Finisce di leggere l’articolo di Matesi e chiude gli occhi. È sola, in casa, può lasciarsi andare a quello che sa fare meglio: cazzeggiare senza limitazioni. Che vor di’? Vuol dire che può immaginarsi sul podio, quello figo con il microfono, al centro di un palco, vestita tutta caruccia, con una folla devastante davanti e i flash dei giornalisti che gridano “De qua! De qua! Damme la tre, sbattigliela in faccia! Sorridi, ciccia, che stai pe fa un discorso epico! Daje che non c’avemo tutto sto tempo, eh?” e pensa che li sbatterebbe fuori senza manco stacce a pensà: perché lei è importante, lei è bella come al giorno del matrimonio, lei ha THE POWER! Ed eccola, che si alza dalla sedia al centro del saloncino, sempre a occhi chiusi – ché se poco poco se guarda sul riflesso der pc mentre sta a fa quello che sta a fa sai quanto se vergogna? – e chiude la mano a pugno davanti alla bocca: ha preso il microfono in mano. Sorride, per tutte le battute che je girano in capoccia, ma tossicchiando se riprende subito. Il suo discorso è importante, ci sono millemila persona che la stanno a guardà e lei non è che se po’ fa sgamà subito pe stupidotto: lei ha THE POWER.
Insomma, si guarda intorno, guarda la platea, si copre un attimo gli occhi per far capire ai giornalisti che hanno rotto i coglioni co sti flash – e quelli che abbassano la macchinetta con una smorfia e che pensano: “che stress, queste, ao. Quanno c’era er poro mi nonno ste cose mica ce stavano, stavano a fa la calzetta a casa, mica come adesso” – e si schiarisce la voce.
«Bene» esordisce – e se ricorda de tutte le vorte che l’amiche sua j’hanno detto “Federì, ricordate de parlà italiano, non te fa riconosce subito. Er romano non è chic, non è niente: se voi credibilità, parla italiano” – «se siamo qui questa sera è per testimoniare quanto la lotta contro il maschilismo abbia portato a dei risultati significativi. Ho sempre pensato, devo ammetterlo, che questo momento non sarebbe mai arrivato, che tutto sarebbe rimasto confinato all’interno della mia testa, che nessuno avrebbe mai investito un centesimo nel darmi adito. E invece eccoci» e allarga le braccia, indicando tutti «finalmente uguali, finalmente uniti per un bene comune. Senza distinzioni, barriere, senza sessi, senza pregiudizi. Sono le intelligenze a parlare, questa sera – e io modestamente… – non le voci di un passato che voleva donne e uomini differenti. Fino a ieri il cosiddetto “gentil sesso” – che se poi fosse davvero tanto gentile me devono spiegà perché quanno stai incinta c’è sempre la vecchiaccia che te passa avanti e te dice che non è che sei malata, c’hai solo venti chili de panza e lei invece l’artrite – era relegato a posizioni sociali quasi irrilevanti, con qualche eccezione che doveva PER FORZA darci il metro per capire che i tempi stavano cambiando – e manco pe niente – che non era vero ciò che le cattive femministe dicevano, ovvero che ci si stava beando di una parità fallace, menzognera, priva di vero slancio per il futuro.»
Fa na pausa, se guarda intorno e rischia de cede all’ansia, sotto tutte quelle bocche appese al suo discorso, ma raddrizza la schiena e guarda dritto davanti a sé.
