La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica in quel giorno.

Abbiamo intervistato l’avvocato Alessia Sorgato. Le sue clienti sono mogli maltrattate, ragazze abusate o perseguitate.

Buongiorno, avvocato. Grazie per il suo tempo. Comincio subito. Quali sono le sue specializzazioni?

Buongiorno a lei. Lieta di essere qui. Mi sono laureata nel lontano 1993 in procedura penale comparata, scrivendo una tesi (direi quasi “profetica”, visto gli sviluppi che la mia professione ha registrato) sulla testimonianza del minore vittima di abusi. Nei successivi quindici anni ho svolto attivamente il ruolo di avvocato difensore, in una Milano percorsa da varie famose indagini sulle malefatte dei c.d. colletti bianchi (basti pensare a Mani Pulite o ai processi contro le Fiamme Gialle). Nel frattempo, però, collaboravo con varie riviste del gruppo Il Sole 24 Ore e pubblicavo volumi per case editrici giuridiche.

Lei ha cominciato a lavorare in un mondo quasi esclusivamente maschile, quello dei penalisti, eppure adesso il suo studio è tutto al femminile, come mai?

Quando mi sono laureata e ho annunciato che avrei cercato uno studio penalistico dove svolgere la pratica forense, ho collezionato molte reazioni perplesse, alcune francamente preoccupate e svariati tentativi di dissuasione. Mi si eccepiva per l’appunto che quello fosse un mestiere da uomini, che non avrei ricevuto alcun credito, che avrei fatto meglio a scegliere strade più consone. Effettivamente, in quei tempi, era piuttosto raro avvistare una gonna nei corridoi del Tribunale di Milano, ai piani dove si concentrano gli uffici della sezione penale. Anche nei due studi per cui ho collaborato la concentrazione di testosterone era altissima. Quando mi sono messa in proprio ho optato per le praticanti – è vero, lo ammetto – per varie ragioni. Sono precise, puntigliose, testarde e, soprattutto, se animate (come ero e sono io) da autentica passione per la materia, riescono a superare qualsiasi fatica, difficoltà ed ostacolo. Attualmente, poi, anche la più pare della clientela è costituita da donne, e parlare con una ragazza le mette a loro agio.

Lei collabora da anni con il Comune di Milano. In che veste?

Sono membro di una Associazione no profit dal nome “Amici della Casa dei Diritti” del Comune di Milano, che ha sede nella palazzina di via de Amicis n. 10, dove si tengono quotidianamente eventi e dibattiti e dove sono ospitati sportelli informativi dedicati ai grandi temi anti-discriminazione che ci stanno a cuore – dal Diritto alla Genitorialità alle Migrazioni, dalla Salute e liberà di scelta ai diritti LGBT (acronimo che sta per Lesbo, Gay, Bisex e Trans), giusto per offrire qualche esempio. Io mi occupo prevalentemente di Violenza di genere. Abbiamo anche un blog, diretto da Mauro Grimoldi, dal titolo Gli Intrusi (http://www.amicidellacasadeidiritti.it), registrato al n. 300 della stampa periodica, dove pubblichiamo articoli, recensioni ed interviste.

Ha scritto per Mondadori “Giù le mani dalle donne”. Ce ne vuole parlare? L’ho letto e l’ho trovato molto interessante. Anche inquietante, se vogliamo, perché apre uno spaccato sulla realtà nel nostro Paese che non viene combattuta a sufficienza.

Ho incontrato Virginia Ponciroli, una bravissima editor di Mondatori Electa, a marzo del 2014. All’epoca stavo scrivendo uno dei tanti (ormai sono otto) volumi giuridici dedicati ai reati endo-famigliari e quando lei mi propose di concepirne uno – di taglio più divulgativo – trovai subito l’idea assolutamente straordinaria. Virginia mi spiegò che, all’epoca, nel panorama editoriale italiano esistevano romanzi dedicati al tema della violenza di genere, inchieste giornalistiche e storie di vittime, ma non una guida pratica che spiegasse, con linguaggio semplice e comprensibile anche a chi fosse privo di nozioni di diritto, quando ci si trovi in presenza di un reato e, soprattutto, cosa fare per difendersi.

