Prima o poi farò un elenco dei pro e dei contro di vivere qui. Nella classifica dei “pro” ci metterò senz’altro questo: in Giappone non c’è bisogno di una dieta. Tutte le cose che mi piacciono qui non ci sono. O sono pessime imitazioni: quello che qui chiamano pan, farebbe rivoltare nella tomba i miei antenati panettieri. O se ci sono costano un botto, come i formaggi d’importazione. Si dimagrisce anche senza volere.

In compenso c’è il pesce crudo: sushi, sashimi, un’abbuffata di pesce crudo. Buonissimo. Freschissimo. Fantastico. Fa pure bene alla salute: sempre che il pesce sia davvero fresco, cosa scontata solo da un certo livello in su.
Percepire le differenze tra i vari tipi di pesce crudo richiede un palato esperto, cosa che io non ho. Per quanto riguarda i sushi, come si fa con i formaggi, pare sia importante la sequenza in cui li si mangia. Si comincia con i più delicati: gamberi, pesce bianco, frittatina. Poi si passa a quelli con uova di pesce o ricci di mare, per finire con il tonno e altri tipi di pesce rosso.

Un piatto di sushi

Preparare i sushi in casa è un’impresa al di sopra delle capacità non solo mie, ma di quasi tutti. Supermercati e pescherie ne offrono un assortimento di già pronti. Ci sono anche dei posti (mawari-sushi) dove sul banco scorre una specie di nastro trasportatore. Ci sono posati sopra dei piattini con i sushi. Quando ne vedi uno che ti ispira, lo prendi al volo: alla fine ti fanno il conto in base al numero dei piattini vuoti.
Quello che non mi piace di questi sushi, è che la polpettina di riso ha sempre troppo zucchero e troppo aceto. Solo le vere sushi-ya, dove il maestro della casa li prepara al momento, usano riso insaporito con un po’ di sale e basta, come piace a me. Il guaio è che pranzare lì è un investimento: qualche volta si può, di certo non tutti i giorni.

Maestri di sushi

La scorsa primavera, quando era stato dimesso dall’ospedale, mio marito pesava 52 chili. Cucinare tre pasti al giorno (eh sì, la colazione qui è un pasto completo, niente latte e biscotti…), nel tentativo di fargli riprendere peso, non è stato facile. Ho dovuto sfoderare tutte le mie risorse: ricette italiane adattate agli ingredienti che ci sono qui, ricette giapponesi scopiazzate (senza purtroppo raggiungere, nemmeno da lontano il livello di maestria che richiederebbe un pasto tradizionale) e fantasia. Praticamente vivevo in cucina.

Assortimento di sashimi in pescheria

Per fortuna nella classifica dei “pro” c’è un altro articolo, che casca a fagiolo per una cuoca inesperta: si chiama ramen.
Sia benedetto chi ha inventato il ramen! È gustoso, si presta a mille variazioni ed è perfetto per cena non solo d’inverno, ma sempre.
Il ramen non ha la raffinatezza del pesce crudo. È un piatto alla buona, che riesce facilmente e piace a tutti. Però bisogna darsi un minimo da fare a cucinarlo, lasciando perdere i cup noodles: tagliolini e altri ingredienti disidratati, aggiungere acqua calda fino al segno e aspettare tre minuti.
Come la Coca Cola e le crocchette per i gatti, i cup noodles sono drogati: chi comincia a mangiarli non riesce più a farne a meno. Vanno considerati un cibo di emergenza, da tenere di riserva in caso di terremoti o catastrofi varie. Sperando di non doverli usare mai.

Cucina giapponese tradizionale

Quello che preparo io farebbe inorridire i cultori del ramen, ma pazienza. In pratica ci vogliono tre cose: brodo, pasta, condimento. Non c’è bisogno di ingredienti speciali, riesce benissimo anche usando le cose che ci sono in Italia.
Cominciamo dal brodo. Quello di base della cucina giapponese è fatto con alga konbu e fiocchi di bonito (un pesce essicato e ridotto in scaglie) ma si possono usare altri tipi di brodo. Di verdura: funghi freschi o essiccati, porro, cipolla, germogli di soia. Di carne: in alcune varietà di ramen lo si fa con un osso di maiale, ma si può usare il pollo. Di pesce. E per chi va di fretta, ahimè, esistono mille tipi di granulare o dashi, ma faccio il possibile per evitarli. Qualche volta uso il konbucha, fatto con polvere di alga konbu e the verde.
250-300 ml di brodo per persona. Si porta a ebollizione e ci si butta la pasta.

Pasto di fantasia

I tagliolini del ramen sono fatti con farina di frumento, sale e un particolare tipo di acqua minerale alcalina, chiamata kansui. Si possono sostituire con qualunque tipo di pasta lunga molto sottile, all’uovo o no, riccia o liscia: tajarìn della tradizione piemontese, capelli d’angelo, fidéj o come altro si chiamino nell’infinita varietà gastronomica delle regioni italiane. 40 grammi a persona sono più che sufficienti nel caso di pasta secca, il doppio se è fresca.

Mentre la pasta cuoce, si prepara il condimento. Qui c’è da sbizzarrirsi: va bene tutto, purché si tratti di una piccola quantità di cibo molto saporito. Si può usare del miso (pasta di soia fermentata); del cipollotto tritato con un po’ di sale fino; riciclare qualche fetta di arrosto, un avanzo di pesce alla griglia, far saltare in padella dadini di tofu con cipolla e zenzero, qualche gambero con aglio e peperoncino… insomma non ci sono regole, tutto è lasciato alla fantasia!

Il “mio” ramen

L’assemblaggio del piatto. Si aggiunge il condimento nella pentola e dopo avere mescolato, si distribuisce il contenuto nelle tazze. Devono essere grandi (capienza un litro o giù di lì) e piuttosto profonde, in modo da mantenere il calore. Infine potete decorare il vostro ramen con qualcosa che appaghi anche la vista: qualche rondella di carota lessa tagliata a forma di fiore, fettine di ravanello, mezzo uovo sodo oppure lo scenografico narutomaki bianco e rosa. Et voilà, il ramen è servito.

Adesso viene la parte più difficile: riuscire a mangiarlo con le bacchette. Si solleva la tazza con la sinistra, si impugnano le bacchette con la destra, si afferra un ciuffo di tagliolini e dopo averli portati alla bocca, si risucchia. È d’obbligo fare rumore. Chi è stato educato a seguire le regole del galateo si sentirà come se stesse commettendo un sacrilegio, ma al diavolo le inibizioni. Buon appetito!

N. B. TUTTE LE FOTO SONO STATE SCATTATE DA GRAZIA MARIA FRANCESE.

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