una piccola traccia, voglio saperlo.»
«Sitra non è qui, ma-dira,» provò nuovamente Selia. «Non la vediamo da parecchio tempo.»
«Forse perché impegnata a congiurare contro la Custode dei Confini,» sbottò la comandante del drappello. «Sta di fatto che è una traditrice della peggior specie.»
«Non è vero!» urlò Nabir, incapace di stare zitto. Poteva vedere l’ombra muoversi, e si avvicinò. «Non è vero. È una brava donna, è leale, è-» Un ceffone mise fine alle sue parole, e la sua testa scattò all’indietro a causa del colpo. Non cadde solo perché un braccio forte lo sostenne, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Dovrei farti imprigionare, piccolo rognoso. Attaccare un’ufficiale dell’esercito. Inaudito.»
«Non vi stava attaccando.» Selia era al suo fianco, e Nabir pregò che non dicesse nulla. «Ma è sua madre, ed è comprensibile che non voglia sentirne parlar male.»
L’altra tacque, impegnata ad ascoltare i rumori causati dalle sue guerriere. Stavano ribaltando tutto, sia fuori che dentro. Dalla stanza da letto provenivano rumori di strappi. Poco dopo, si udirono delle voci. Le parole niente e non è qui riempirono le orecchie di Nabir. Sperò che se ne andassero in fretta, ora che sapevano che Sitra non era mai giunta lì.
«Bene. A quanto pare, quella maledetta non si trova nei paraggi.» La voce della ma-dira era carica di sarcasmo. «Ma state pur sicuri che vi terremo d’occhio. Se solo mette piede al villaggio, lo sapremo. Andiamo, adesso.»
Nabir vide le ombre muoversi, il rumore degli stivali risuonare sul pavimento di legno. Un istante, e il nitrire dei cavalli annunciò la loro partenza. Solo allora si permise di sciogliersi dalla stretta al braccio e si accasciò sulla sedia dietro di lui.

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