Il libro è un manuale molto particolare, perché pare da casi concreti e sfocia in una serie di utilissimi consigli e suggerimenti. Molte donne non sono al corrente dei propri diritti e di come la legge le tuteli. Come reagiscono le sue clienti, vittime di violenza famigliare, quando lei consiglia loro un iter giudiziario? Lo seguono o fanno resistenza? Magari nella speranza che i problemi si risolvano (e non succede quasi mai)?

In questi – oramai quasi sei – anni in cui mi sono dedicata principalmente alla difesa di vittime di violenza ho imparato che sono svariati i fattori concorrenti, grazie ai quali le donne tengono uno piuttosto che un altro comportamento di fronte ai maltrattamenti e, di conseguenza, alle strade alternative che io propongo quando finalmente si rivolgono ad un legale. Il più importante è certamente la variabile “tempo”, ossia la loro reazione dipende da “quando” arrivano. C’è quella che proviene direttamente dal Pronto Soccorso, massacrata di botte o addirittura in pericolo di vita, ma c’è soprattutto quella che decide di chiedere consigli ormai esasperata da anni di stillicidio, e non ha più forze per affrontare una lotta. Ma ci sono anche quelle che noi riusciamo ad “agganciare” in una fase molto peculiare del c.d. ciclo della violenza, denominata Luna di miele, in cui si sono apparentemente riappacificate con il loro aguzzino. Quelle non vogliono denunciarlo perché illuse che sia veramente cambiato.

Si parla della depenalizzazione del reato di stalking. Ho letto molte notizie in merito. Che cosa può dirci in proposito?

Questa della depenalizzazione è un’atroce bufala che si aggira in varie pagine internet, mi domando chi sia il delinquente che ve l’ha pubblicata. Lo stalking (o meglio, il delitto di atti persecutori, come viene denominato nel nostro codice penale) non è mai comparso nel novero delle fattispecie da depenalizzare e, del resto, procedervi avrebbe registrato un controsenso almeno temporale, visto che è stato introdotto (solo) nel 2009 e riformato nel 2013, a seguito della ratifica della Convenzione di Istanbul.

Il Suo lavoro è uno di quelli che non prevedono un orario 9-17. Come fa (sempre che ci riesca…) a far convivere vita lavorativa e vita privata?

Chi – come me e come tante colleghe, psicologhe, medici, assistenti sociali – svolge una c.d. helping profession mette in conto di non avere orario: possiamo essere svegliate di notte o tenute al telefono per ore durante il week end. È abbastanza fisiologico perché interveniamo come <unità di crisi> ed è un’emergenza quella che dobbiamo risolvere, sia essa concreta – come trovare una casa rifugio che accolga la donna in fuga – o prettamente psicologica. Penso che ci si riesca grazie ad una vita privata equilibrata, ben organizzata e soprattutto grazie ad un compagno comprensivo e rispettoso. Questo è il mio caso.

Qual è stato il caso più difficile che Lei ha seguito?

Le rispondo parafrasando Nazim Hikmet, un grande poeta turco: il più bello dei mari è quello che non navigammo. Temo che il più difficile appartenga al mio futuro, perché – vede – tutte le volte che mi sono detta “Questa è la storia più atroce”, sono stata sconfessata da un caso successivo, che riusciva a superare il primo. Comunque, in generale, le vicende più difficili da risolvere sono proprio quelle in cui è la donna a non capire che deve difendersi, per se stessa ed i suoi figli, e si illude che basti far finta di nulla per risolvere i suoi problemi. Quella è la peggior nemica di se stessa.

Solitamente la violenza avviene in famiglia. Ancora oggi, purtroppo, non sembra che le forze dell’Ordine affrontino i casi di violenza domestica con un modus operandi comune. Leggiamo casi di cronaca nera, che ci raccontano troppe volte la stessa storia: la donna che va a denunciare il marito e se ne torna a casa con una pacca sulla spalla. Cose che succedono … Poi tutti ci stracciamo le vesti perché, come si dice, “ci scappa il morto”.  

