Ieri, abbiamo pubblicato la prima parte dell’articolo in cui alcuni autori hanno dibattuto in merito a un argomento proposto da Letizia Finato: Meglio avere uno stile personale di scrittura o, invece, per essere più appetibili, adeguarsi a un modo di scrivere al passo con la moda del momento?

Concludiamo l’argomento con tre pareri autorevoli.

Ecco quello di Nykyo: Ci ho pensato un po’ prima di rispondere, perché di norma le mode le associo ai temi dei romanzi, non allo stile.
È moda scrivere in POV, ossia dal punto di vista più o meno focalizzato di uno o più personaggi e non da quello del narratore onnisciente usato nella maggior parte dei classici? Forse sì, forse no. Di sicuro, dopo il successo di alcuni specifici romanzi, come La Ballata del Ghiaccio e del Fuoco (Game of Thrones, per capirci) in tanti hanno tentato di usare POV multipli, anziché attenersi a uno o due al massimo come accadeva prima, ma… non lo so. Alla fine, io credo che la scrittura si evolva e lo stile abbia poco a che fare con le mode e molto con il cambiamento di abitudini lessicali di tutti noi e, a volte, perfino con l’evolversi della società stessa.
Lo stile, tra l’altro, è una cosa molto personale e non tutti ne hanno uno immediatamente riconoscibile. Io stessa non so se ne ho uno che faccia dire ai lettori “Questo è proprio un libro di Nykyo”.
Apprezzo molto e da sempre chi riesce a mantenere un suo stile riconoscibile, ma cambiare registro a seconda dell’ambientazione, delle vicende di trama e del background dei personaggi (cito sempre Stevenson perché è un ottimo esempio: L’isola del tesoro ha un lessico da pirati, Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr Hide a tratti sembra un saggio di psicologia), ma questo ha poco a che fare con le mode.
Forse è di moda la purple prose, ecco, quello sì. O se non altro tanti autori si sono convinti che sia di moda e quindi scrivono frasi arzigogolate, spesso a discapito della comprensione.
Personalmente, invece, amo la semplicità.

Per quel che mi riguarda scrivo in POV perché mi viene spontaneo, da sempre, pur avendo una passione smodata per i classici che mi ha portata a leggere migliaia di pagine in onnisciente.
Scrivo in POV perché scrivo molta introspezione, forse. Quanto al numero dei POV, lo decido in modo funzionale alla trama, non ne scriverei mai più di uno se dovesse essere una forzatura o del tutto inutile.
Detto questo, credo anche che spesso ci sia una errata comprensione di concetti come focalizzazione o show don’t tell e che il problema sia quello più che la moda. Mi è capitato di sentir dire che una frase più complessa e piena di dettagli aiuta ad evitare il tell. Ora, posto che un libro interamente in show devo ancora trovarlo e il tell usato nel modo e nel momento giusto non è il demonio, quanto detto sopra è vero? Ma direi di no.
Se i dettagli non tolgono e non aggiungono nulla al senso e alla comprensibilità della frase e non la rendono più evocativa, semmai è meglio evitarli. Quando due personaggi parlano, per esempio, non è certo il caso di dire al lettore a chi si rivolgono e in che direzione si voltano a ogni linea di dialogo. Così come se la complessità della frase non serve a uno specifico scopo, ma la ingarbuglia e basta, meglio evitarla.
Credo, insomma, che a volte si confondano le mode con una conoscenza sommaria delle basi, che porta a uniformarsi a quel che leggi in giro… perché se lo ha scritto Tizio o l’ha detto Caio sarà giusto, no?
Quanto alle mode effettive, invece, come quella del retelling o quella di certe ambientazioni o tematiche, non ci trovo nulla di male. Scriviamo anche per essere letti e renderci appetibili ai lettori: non è un crimine. A patto che non ci snaturi. Io, per esempio, non ho alcun problema a seguire un certo trend asiatico, perché è legato a una mia passione, mentre se dovessi scrivere un dark romance o uno sport romance puro solo per vendere verrebbe fuori una schifezza, perché sono due cose che proprio non amo scrivere. E nemmeno mi viene voglia di provarci, ecco.

Di Nykyo vi suggeriamo “Barebones” (sopra trovate copertina e sinossi). Compratelo QUI.

