Maria Masella ha scritto in esclusiva per il Blog questo racconto. Siamo alla Vigilia di Natale e Francesca, la moglie del Commissario Mariani…

Ho contato i giorni.

Quando il TG3 ha dato la notizia di come ha salvato la piccola Silvia rischiando la vita, ho avuto un tuffo al cuore e vederlo, anche soltanto per un attimo. Con la sua solita barba di un giorno e già scura, mi ha fatto accelerare i battiti. Come al primo incontro e in tutti gli altri, del resto. Mi sento un’adolescente scema, alle prese con il primo amore.
Con lui ho vissuto per anni e questo mio innamoramento dovrebbe essersi placato.
Invece no.
E mi fa una paura maledetta, perché la ragione dice che lui non cambierà mai, ma il cuore vuole illudersi.
Mi ha tradita quando aspettavo Manu. Ho cercato di ricucire un matrimonio traballante. Con quale risultato? Che si è permesso di sospettare di non essere il padre di Ludo!
Ecco il risultato di mettersi con un questurino. Il guaio è che l’ho scoperto  troppo tardi: non avevo mai creduto al colpo di fulmine e l’avevo subito.
Ho bisogno di una sigaretta, vado in cucina e tiro su l’avvolgibile per passare nel terrazzino, il mio fumoir.

Poco dopo, e ho già fatto fuori mezza sigaretta rabbiosa, una delle due che mi concedo, sento i passi di Emma e subito dopo la sua voce: “Una anche per me?”
Le porgo pacchetto e accendino. Accende, una boccata e poi: “Manu si è addormentata. E Ludo… non ho mai visto neonata più tranquilla.”
La guardo nell’incerta luce che arriva sul terrazzino dalla cucina con la luce accesa. Emma è sua madre e se per me è stato un colpo sapere che lui ha rischiato di morire, lo sarà stato anche per lei.
La sua mano si posa sulla mia e mi accorgo che stavo tremando, non di freddo. Emma non è donna di molte parole ed è di gesti sobri, ma che arrivano dritti al cuore.
“Emma…” e non so cosa dirle. Perché non tutto si può mettere in parole.
“Lo so.” E d’improvviso le sue braccia mi avvolgono. “Lo so, Francesca.”
Tiro su col naso. Borbotto che questo raffreddore non mi dà tregua, finge di credermi. Mi culla per un attimo: suocera, quasi-madre, soprattutto amica. Con un gesto indica le luci intermittenti che dall’albero di Natale si riflettono sulla finestra del soggiorno. “È stata una buona idea, Manu si è distratta…” un vago accenno di riso nella voce. “E si è anche stancata abbastanza da fare un bel sonno.”

Il nostro albero di Natale, una novità nella nostra famiglia. Questo pomeriggio ne ho comprato uno in fretta, bruttino perché al Mercato Orientale era rimasto poco; anche gli addobbi sono quello che sono, ma ho sistemato tante luci e Manu le ha guardate accendersi e spegnersi e ha voluto sapere il perché e il percome e ho dovuto improvvisare una lezione per spiegarle il funzionamento. Da chi avrà ereditato la curiosità? Da me o da suo padre?
È pazza per lui.
E lui di lei.
È un attimo e lo rivedo, padre da pochissimo e che prevedevo impacciato e inesperto, alzarsi in piena notte a cambiarla. La piccola Manu spariva quasi nelle sue mani grandi così stranamente delicate e gentili. E la guardava con una luce negli occhi… la stessa luce che gli ho visto quando gli ho concesso di vedere Ludo per la prima volta.
No, non devo pensarci. Non devo pensare a Ludo.
Quando riuscirò a dimenticare la sua voce, e stavamo parlando dell’omicidio della giallista genovese e dell’aspettare figli dall’uomo amato: “Lo ami ancora? Ami ancora Airoldi?” E implicita la domanda se quel figlio che stavo aspettando era davvero suo o di un altro uomo.
Che avesse potuto supporre non il tradimento ma la menzogna… L’avevo cacciato. Ludo gli somiglia, ancora più di Manu. L’ha tenuta in braccio una volta sola, ho capito che non ha dubbi, ma non riesco a perdonarlo. So che è pure pentito di aver dubitato, ma non riesco a perdonarlo.

“Francesca…”
Mi riscuoto e guardo Emma, rendendomi conto che mi sono distratta, persa nei ricordi.
“Sto io con Manu e Ludo. Ti dicevo che se vuoi uscire non ci sono problemi.”
“Uscire?” E per andare dove? È il 24 dicembre, per me una sera come le altre, per alcuni la vigilia di Natale, per tanti un’occasione per fare confusione, mangiare e bere troppo.
“Una passeggiata ti farebbe bene. Fra lavoro e figlie stai troppo al chiuso.”
Ho preso l’auto. Ho guidato come una sonnambula da Quinto a via Trento dove è andato a vivere quando l’ho buttato fuori. Le persiane delle sue finestre non sono accostate e non si vede luce. Non è in casa.
O è al lavoro, ma da quanto ho capito il caso è risolto, o è con una delle sue donne.
Lo odio.

Il portone è aperto, entro per aspettarlo e dirgli quanto lo odio, quanto mi ha ferito. Mi siedo sui gradini accanto alla sua porta. Gli scarponcini sono umidi, li sfilo. Tolgo anche il parka rosso. Chiuderò gli occhi soltanto per un momento.
Devo essermi addormentata, perché il suono dei passi sulle scale mi fa sobbalzare.
Apro gli occhi, li frego con il dorso delle mani.
È lui, ha la faccia stanca, le spalle curve, la barba lunga… Tutti particolari di poco conto che sono peggio di un pugno allo stomaco. Venendo qui ho messo a tacere la ragione.
“Ho bisogno di te, Antonio.” E sono il mio cuore e tutto il mio corpo a parlare. Poi troverò qualcosa di ragionevole da dirgli, ma questa notte voglio trascorrerla con lui. Con il mio Anto che ha paura del nostro amore. Forse un giorno la sua paura finirà, forse mi illudo e finirà prima l’amore. Ma in questa notte voglio essere abbracciata, baciata e amata.

Ho contato i giorni senza di lui, sono troppi.

………… 

Il racconto fu pubblicato il 24 dicembre 2015 e Teresa Siciliano lo commentò: “È il secondo racconto che Masella ha scritto su Francesca e Antonio dal punto di vista di lei: per noi marianimaniaci una chicca preziosa.”