Devo darLe ragione, ma con i debiti distinguo. È assolutamente vero che molti operanti – come definiamo nel gergo curiale gli appartenenti alle Forze dell’Ordine – sono impreparati a fronteggiare il complesso fenomeno della violenza domestica (che sovverte e capovolge molte delle nostre regole processuali) e che ogni giorno può capitare in un’aula di giustizia di sentire una vittima che racconta come abbiano minimizzato a torto il suo problema. Per esempio molte mie assistite, soprattutto nei primi tempi successivi all’introduzione del delitto di atti persecutori, andavano in caserma a denunciare lo stalker e si sentivano dire frasi del genere: “Ma signora, non è contenta? Ma altre pagherebbero per avere un corteggiatore così assiduo”. Ma è altrettanto vero che tutti noi, compresi poliziotti e carabinieri, possiamo essere facilmente fraintesi, soprattutto dalle straniere. Non dimentichiamoci che sono moltissimi i casi che registrano una nazionalità diversa dalla nostra sia in capo alla vittima che in capo all’autore del reato. Le offro un esempio recente. Una mia cliente, di lingua spagnola, residente in Italia da poco, durante una lite furibonda col marito chiamò il 112 e chi sopraggiunse, oltre a generalizzarli e sedare gli animi, se ne uscì con una frase che suonava più o meno così: “La prossima volta che interveniamo Vi portiamo via il bambino”. Probabilmente quello voleva essere un monito per il marito a tenere a posto le mani, ma la signora fraintese e per tutte le volte successive che lui la picchiò si guardò bene dal chiedere aiuto nel terrore che le togliessero il figlio.

Per concludere mi lasci puntualizzare, una volta di più, quello che mi preme sottolineare ogni volta che ne ho l’occasione: la stampa e i programmi tv riportano le eccezioni, i casi finiti male, perché i successi non fanno notizia e mai leggerete che una donna è stata salvata ed un colpevole sta scontando i suoi meritati anni di carcere. Ci sono centinaia di persone in Italia la cui vicenda si è conclusa positivamente proprio grazie al lavoro di rete che tutti noi, impegnati in questo campo, svolgiamo in silenzio e lontano dai riflettori.

Ho letto nel Suo libro che il giudice, all’atto della separazione di una coppia con figli, prende le proprie decisioni curando in primis l’interesse dei minori, i quali vanno tutelati prima dei coniugi interessati. Lei ritiene che l’affido condiviso sia preferibile all’affido in via esclusiva a uno dei coniugi e, se sì, perché?

Cerco di risponderLe da “uomo della strada”, da cittadino comune munito di buon senso: a Suo parere un cattivo marito è per forza un cattivo padre? Una storia sentimentale finita conclude anche un rapporto padre-figlio? Separarsi significa tagliare i lacci emotivi ed educativi che si annodano dalla nascita e si dipanano per tutta la vita? Dobbiamo entrare in un’ottica diversa: si può essere ex coniugi (o conviventi, ormai le due figure sono parificate) ma si rimane per sempre genitori, nessuno dei quali può fare da solo. I bambini hanno diritto a rapportarsi con la mamma quanto con il papà, sia pur con modulazioni diverse. Il Giudice civile ha tutti gli strumenti per introdurre – dove servono – dei correttivi e delle cautele (tipo lo Spazio Neutro, di cui parlo nel mio libro) e noi avvocati possiamo contribuire molto efficacemente alla sua scelta.

Esistono lacune nel diritto di famiglia? E se sì, quali sono e come andrebbero colmate, secondo Lei?

Io credo fortemente nell’esigenza che tutti noi, operatori del diritto, dobbiamo specializzarci, sceglierne una branca ed approfondire quella perché la legge italiana è complessa, variegata, e quanto stabilisce viene poi rielaborato ed interpretato da centinaia e centinaia di sentenze. Conoscere tutto è impossibile. Io sono da sempre una penalista e nell’ultimo lustro mi sono specializzata in reati endo-famigliari e violenza di genere, per cui conosco il diritto di famiglia solo tangenzialmente. Potrei intrattenerLa per ore sulle falle del sistema processual-penalistico di difesa della vittima ma sarei fuori tema rispetto alla Sua domanda. Però posso sostenere senza tema di smentite che la causa di separazione ed il processo per maltrattamenti devono essere coordinati, e spetta a noi legali portare le risultanze dell’una al giudice dell’altro, che solo in questo modo potranno avere un’opinione corretta delle persone delle cui sorti devono decidere.