Anche Anna Reale dice la sua: La domanda è complessa perché manca una premessa secondo me fondamentale, cioè: cosa sarebbe “di moda” oggi? Data la varietà di testi che leggo, mi sentirei quasi di dire “nulla, perché ognuno fa come gli pare e piace”.
Se la moda ha a che fare con lo show don’t tell, be’, dato che è un concetto che risale ai tempi di Platone e Aristotele, dire che è una moda è un po’ un’assurdità dal mio punto di vista.
Credo spesso che ci sia una percezione errata dei testi del passato: ci sono testi che davvero sono scritti secondo me in modo assurdo (ho perso il conto di quanti “capolavori” classici ho abbandonato appena dopo l’incipit), ma proprio come quelli del presente hanno avuto successo per altri motivi che non pertengono alla tecnica.
Molti libri di moda, e che vendono tanto, poi, non rispettano per niente neanche i più basilari principi della scrittura.
Se avessi detto soltanto che sono una precisina rompiscatole (ma innocua), dubito che qualcuno se ne ricorderebbe. Invece, con un post in cui mostro questo mio lato, penso che la cosa possa rimanere più impressa.
Ecco, questa è l’essenza della retorica relativamente allo show don’t tell.
Se devo essere sincera, avrei voluto conoscere tante cose che adesso so prima di scrivere e pubblicare il mio libro. Ogni volta che lo riapro penso a mille modifiche che farei oggi, ne vedo i limiti strettamente tecnici.
Dato che questa è una cosa che vado in giro a dire da un po’, ci tengo a precisare pubblicamente che questa è una critica a me stessa come scrittrice e non in alcun modo al lavoro svolto dalla mia editor per il primo libro, perché ricordo le tempistiche di cui disponevamo e soprattutto perché da quando sono editor comprendo meglio anche l’impossibilità pratica di colmare tutte le lacune dell’autore (sic).
Penso comunque che il mio libro resti ancora in piedi con una certa dignità grazie al profondo lavoro di caratterizzazione dei personaggi, di cui ho immaginato ogni minimo dettaglio, pur non avendoli ovviamente inseriti tutti all’interno del libro, e alla fortuna che ho avuto (cosa rara per me) a essere folgorata da questa storia in maniera così devastante da avermi portata a una stesura terapeutica, avendo la storia tutta in mente dall’inizio alla fine durante la scrittura.
Non mi piace darmi dei paletti troppo stretti, quindi anche se di base non amo molto la prima persona ho scritto in prima persona, cercando di portare quel che per me era in quel momento un buon modo di scrivere in prima. Ora scrivo perlopiù in terza persona, ma non escludo di scrivere di nuovo in prima, oppure di sperimentare persino la seconda persona o altre forme alternative.
Cerco di scrivere in un modo che prima di tutto non annoi me, e che si sposi il più possibile con il mio scopo primario, cioè non dedicarmi alla rilettura onanistica ma arrivare ai lettori con la mia storia. Se devo sforzarmi di cambiare lo faccio, punto; voglio continuare a imparare e a evolvermi. Se la mia scrittura restasse sempre uguale e fosse fossilizzata, per me vorrebbe dire che sono morta come scrittrice.
Insomma vorrei che nessuno potesse dire qual è il mio stile, ma che leggendo pensasse solo alla storia.
Se siete curiosi di scoprire la mia “prima persona”, potete provare L’alba nella mia stanza (attenzione, contenuti espliciti).

Conclude Annalisa Caravante: Ci sono diversi motivi per cui una persona decide di scrivere, due fra questi sono: la pura passione e il desiderio di vendere molto per diventare noti. In base al motivo si sceglie che tipo di scrittura adottare.
Se si scrive per vendere, è consigliabile (anche se non indispensabile) seguire la moda.
Se si scrive per passione, si è liberi di usare lo stile che si vuole.
Indubbiamente, se si vuole avere un risultato positivo, bisogna padroneggiare bene la tecnica di scrittura che si sceglie, altrimenti l’opera risulta snaturata. Mi è capitato tempo fa di leggere un libro potenzialmente buono, ma con una tecnica di scrittura che l’autore non ha saputo usare bene. Risultato: non lo consiglio a nessuno.
Sia che si scriva col proprio stile, sia che si scelga uno di moda, bisogna crescere, imparare, ma soprattutto adeguare la scrittura al genere del libro. Altrimenti in entrambi i casi possono mancare buoni riscontri.
È certo, però, che se si usa sempre un proprio stile di scrittura, si matura in quello e si ha comunque successo. Quindi, consiglio sempre di crescere in ciò che si sa fare, tanto la crescita porta comunque dei cambiamenti.
Attenzione, non ho detto che chi scrive per passione non voglia vendere, ma mi riferivo al motivo per cui si scrive e non per cui si pubblica. È chiaro che anche chi scrive per passione ama sapere cosa ne pensano i lettori.
Nel romanzo che a breve pubblicherò, Nina e Ferdinando (titolo provvisorio), ho notato una crescita nel mio modo di scrivere, tanto che per me il romanzo è il più accattivante fra quelli che ho scritto. Ciò è stato confermato anche dai lettori beta che negli anni hanno seguito l’evoluzione del mio stile.

In attesa che Annalisa Caravante pubblichi il romanzo in gestazione, vi suggeriamo di leggere “Profumo d’ottobre – Una storia d’amore e di resistenza”. Copertina e sinossi li trovate nella card sopra; per acquistarlo, click QUI.

Siamo arrivati alla conclusione. Abbiamo tralasciato altri, autorevoli, pareri. Se volete partecipare ai nostri mercoledì, iscrivetevi al Gruppo Facebook “Babette Brown legge per voi”. Ci trovate QUI.

La copertina è stata creata con materiale free di Canva.

Ringraziamo Letizia Finato, di cui vi suggeriamo “Il racconto è servito – Ricordi, sapori e profumi della cucina tipica veneta”. Lo trovate QUI.

Il racconto è servito, attraverso racconti e ricette, conduce il lettore lungo un viaggio in un passato contadino, ricco di tradizioni, un passato non molto lontano in cui la convivialità si univa agli affetti e al vivere quotidiano.
Per ogni pietanza viene proposto un racconto, un aneddoto storico-culturale e una ricetta dettagliata, alla quale vengono aggiunti anche i consigli “della nonna” con foto finale del piatto.
I racconti sono brevi o brevissimi. Si narrano vicende legate alla famiglia, alla tradizione e alla cucina tipica veneta e in particolare a quella vicentina.