«Da bambina, in casa mia girava un libro. Ci pensavo proprio qualche giorno fa, prima che voi mi eleggeste come vostro portavoce. Era un romanzo di Lara Cardella, si intitolava “Volevo i pantaloni” e narrava le vicende quasi del tutto autobiografiche di questa ragazza che combatteva contro il pregiudizio e l’ottusità della sua famiglia e della comunità in cui viveva. Perché, signori e signore mie, fino a pochi anni fa alla donna non era consentito un bel niente, molto meno di adesso. Be’, quando ero piccola pensavo fosse assurdo trattare le donne e considerare la loro intelligenza solo in base alla loro natura, al loro corpo, ai tratti naturali che distinguono di fatto un uomo da una donna. Credevo fosse davvero surreale la maniera in cui perfino alcune donne consideravano loro stesse all’interno della società. Ma sapete una cosa? Per quanto la situazione fosse, all’epoca, ben più tragica di ora, c’era la voglia di combattere, di far rispettare la propria dignità, di gridare al cielo e agli altri il proprio diritto a esistere e vivere, LAVORARE, essere considerate come persone» declama, e azzo se lo fa con carisma. Guarda tutti, i giornalisti che sono ammutoliti, le donne che hanno la scintilla negli occhi, gli uomini che storcono un po’ la bocca, ma che alla fine sono costretti ad ascoltare e annuire perché lo sanno che c’ha ragione lei.
«Mi sono sempre chiesta: cambierà? Cambierà questa visione maschilista che ha talmente contagiato la società – è essa stessa frutto di un maschilismo imperante – da “costringere” le donne a considerarsi di fatto esseri inferiori nonostante non lo ammettano? Ci sarà la possibilità un giorno di dimostrare con certezza che esistono persone stupide, e non generi idioti? Che non importa se un individuo sia donna o uomo per decretare la sua totale mancanza di intelletto, o attitudini, o talenti? Ebbene, signori, oggi io sono qui per dimostrare a voi e a me stessa che sì, quel giorno è arrivato! Io sono…»
«Ma che stai a fa?» le chiede il marito, in piedi sulla soglia, con le chiavi che je ciondolano dalla mano e un ghigno sulle labbra. Un ghigno stronzo, di quelli che te fanno vergognà na cifra, de quelli…
«Niente!» esclama lei, scuotendo la testa sdegnata come se le stesse facendo una domanda assurda. «Niente, stavo a… prova ad alta voce il discorso de un personaggio che…»
«Una che diventava presidentessa de quarcosa in un ipotetico futuro, che guarda un po’ se chiamava Federica e che c’aveva un marito e un figlio?» incalza lui, chiudendosi la porta alle spalle sempre cor sorriso sulle labbra.
«Ma non fa lo stupido, no, io stavo…»
«E che magari teneva un discorso femminista pe di’ che è brava, intelligente e che non c’ha niente da invidià a n’omo perché le donne so forti?» continua avvicinandosi a lei che si ritrae un po’. Madonna, che figura de merda, però!
«Non è che…» tenta lei, ma lui è ormai davanti a lei e le ha cinto la vita con le mani.
«E che magari sognava che non fosse solo un sogno, ma che la gente se rendesse conto che è vero, che succede già, che le donne davvero sono uguali agli uomini?» continua baciandola delicatamente. «Ciao» le dice infatti.
«Ciao» risponde lei, fucsia, poi assottiglia lo sguardo. «Me stai a prende in giro?» indaga.
«No» replica lui, alzando le spalle. «Solo che…»
«Solo che?»
«Solo che se ve la raccontate tra de voi, ogni vorta, te dentro casa tua e tizia dentro la sua, non cambierà mai niente. Vojo di’, magari sarebbe ora che quarcuno facesse quarcosa de più. Non dico una pe tutte, dico tutte.»
«Sarebbe… utopico» ribatte lei alzando gli occhi al cielo. Ma lo sa che c’ha ragione lui. «Ma io più de parlà a raffica della parità… Cioè, come me pure un sacco de artre e…»
«E come me un sacco de artri» la rimbecca lui «ma non è abbastanza. C’ha ragione l’amica tua, quella che ha pubblicato l’articolo stamattina: tocca educà i figli.»
«Eh, ma tu fijo già sta sulla strada giusta» ride lei «n’hai visto come vole mette in ordine casa ogni vorta?»
«Perché c’ha noi come genitori» dice lui. Forse so un po’ troppo poco modesti, ma che je frega? L’importante è credece!
«Ma insomma te sei letto gli articoli de Matesi?»
«Ormai so lettore fisso» le dice ridendo, poi l’abbraccia e all’orecchio je sussurra: «Io devo riuscì pe andà a compra er pane… Poi finì er discorso.»
I romanzi di Federica D’Ascani
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