Ho letto che lei ha scritto una sorta di decalogo di consigli alle donne. Una specie di memorandum da tenere sempre a mente Io sono anziana e ricordo (fine anni Settanta?) il libro di Laura Remiddi “I nostri diritti – Manuale giuridico per le donne”, pubblicato da Feltrinelli. Se non le dispiace, posto il link all’intervista che lo riporta.

http://www.donnamoderna.com/attualita/avvocato-donne-vittime-violenza-domestica

Ho letto nel Suo vasto curriculum una chicca: lei è stata ballerina classica fino alla laurea. Che cosa ha tenuto con sé di questa disciplina caratterizzata da spirito di sacrificio e dedizione?

Che si sorride anche quando si è stanche e doloranti, che ci si rialza quando si cade e, soprattutto, che un corpo di ballo è costituito da tante danzatrici, e più sono coordinate, più sono sincrone, più si capiscono con un battito di ciglio, migliore sarà il risultato della loro sinergia. Nel mio lavoro le competenze sono altrettanto ripartite e quello che faccio io si deve armonizzare col percorso della psicologa, della assistente sociale, della collega civilista. Ognuna ha il suo momento da solista, ma tutte perseguiamo un comune obiettivo. E più uomini lavoreranno assieme a noi, migliore sarà il risultato.

OoO

Alessia Sorgato nasce a Milano il 23 gennaio 1968. Compie gli studi liceali classici presso l’Istituto Gonzaga e quindi si laurea in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano.
Inclinazione e passione la spingono, sin dall’epoca universitaria, a prescegliere l’ambito del diritto penale, in particolare nella dimensione vittimologica a protezione dei soggetti deboli: si laurea in Procedura penale con tesi dal titolo “La testimonianza del minore vittima di abuso sessuale”.
L’attività professionale a Milano ed in tutta Italia convive con l’impegno costante in pubblicazioni, libri, articoli e partecipazione a convegni, anche in sedi internazionali.

Autore di libri e relatore a convegni, anche internazionali.
Già membro del comitato di redazione della rivista informatica “www.penale.it”, fondata dall’avv. Daniele Minotti.
Già redattore delle riviste “ProfessioneAvvocato” dal 2005, “Il Merito” dal 2006, “Guida Lavoro” e di “Diritto e Pratica delle società” dal 2007, “La Circolare di Lavoro e Previdenza” dal 2010.

512X1lTkPBL._SL160_PIsitb-sticker-arrow-dp,TopRight,12,-18_SH30_OU29_AA160_Per Mondadori ha scritto un libro, “Giù le mani dalle donne”, un manuale di consigli pratici per le vittime di violenza.
http://www.amazon.it/mani-dalle-donne-Alessia-Sorgato-ebook/dp/B00PXCHGEI/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1448209224&sr=8-1&keywords=giu+le+mani+dalle+donne

Lo studio legale Sorgato nasce nel 2003 a Milano, dopo un’esperienza decennale, maturata in due tra i più prestigiosi studi penalistici della città.
Alessia Sorgato si occupa esclusivamente di diritto e procedura penale ed il suo studio ha all’attivo alcune proficue esperienze in grandi realtà professionali legali, che vantano la partecipazione di svariati avvocati, specialisti nella varie branche della legge italiana, dal civile al societario, dal diritto di famiglia alle controversie in materia di lavoro.
L’organico si implementa con l’arrivo nel giugno 2012 della dott.ssa Nicole Gain, specializzata in procedura penale, e nel marzo 2013 della dott.ssa Marika Rizzi, specializzata in criminologia.
Dal 2011 Alessia è legale penalista di riferimento di centri antiviolenza (in particolare Soccorso Rosa dell’Ospedale san Carlo di Milano), sportelli anti-stalking e onlus dedite alla protezione di donne e bambini (in particolare TizianaVive e Pangea onlus).
Nel 2014 una scelta di campo che è anche svolta professionale: lo studio legale Sorgato si trasferisce in Piano C, il primo coworking in Italia declinato al femminile.