Abbiamo con noi Hagar Lane, autrice del fantasy storico “Cavalier Hak”. Una chiacchierata davanti a una tazza di tè è l’ideale in questa giornata uggiosa.
Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Scrivo fantasy-storici, ma non l’ho scelto io. È stato il fantasy-storico a scegliere me, e credo proprio che mi calzi a pennello. Mi piace stare in una dimensione fantastica, dove si sorride, ma al tempo stesso si legge di tematiche importanti, che stimolano riflessioni profonde su noi stessi, l’epoca storica in cui viviamo e il senso della vita. Abbinare il fantasy alla storia, poi, è stata quasi una rivelazione per me, nel senso che mi ha dato modo di studiare il Medioevo e il Rinascimento.
Penna e carta, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iphone?
Scrivo rigorosamente al computer. Non ho mai preso appunti e non ho mai usato l’iphone per scrivere. Ho scritto Cavalier Hak durante oltre un anno di isolamento totale dal mondo. Ho chiuso tutti i social, disinstallato whatsapp e interrotto qualsiasi comunicazione con anima umana. Durante un anno e tre mesi, per l’esattezza, ho frequentato solo una mia carissima amica, Simona, che vedevo una volta a settimana o meno, e uscivo una o massimo due volte al mese per fare la spesa e le commissioni. Sembra incredibile, ma è così che è andata. Mi sono totalmente immersa nello studio e nella scrittura per 15 ore al giorno, quando non di più. Avrei potuto scrivere Cavalier Hak in una condizione diversa da quella che io stessa mi sono imposta per scrivere? Ritengo di no.
C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
Quando ho scritto Cavalier Hak ho perso la cognizione del tempo. Per oltre un anno non ho fatto alcun distinguo fra il giorno e la notte. Ci sono state volte che ho scritto per dieci ore di fila e, quando mi sono alzata dalla sedia, mi sembrava fosse passato un minuto. Altre volte ho studiato documentari e libri per tutta la notte. Altre volte mi sono persa per giorni nella ricerca spasmodica di un dettaglio che non riuscivo a trovare e di cui necessitavo per un capitolo da scrivere o che avevo già scritto. Ovviamente tutta la mia vita per un anno e tre mesi non ha seguito alcun orario, nemmeno per i pasti. C’è stato un periodo, durato un paio di settimane, nel quale ho scritto e studiato ininterrottamente di notte e riposato di giorno. Insomma, è stata una sfida estrema con me stessa. Quando iniziavo un capitolo, una cosa sola era certa: non mi sarei alzata fino a che non lo avessi finito. Dopo, lanciavo la stampa, e in quel momento provavo una gioia e un senso di pienezza indescrivibili. Fra un capitolo e l’altro utilizzavo tutto il tempo per studiare e rifinire ossessivamente i capitoli già scritti.
Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Quando ho scritto Cavalier Hak ho vissuto tutto sul mio corpo, perché l’ho scritto accedendo, grazie all’isolamento totale, al mio inconscio. Ritengo che da lì sia sgorgato quel mondo vastissimo di personaggi che sono presenti nel romanzo, esclusivamente da lì. Vivere tutto sul proprio corpo significa che in certe scene mi sono divertita, in altre emozionata fino alle lacrime, in altre ancora ho sofferto moltissimo. Ho realizzato man mano che stava succedendo qualcosa di magico, speciale, bellissimo e terrificante insieme, che andava al di la del “semplice” scrivere un romanzo. Avevo messo al servizio il mio corpo e la mia mente per la scrittura di una storia che nel mio inconscio era già scritta, fin nei minimi dettagli. Decisi, così, che sarei andata avanti a qualsiasi costo, fino alla fine, più per la curiosità di scoprire io stessa l’esito di quelle vicende che per pubblicare il libro e farlo leggere ad altri. Non ho scritto alcuna scaletta dei capitoli, della trama e della caratterizzazione dei personaggi. Tutto è venuto fuori da sé. Semplicemente, non ho imposto censure a nessuno dei personaggi che si alternavano sulla scena, fiduciosa che se erano apparsi c’era un perché, e quel perché lo avrebbero svelato loro stessi a tempo debito. “No censure”, quindi, è stata la mia parola d’ordine.
Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Un misto delle due cose. Per usare la potenza creatrice dell’inconscio non puoi scrivere scaletta, trama e personaggi, ma lasciare che la storia emerga spontaneamente dalle tue viscere. Nel mio caso, è stato necessario un lunghissimo periodo di isolamento dal mondo, inclusi i familiari, che ricevettero l’ordine di chiamarmi solo in caso di problemi. La mia unica compagnia è stata quella del mio adorato gatto, che amo profondamente e vive con me da 15 anni.
Detto questo, però, è vero anche che c’è moltissima scrittura architettonica nel mio romanzo. Me lo sono imposta, un po’ perché mi piaceva e un po’ perché avevo il desiderio di far conoscere il più possibile le due epoche storiche nelle quali è ambientato il romanzo: Medioevo e Rinascimento. Mi sono ritrovata a studiare e costruire 85 ambientazioni differenti. Nella mia scrittura, inoltre, c’è molta tecnica, di tipo psicologico (linguaggio corporale), simbolico e cinematografico, nel senso che ho voluto scrivere un romanzo fortemente “visivo”, che rispecchiasse nella tempistica le scene di un film. I capitoli sono quasi tutti brevi, ma intensi, ricalcano la schiettezza delle sceneggiature senza perdere la bellezza propria dei romanzi. Per far questo ho dovuto tagliare tantissime parole dopo aver scritto ogni singolo capitolo, anche a fatica a volte, nell’intento di raggiungere l’essenza pura e cruda della scena.
Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Con costanza, assolutamente. Ho deciso che mi dedicherò a lanciare Cavalier Hak fino a febbraio prossimo, e da marzo tornerò a studiare e scrivere. Il desiderio è creare il prequel di Cavalier Hak, che ambienterei nel periodo Romano, o il seguito, che ambienterei nel ‘700. Il giorno in cui deciderò di scrivere il mio secondo romanzo sparirò nuovamente dalla faccia della Terra per un po’, perché voglio immergermi nell’epoca storica dei fatti che narro senza distrazioni.
Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
Ho amato e amo così profondamente Cavalier Hak da definirlo “mio figlio”. Amo tutto quello che mi ha fatto capire di me, dell’umanità e della vita. Scrivere è fare un viaggio interiore profondissimo, dal quale esci completamente cambiata/rinnovata.
Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Certamente. Sto rileggendo ora Cavalier Hak per la miliardesima volta – lo conosco quasi a memoria – e rivivo il ricordo commovente di tutto quello che ho passato per scriverlo, perché questo libro è stato veramente una grande sfida.
C’è qualcosa di autobiografico nel suoi libri?
Il Libro primo di Cavalier Hak – il mio romanzo si compone di due libri – è molto autobiografico. Il Libro secondo lo è comunque, perché ho capito che tutti i personaggi semplicemente erano le mie voci interne che parlavano senza censure.
Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
Io sono una lettrice quasi ossessiva, ma non di romanzi. Ho letto una marea di saggi, libri di psicologia, management, informatica, economia, strategia, business, favole, tarocchi, religione, politica. Sono un’amante dei documentari, che guardo la sera al posto dei film, con un pacchettino di pop-corn in mano. Documentari di tutti i tipi, storici, sulla natura, di guerra, filosofia, psicologia, biografie, etc. E vedo una quantità immensa di conferenze. Ecco, guardare i documentari e le conferenze è per me una cosa importantissima da fare se si vuol scrivere un romanzo. Guardando i documentari ,incorpori una forma di linguaggio tipica: asciutta, senza fronzoli (molto americana, direbbe qualcuno), che ritengo essere potente con riferimento soprattutto alla voce narrante. Per arrivare ad una scrittura “visiva” ritengo che si debba maneggiare quel tipo di linguaggio. Le conferenze, invece, ti insegnano il ritmo. Sembrerà strano, perché il ritmo è qualcosa che rimanda al mondo della musica, e invece è un aspetto importantissimo anche nei romanzi. E il ritmo lo puoi imparare in tanti modi. Non sapendo suonare nessun strumento musicale, ho capito che dalla visualizzazione delle conferenze imparavo un sacco di cose interessantissime, ma assorbivo anche, quasi per osmosi, il senso del ritmo nell’uso della parola, anche scritta. Altro aspetto importantissimo: impari a ragionare “per immagini”. Quando unisci le conferenze e i documentari allo studio della psicologia, della simbologia, del linguaggio corporale, etc., è evidente che vai costruendoti una bella cassetta degli attrezzi, anche come scrittore di romanzi.
Durante la scrittura di Cavalier Hak il mio materiale di studio è stato per il 70% di tipo visivo – documentari, conferenze, video, film – e per il 30% composto di libri, di tutti i generi e riguardanti gli argomenti più vari.
Forse il leggere di tutto mi ha anche aiutato a tirar fuori il mio personalissimo stile di scrittura, senza imitare, anche non volendo, lo stile di altri autori. Il mio consiglio, dunque, è di leggere tantissimo – e non dimentichiamo gli audiolibri, che sono meravigliosi – ma spaziando a 360°.
Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ho partecipato a Io Scrittore e mi è andata male. Per certi versi sono contenta, ora, perché l’esperienza dell’auto-pubblicazione è molto importante: si imparano tantissime cose fondamentali. C’è sempre tempo per cercare di essere pubblicati, nel frattempo ti diverti a indossare i panni dell’imprenditrice di te stessa.
A cosa sta lavorando ultimamente?
Sto rivedendo la versione in inglese del Libro Primo di Cavalier Hak, che esce adesso, e mi sto preparando per la scrittura del mio prossimo romanzo.
Vuole aggiungere qualcosa a quanto detto finora?
Ho avuto l’onore di aver avuto la Prefazione scritta dal Prof. Diego Fusaro per Cavalier Hak, che non finirò mai di ringraziare.
Grazie per essere stata con noi.
Grazie di cuore per l’intervista.
Cavalier Hak è un fantasy storico, ambientato in parte nel Medioevo e in parte nel Rinascimento, dove fantasia, storia e realtà si intrecciano sapientemente. Nel Libro Primo (La Nascita dei Draschi) i Regni, fatti di uomini liberi, spariscono uno dopo l’altro per lasciare il posto ai Draschi, fatti di padroni e schiavi. È Hak, un cavaliere errante donna, che prova a sconfiggere il male, lottando contro un Governatore del Regno dei Folli che vuol trasformare il suo Casato del Pellame in Drasco, certo che “possedere le persone” fosse l’unico modo possibile per arricchirsi velocemente senza render conto a nessuno. Nel Libro Secondo (Sapere aude) Hak diventa Re del Drasco delle Scienze. Affiancata da una saggia strega di nome Mercuria e da quattro validi e fidati cavalieri, Hak trasforma il suo Drasco in un luogo senza caste e privilegi, dove si ama e si prega liberamente, si studia e si lavora con gioia, ridando lentamente vita al culto degli Dèi pagani. Questa volta lotterà contro i Giusti: il potente Organismo Religioso Sovranazionale a capo dei Draschi. Da cavaliere come da Re, il viaggio di Hak è l’incessante ed eroico tentativo di spezzare con le proprie mani le maglie dell’inconscio collettivo, intriso di dolore per i pregiudizi e le ingiustizie sociali sedimentatesi nei secoli, ma c’è solo un modo per riuscire nell’impresa, ed è scritto in alcuni fogli di pergamena custoditi in un prezioso scrigno di faggio rosso.
Commenti recenti