Bully” (bullo) riveste il significato di prepotente. Il termine è dunque usato nei confronti di un soggetto che fruisce della propria forza o potere per mettere in difficoltà e ferire un individuo più fragile. Il bullismo si traduce in una forma di maltrattamento psicologico, verbale o fisico che persiste nel tempo, attuata da una persona o un gruppo di persone più potente contro un soggetto più debole, che non è in grado di difendersi. Il bullismo si concretizza in una vera e propria violenza che crea conseguenze gravi alla vittima: profonda sofferenza e abbassamento del livello di autostima, esclusione dal gruppo, isolamento, solitudine, vergogna. La vittima non offre alcun tipo di narrazione circa il proprio vissuto, in quanto teme ritorsioni o di non essere creduta.

Fu lo psicologo norvegese Dan Olweus nel 1970 circa, a compiere i primi studi sul bullismo nelle scuole in seguito al suicidio di due ragazzini e pubblicò i dati emersi, operando dunque una riflessione sulla violenza fra bambini e ragazzi. La sua indagine fece emergere un fenomeno che era sottostimato e sottovalutato.

Vediamo quali sono le caratteristiche del bullismo: innanzitutto siamo di fronte a un fenomeno che è di tipo intenzionale, infatti gli atti psicologici verbali e fisici sono voluti e pensati, cioè hanno lo scopo di offendere e di mettere in difficoltà la vittima. Il bullo prova soddisfazione a insultare, denigrare o picchiare la vittima, non avverte né empatia né sensibilità nei confronti del perseguitato/a. Prosegue nel suo intento anche di fronte al malessere evidente. Il bullismo presenta come seconda caratteristica quella di perdurare nel tempo: le azioni avvengono sempre in un gruppo di amici o compagni di scuola, testimoni, aiutanti o complici. Tali eventi ripetuti spingono l’oppresso/a a perdere autostima, a vivere un senso di solitudine e depressione. Il terzo elemento fondante del bullismo è la asimmetria nella relazione, il bullo è più forte della vittima, inoltre il carnefice si appoggia al gruppo e da esso esso viene sostenuto.
Un dato molto grave è che nel bullismo viene purtroppo preso di mira il soggetto con diversità a vari livelli. Uno studio condotto negli Stati Uniti rivela che il 98% dei ragazzi/e autistici viene bullizzato a scuola.

Approfondendo, vediamo ancora che il bullismo si connota in modi diversi: una prima distinzione va fatta tra bullismo diretto e indiretto.
Il bullismo diretto può essere verbale o fisico: il bullismo fisico si manifesta mediante forme di violenza fisica quali picchiare, spuntare, spintonare, dare pizzicotti, fare sgambetti, sottrarre oggetti personali o distruggerli. Il bullismo verbale si estrinseca attraverso minaccie e offese più o meno gravi.
Il bullismo indiretto è molto diffuso, è più sottile di quello diretto, mira alla sfera psicologica e sociale dell’oppresso, pertanto è subdolo e difficilmente riconoscibile. È una forma di isolamento sociale ed esclusione intenzionale dal gruppo, dalle attività comuni. Il bullo mette in circolazione pettegolezzi sulla vittima per rovinarne l’immagine e farle perdere gli amici e la conseguente stima.

