La prima volta che lessi integralmente Il Principe fu, naturalmente, su ordine del mio professore di italiano in seconda liceo classico. Non rammento bene che effetto mi fece: certo si trattava di una lettura molto impegnativa, nonostante la sua brevità, soprattutto senza una preparazione particolare, ma mi ricordo che alla fine la cosa che mi disturbò di più fu che la relazione scritta da noi consegnata non venne mai corretta, né discussa (pratica didattica riprovevole, che da insegnante evitai sempre con cura). Ne parlammo un po’ fra alunni (fra i migliori, come è ovvio), ma senza approdare da nessuna parte. Era il 1967 e credo che, nonostante il nostro professore ci avesse illustrato il concetto di autonomia della politica dalla morale e dalla religione, non capissimo bene di cosa si trattasse e che in ogni caso l’argomento ci sconcertasse. Ne parlammo solo con il nostro insegnante di religione, un prete, a proposito del tema ragion di stato. Ovviamente ci venne spiegato che la società civile poteva parlare di tale autonomia, ma al dunque ogni cristiano doveva scegliere se salvare lo Stato, anche facendo cose riprovevoli, oppure la propria anima. Dilemma che allora era per me insostenibile. E in parte anche oggi.

Cesare Borgia

Cesare Borgia

Machiavelli non era una persona particolarmente credente e bisogna sempre ricordare che nel Principe tratta di governi assoluti di recente acquisizione, in cui il sovrano aveva poteri quasi illimitati. Non per niente erige a modello Cesare Borgia.

Oggi siamo consapevoli che mai lo scrittore affermò: il fine giustifica i mezzi. Semplicemente aveva dovuto constatare che all’epoca per conquistare il potere il principe non poteva non usare la violenza. Quindi distingue fra crudeltà bene o male usate: le crudeltà bene usate sono quelle che si fanno tutte insieme all’inizio per rendere forte la propria posizione e devono lasciare il posto, appena possibile, a provvedimenti per assicurare i sudditi sul fatto che le leggi verranno rispettate e che tutti godranno dei benefici che garantisce un governo stabile e capace. Molto interessante il fatto che l’espressione “crudeltà bene usate” viene accompagnata da una precisazione fra parentesi (se del male è licito dire bene). Machiavelli, insomma, non attua un rovesciamento di valori, non pensa che il male sia bene. Semplicemente invita al realismo. Il vero fine del potere è il bene dello Stato (cosa che nell’assolutismo si identifica con il vero bene del principe come statista, non con i suoi desideri personali). Insomma il sistema per reggere deve avere l’appoggio del popolo, cioè della borghesia, che, a differenza dei nobili, si accontenta semplicemente di non essere oppressa: perciò ciascuno deve considerare al sicuro le donne della sua famiglia e i suoi beni. Il principe deve promuovere il commercio e in genere le attività economiche, tenere sotto controllo il bilancio dello stato e fare attenzione a non esagerare con le tasse.

AAA-PRINCIPED’altra parte è spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. Deve adeguarsi all’evolversi delle situazioni e della fortuna: non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, se occorre. Mai deve avere scrupoli a violare i trattati o la parola data, se sono venuti meno i motivi o gli interessi che lo avevano spinto a sottoscrivere quegli accordi.

Il suo scopo deve essere sempre quello di far prevalere e mantenere lo Stato. I mezzi usati saranno sempre considerati onorevoli e approvati. Tanto per lo più le persone badano solo all’apparenza e al risultato.

Cinquecento anni ci separano da Machiavelli. In mezzo ci sono stati l’Illuminismo e la rivoluzione francese. In molte parti del mondo il potere non può più facilmente diventare strapotere, ma quanto è possibile conciliare la politica con le idealità? Ed è giusto coltivare l’avversione e il rifiuto verso ogni tipo di classe dirigente?

In particolare in Italia viviamo anni difficili a causa dell’alto tasso di corruzione e a volte pare non si riesca o addirittura non si voglia conciliare politica ed onestà. Mentre d’altra parte neanche l’onestà è sufficiente: anche solo per amministrare occorrono competenza ed efficienza.

Toni Servillo

Toni Servillo

Nel 2008 Paolo Sorrentino (Il Divo – La spettacolare vita di Giulio Andreotti, film scritto e diretto da Paolo Sorrentino, n.d.r.) ha presentato la figura di Andreotti come quella di un nuovo Valentino e ha avuto un successo strepitoso. Forse anche perché per molti di noi Andreotti è stato a lungo la personificazione del male. Contemporaneamente insistiamo nel chiedere ai politici coerenza. Tiriamo fuori in continuazione filmati in cui il deputato Tale diceva esattamente l’opposto di quello che dice oggi. “Sciocchezze!” direbbe Machiavelli. ”Quando la situazione cambia, per forza cambiano anche idee e progetti.”

Ma allora cosa dovrebbe tener fermo un politico? Difficile rispondere senza cadere nell’ingenuità. Forse la sua stella polare dovrebbe essere il bene del suo paese, da perseguire con tutte le sue forze e le sue capacità, riunendo intorno a sé tutte quelle competenze che nessuno può avere da solo. Però non sarebbe male abbinare poi una personale integrità. In fondo perfino Machiavelli nelle sue lettere rivendica la propria onestà e, per quel che se ne sa, morì povero.

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Scritta da Niccolò Machiavelli quasi di getto nel 1513, l’opera Il Principe (titolo originale “De principatibus”) è dedicata a Lorenzo de’ Medici, nipote del Magnifico e duca di Urbino. Questo giovane principe, esuberante e ambizioso, era sorretto dall’autorità di Leone X, eletto al soglio pontificio proprio nel 1513, così Firenze e Roma, da secoli nemiche, vennero a trovarsi unite, creando i presupposti per una nuova Italia. Il Principe è un trattato in ventisei capitoli e il suo contenuto può essere diviso in quattro parti. Nella prima l’autore analizza il modo in cui si possono governare e mantenere repubbliche e principati. Nella seconda sostiene la necessità che le milizie siano cittadine e non mercenarie. Nella terza parte, che è la più interessante e la più discussa, vengono prese in considerazione le qualità negative e le virtù di un principe, tra cui liberalità e parsimonia, crudeltà e pietà, lealtà e tradimento, astuzia e violenza. La quarta parte è poi importantissima: viene trattato il tema della fortuna e l’ultimo capitolo è una vera e propria esortazione a Lorenzo de’ Medici, affinché liberi l’Italia dai barbari per darle unità e libertà.