Laura Costantini è romana, giornalista e scrittrice.
Ha pubblicato 17 romanzi, la maggior parte a quattro mani con Loredana Falcone, più numerosi racconti in varie antologie, un saggio sulla scrittura femminile (Scrivere? Non è un mestiere per donne – Historica Edizioni) e uno sulla saga di Twilight (Il fantastico nella letteratura per ragazzi – Runa Edizioni).
I titoli più recenti sono:
Blu cobalto (ecothriller a quattro mani con Loredana Falcone, edito da dei Merangoli);
Verde profondo (secondo volume della trilogia “Noir a colori” a quattro mani con Loredana Falcone, auto pubblicato)
I cercatori di pace (fantasy distopico con illustrazioni di Niccolò Pizzorno, edito da dei Merangoli);
Voi mi chiedete se l’amavo (quarto e ultimo volume della serie storica a tema lgbt “Diario vittoriano”, edita da goWare – gli altri volumi sono “Il ragazzo ombra”, “Lord Kiran di Lennox”, “Miss Adele Dickinson”).
Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Ecco, questa è una domanda che mi manda in crisi, perché io non ho un genere. Non voglio averlo. Ed è una scelta che pago a caro prezzo (insieme alla mia socia Loredana Falcone, con cui ho scritto 12 dei 17 romanzi che ho firmato) perché editorialmente parlando un’autrice dovrebbe essere “individuabile” immediatamente sullo scaffale di una libreria. Ho pubblicato romanzi storici, thriller, gialli, noir, anche dei rosa con sfumature varie ma mai ascrivibili al genere romance (per via dei “paletti” che odio come neanche un vampiro saprebbe). Ho scritto anche fantascienza (inedita) e mi balocco con l’idea dell’horror e dello steampunk. Diciamo che la necessità di esprimermi vuole aprire tutte le porte.
Come scrive? Penna e carta, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iphone?
Ho un sacco di moleskine che adoro e che mi vengono spesso regalate. Ma è raro che le usi per prendere appunti e riordinare idee. Ho il cervello costantemente in ebollizione ma quando una storia comincia a farsi più insistente delle altre, passo direttamente alla tastiera. Di solito prima sull’iPad, poi, se il progetto prende corpo, sul note-book che è più completo per gli strumenti di scrittura (o forse solo perché lo so usare meglio). Conservo gelosamente i quaderni a quadretti sui quali presero forma quasi compiuta dei romanzi scritti in adolescenza e poi ripresi ed elaborati in età adulta. Sebbene io sia una matura signora che ha conosciuto macchine da scrivere e carta carbone, mi sento una nativa digitale e non riesco a rientrare nella modalità carta e penna.
C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
No. Fosse per me scriverei a qualsiasi ora. Ma potrei farlo se fossi una vera scrittrice, una che “campa” solo di scrittura. Invece sono (o meglio, vengo considerata da chi decide chi può e chi non può) solo una dilettante che può dedicare alla propria passione solo i ritagli di tempo. Per questo cerco di riservarmi sempre almeno un pomeriggio a settimana in compagnia della socia per dare spazio alle nostre storie.
Quando scrive, si diverte oppure soffre?
La sola cosa della scrittura che mi causa sofferenza è non avere abbastanza tempo da dedicarle. Per il resto non sanguino parole sul foglio. Amo scrivere e amo come mi fa sentire la scrittura. Questo non significa che la viva come un gioco. Scrivere professionalmente è una cosa molto seria, che comporta fatica, imprecazioni, ricerche, dubbi, lettura e rilettura. È un vero e proprio lavoro. Ma visto che mi guadagno da vivere con un mestiere, il giornalismo, di cui si dice che sia “sempre meglio che lavorare”, affronto la scrittura sempre con gioia. E ne vengo ricambiata, anche quando le pagine grondano angst come se piovesse.
Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Quando scrivo un romanzo ho un’idea di massima della trama. Poi mi pongo in ascolto e mi pongo come semplice medium della storia. È il motivo per cui non riuscirei mai a scrivere random: il finale prima dell’incipit, per fare un esempio. Sebbene la mia scrittura (anche e soprattutto quella a quattro mani con Loredana Falcone) venga spesso definita cinematografica, non sono in grado di utilizzare un metodo cinematografico per strutturare un romanzo. Per me si parte dall’inizio, svolgimento, fine. Una scrittura dall’architettura semplice, se vogliamo, anche se adoro utilizzare espedienti narrativi come i flash-back e i flash-forward.
Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Scrivo quando posso e la mia ispirazione non è incostante. Lo so che suona presuntuoso, ma chi conosce sa che non lo sono affatto. È che sono allergica alle metodologie. Rido quando sento dire che ci si deve sedere ogni giorno per tot minuti alla tastiera e scrivere anche se non si ha niente da dire. A me non capita mai di non avere niente da dire e se potessi sedermi alla tastiera ci passerei le ore, ogni santa volta. Non ho mai sperimentato il blocco dello scrittore e adoro le pagine bianche perché posso riempirle, inzepparle proprio di storie.
Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
Rivedo, rileggo, limo, sottraggo, sposto. Però non mi succede mai di cancellare ciò che ho scritto, di considerarlo spazzatura, di rifiutare ciò che ho prodotto. Non so se questo succede ad altri. Sento tutti vantarsi quasi del provare rifiuto per ciò che hanno scritto (anche la mia socia ha il tasto backspace facile). Come se l’insoddisfazione fosse una garanzia per il prodotto finale. Io non credo lo sia. Spesso coloro che comunicano sui social questo continuo accartocciare fogli per ricominciare da capo sono gli stessi che, quando li leggo, mi fanno venire voglia di accartocciare tutto il volume.
Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Sì. Mi piace rileggere a distanza di anni dalla pubblicazione. E mi piace che mi piacciano. Tanto. Sono la conferma che sono stata un buon tramite tra la storia che voleva essere narrata e la pagina che l’ha ricevuta.
C’è qualcosa di autobiografico nel suoi libri?
Ci sono i miei ideali. Il mio modo di vedere il mondo. Il mio impegno quotidiano contro la discriminazione di genere. La mia tolleranza. L’apertura mentale che esercito costantemente. L’empatia e lo sforzo di guardare le cose da tutti i punti di vista. E, se parliamo della serie “Diario vittoriano”, la sofferenza spirituale di un periodo terribile che ha lasciato ferite profonde. Ma nessuno dei miei (e nostri) personaggi sono io.
Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
Tutti lo dicono, a ragione. Credo che non abbastanza lo facciano. La mia scrittura è figlia dell’amore per i libri. Prima di tutto sono una lettrice. Leggere è la mia via di fuga, l’ancora di salvezza nei momenti difficili. Leggo molto, almeno un libro a settimana (tra i 50 e i 60 l’anno). Sono una lettrice vorace e veloce, divoro le pagine. E sono onnivora e curiosa. In genere mi tengo alla larga dai best-seller e dagli autori che sfornano titoli in base al calendario del mercato (Natale, in prossimità delle varie fiere del libro, in vista delle vacanze estive). Mi piace moltissimo leggere chi non ha ancora raggiunto la fama e presto orecchio al passaparola. Per questo sto scoprendo autrici fantastiche, spesso auto pubblicate. E ogni volta mi chiedo perché i talent scout delle case editrici non vengano presi a calci nel deretano. Perché la colpa non è mai dei lettori, ma di ciò che ai lettori viene imposto come giusto e bello da leggere.
Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ho partecipato due o tre volte, ma si trattava di piccoli concorsi, niente di eclatante. È stato divertente, adrenalinico. Abbiamo anche preso dei premi, insieme alla socia. E sono grata alle giurie che hanno apprezzato i nostri lavori. Però non rincorro i bandi, anche se forse dovrei. Il problema è che iscrivere un titolo a un concorso dovrebbe essere cura dell’editore. E gli editori con cui ho pubblicato, sia in coppia con Loredana che da sola, non l’hanno fatto e io ho troppe cose da seguire per prestare la giusta attenzione.
A cosa sta lavorando ultimamente?
Abbiamo revisionato, con la socia, un romanzo che, se pubblicato, sarà di fatto il nostro primo romanzo d’amore. Non romance, anche se al centro della narrazione c’è una storia d’amore complessa, tormentata e narrata nell’arco di molti anni. Tra Parigi e New York, nel decennio ’80-’90 del secolo scorso, nel mondo della moda e dell’arte. Abbiamo terminato la stesura del terzo volume della trilogia auto prodotta #noiracolori e a breve lo pubblicheremo. Poi abbiamo in cantiere una nuova avventura per i protagonisti de “Il puzzle di Dio”, il nostro thriller best-seller e long-seller (ovviamente tra i nostri titoli) ed è una storia che sfiora la fantascienza e il tema degli antivaccinisti.
Volevo lasciare 5 stelle, dopo la prima non sono riuscita ad andare avanti. Tutto bloccato
Forse perché bisogna cliccare sulla quinta stella, come su Amazon.