Puoi riassumere Macbeth in una sola frase? O Guerra e Pace in meno di sei parole? «Classici in pillole» è una raccolta spiritosa di alcuni dei principali classici della letteratura occidentale. John Atkinson, il fumettista creatore del sito di vignette «Wrongs Hands», riassume con grande abilità queste opere nella minor quantità di parole possibile, impreziosendole con deliziose illustrazioni umoristiche a colori. Classici in pillole comprende più di cento titoli, da «Il mondo nuovo» a «Orgoglio e Pregiudizio», da «Romeo e Giulietta» a «I Promessi Sposi». I sintetici riassunti contenuti in queste pagine faranno sorridere gli amanti dei libri, e non solo.

Titolo: Classici in Pillole.
Autore: John Atkinson.
Genere: Umoristico.
Editore: HarperCollins.
Prezzo: euro 13,60 (copertina rigida).

Questa è una recensione un po’ così. Leggetela con poche pretese.

Il sottotitolo è significativo: “Brevi riassunti di libri che avresti dovuto leggere ma probabilmente non l’hai mai fatto”. E si riferisce alla celebre frase di Mark Twain “Classico: un libro che tutti elogiano e nessuno legge”. Cattivacci questi due! Dai, un po’ di ragione ce l’hanno.

La Recherche? Tutti parlano della madeleine, ma CHI si è sorbito (scusatemi) tutti i volumi? Io mi sono fermata alla fine del  primo. Forse ritenterò. Intanto, vi lascio la ricetta dei biscotti.

Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati maddalene, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta ? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della maddalena. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva ? Che senso aveva ? Dove fermarla ? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. E’ stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione ( e proprio ora ), per uno schiarimento decisivo. Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità…retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più…ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio….” (Marcel Proust, Dalla parte di Swann)

Per consolarvi, vi riporto il giudizio del lettore cui l’editore Fasquelle (che pubblicava Zola e Rostand) affidò il manoscritto inviatogli da Proust.

«Dopo settecentododici pagine di questo manoscritto – dopo infinite desolazioni per gli sviluppi insondabili in cui ci si deve sprofondare ed esasperanti momenti d’impazienza per l’impossibilità di risalire alla superficie – non si ha nessuna idea di quello di cui si tratta. Che scopo ha tutto questo? Che cosa significa? Dove ci vuole condurre? – Impossibile saperne e dirne nulla.»

Insomma, John Atkinson -che forse conoscerete per Wrong Hands- ci restituisce un modo dissacrante di leggere i Classici (notate la maiuscola): da “Le vecchie signore convincono un ragazzo a rovinare la Scozia” (Macbeth) a “Tutti sono tristi. Nevica” (Guerra e pace), queste sinossi intelligenti e divertenti faranno sorridere gli amanti dei libri.

John Atkinson vive a Ottawa, in Canada. È un lettore vorace di scatole di cereali, libretti di istruzioni per forni a microonde e sottintesi. John è tormentato da un sogno ricorrente nel quale si perde il Rinascimento a causa di un guasto alla macchina. Inoltre sostiene di avere coniato la frase “ho mangiato una banana sul treno”, che però, come tutti continuano a dirgli, non è affatto un modo di dire.

Le sue vignette di Wrong Hands sono state pubblicate online e su carta in moltissimi Paesi e possono essere lette regolarmente sulla rivista Time.