Penso che sia importante riconoscere i ruoli all’interno dei gruppi: in primo piano c’è il bullo che compie atti di prepotenza, poi abbiamo la vittima che subisce le violenze, l’aiutante del bullo, il sostenitore, cioè colui che incita o ride agli atti del bullo, i testimoni passivi che osservano in modo indifferente la scena senza intervenire. Questi ultimi sono degli omertosi, spettatori di ciò che loro vorrebbero fare, incapaci come i bulli di emozioni positive ed empatia. Capiamo dunque che il bullismo non è un fenomeno individuale, ma di gruppo. Infatti gli atti avvengono sempre alla presenza di più ragazzi ad esempio in classe. I compagni per timore di essere presi di mira, stanno al gioco del bullo senza difendere la vittima o denunciare i fatti.
Il bullo secondo Olweus è un ragazzino/a molto popolare nel gruppo, è temuto e non rispetta le norme. Necessita di affermarsi attraverso il potere, non ha sensibilità verso i sentimenti altrui, non ha dunque empatia. Per Olweus il bullo ha vissuto in una famiglia poco armonica, anafettiva, autoritaria con deprivazione affettiva, è stato un po’ abbandonato a sé stesso. In genere il carnefice è stato cresciuto da genitori che gli hanno insegnato a risolvere i problemi con la violenza e non con un confronto costruttivo.
Il bullo è impulsivo, aggressivo verso i pari e gli adulti, vuole essere al centro dell’attenzione, non ha autocontrollo, non ha resilienza, non accetta le frustrazioni, non ha doti di solidarietà verso gli altri. I bulli non sono capaci di avvertire emozioni, perchè in loro è principale la pulsione del momento e si comportano in base ad essa.
La condotta del bullo è la manifestazione di un disagio sociale e famigliare, dovuto a violenze subite o a esempi genitoriali aggressivi, a vuoti interiori celati dietro una maschera di fierezza, a eccessiva visione di immagini e filmati violenti. I bambini che già prima dei dieci anni hanno atteggiamenti da bullo, evidenziano una forma di disadattamento sociale che col tempo può sfociare in atti di violenza nella criminalità.
Un’indagine ha osservato che sia i bulli che le loro vittime hanno una elevata probabilità di avere scarso successo a scuola, da adulti di avere difficoltà di inserimento nel mondo lavorativo, propensione alla dipendenza da alcol e sostanze stupefacenti e diventare veri e propri delinquenti.

Ritengo che sia importante educare figli e studenti al rispetto, al confronto costruttivo, alla comunicazione assertiva e all’ascolto, fungendo da modelli positivi, insegnando le regole del vivere civile, ad accettare le frustrazioni che inevitabilmente la vita riserva, tutti aspetti che sono essenziale per una crescita equilibrata.

A differenza dei bulli, le vittime sono individui sensibili, a volte insicuri, timidi e chiusi in sé stessi, non hanno capacità di reazione agli insulti e tendono a negare il problema colpevolizzandosi. Hanno una bassa autostima, si ritengono poco attraenti.
A scuola non hanno molti amici e hanno sempre un atteggiamento mite.

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Oggi, vi presentiamo MAI PIÙ PAURA – Il bullismo spiegato a tutti.

L’autrice riesce in questo libro a contemperare, amalgamare e rendere fruttuose le sue sensibilità culturali, professionali, scientifiche. Tale amalgama mette a disposizione del lettore una varietà di fatti, ricerche e sperimentazioni attuali che lo rendono di sicuro ampio, approfondito e stimolante, ma soprattutto utile. Chiara Vergani deve la sua efficacia di scrittrice e di divulgatrice, anche televisiva, a una lunga militanza di insegnante che le ha permesso di toccare con mano, analizzare, vivere e partecipare, con finalità di prevenzione e contenimento, a molti casi di bullismo, agendo a sostegno di bambini, genitori e insegnanti. Una grande pratica, quindi, che si fa teoria. L’autrice ha nel suo bagaglio una robusta formazione psicopedagogica universitaria, questo le ha consentito di interpretare, capire e spiegare con serenità ed efficacia molti di questi esempi visti e vissuti. Non si è fermata però alla sola, se pur poderosa, esperienza, ma ha corredato il suo tessuto divulgativo con un ordito di riferimenti scientifici, di esperienze nazionali e internazionali che rendono il suo prodotto intellettuale unico e concreto. Ottenendo in tal modo un risultato molto ricercato tra i cultori delle scienze sociali: sostenere una buona pratica con una brillante e ben documentata teoria.
(Dall’introduzione del prof. Giuseppe Favretto).