Davide Pappalardo è fenicio, aragonese, greco, angioino, normanno, saraceno, svevo: in una parola, siciliano, nato nel ’76 alle pendici dell’Etna. Dopo alcuni anni trascorsi a Roma, approda a Bologna, dove oggi vive e lavora. Al suo attivo tre romanzi e diversi racconti. Con Buonasera (signorina) (Eclissi, 2017) ha vinto il premio “Nero Digitale” al concorso Garfagnana in Giallo.

Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
La mia scrittura tende al noir. Mi piace raccontare il lato oscuro della vita, il degrado della società, la criminalità delle metropoli. Ho scelto il noir perché è poco rassicurante come genere e proprio per questo ci impone di riflettere e magari di reagire di fronte alla cruda realtà che ci circonda.

Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
Quando le idee si palesano le metto su carta e anche su cartaccia per non lasciarle sfuggire.
Nero su bianco su brandelli di carta, scontrini, dépliant pubblicitari.
Arrivati al momento dell’ebollizione, quando i tempi di maturazione sono al punto giusto, mi rimbocco le maniche e mi siedo di fronte alla tastiera del computer portatile.

C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
Per essere “noir” dovrei rispondere la notte, ma io sono pigro e la notte dormo. Preferisco scrivere nei miei pomeriggi di libertà, quando sono solo a casa e sto concentrato sulle mie idee.

Quando scrive, si diverte oppure soffre?
La scrittura mi fa provare divertimento e sofferenza. Divertimento quando tutto scorre, quando sei in vena, quando riesci a mettere insieme i tasselli del mosaico. Sofferenza quando sai che devi cambiare qualcosa ma non ne hai voglia, o quando tocchi le tue emozioni interne e può capitare. Reputo la sofferenza, anche solo in minima parte, necessaria. Serve a farti scrivere meglio e a dare di più.

Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Di solito provo a mettere giù una traccia del mio romanzo, una sorta di scalettone da tenere sempre a portata di mano. Accanto alla trama (fondamentale per me avere inizio e finale ben piantati in testa) creo una mini bibbia dei personaggi (anche per non far cambiare loro fisionomia e personalità ogni due capitoli).
Poi procedo così: immaginate che il romanzo sia un essere umano e che io sia una sorta di divinità stramba (non preoccupatevi: non soffro di delirio di onnipotenza, al contrario). In prima battuta questa specie di divinità che sembra fatta di crack butta giù lo scheletro della sua creatura. Dopo qualche tempo viene fuori lo scheletro di una persona con gravi malformazioni, un cranio troppo grande o troppo piccolo, gambe corte, ossa che si sovrappongono.
La divinità si mette di buzzo buono (non so cosa significhi questa espressione ma mi è sempre piaciuta) e comincia a raddrizzare lo scheletro e a dargli una sistemata. Quando lo scheletro è a posto, comincia a gettare manciate di ossa e polpa sulla struttura e a immettere sangue. Prima alla rinfusa. Poi con un qualche senso (si spera). A un certo punto la divinità si accorge che ha messo troppa carne sull’essere che sta creando. La sua creatura è ora una sorta di Polifemo grasso e goffo. Comincia allora a fargli fare una cura dimagrante, a tagliare pezzi di carne del ciclope (senza fare troppi danni), a dargli due occhi. Fin quando arriva a essere soddisfatto. La sua creatura non è più un mostro (la divinità lo spera sempre).

Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Sono incostante e anarchico. Scrivo se e quando ne ho voglia (tranne quando sono in dirittura d’arrivo e devo consegnare, oppure se devo tappare una falla che rischia di fare affondare la barca).

Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
No, non sempre. Alla fine sono soddisfatto del lavoro compiuto ma  è un processo per strati e nelle fasi iniziali non sono mai invaghito dei miei scritti.

Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Capita di rado. Leggere i miei lavori dopo la pubblicazione è strano e mi fa scoprire lati nascosti del mio modo di scrivere. Deve comunque passare parecchio tempo dalla pubblicazione. È necessaria prima una fase di distacco. Quando arrivi alla pubblicazione hai letto e riletto più volte il tuo scritto per migliorarlo ed evitare errori e arrivi nauseato alla fine.

C’è qualcosa di autobiografico nel suoi libri?
Lasciamo tracce di noi in tutto quello che scriviamo. Cerco di camuffare gli aspetti che inserisco e spargo nei miei personaggi. Sicuramente è presente la mia angoscia esistenziale, in particolare nel personaggio di Libero Russo, protagonista di Buonasera signorina e di Che fine ha fatto Sandra Poggi. Qualcosa c’è ma tendo a creare anche una barriera con i miei personaggi in modo da poterli criticare, sollecitare e aiutare.

Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è un lettore assiduo? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
Certo. Non capisco proprio come si possa pensare a scrivere senza essere un lettore. Io leggo una quarantina di libri l’anno. Non solo noir, anche saggi, classici e quel che ho voglia di leggere.

Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ogni tanto mi capita di partecipare. Ne ho anche vinti un paio e ho ricevuto diverse menzioni. Altre volte è andata male. Però una cosa mi va di dirla. L’aspetto interessante dei concorsi è questo: entrare in relazione con altri autori, lettori e addetti del settore. Si tratta di esperienze che ti aiutano a crescere come autore e a fare rete.

A cosa sta lavorando ultimamente?
In teoria a un thriller. In realtà sto valutando se continuare a scrivere. Forse ho dato quel che dovevo dare a me stesso e provo più piacere nell’essere lettore. In giro ci sono tantissimi bravi scrittori. Le domande che mi sto ponendo sono queste: che apporto posso dare? Posso scrivere qualcosa di diverso? Posso migliorare? A qualcuno interessa davvero quello che scrivo? Domande che mi si propongono spesso. Vedremo.

I libri di Davide Pappalardo

Che fine ha fatto Sandra Poggi?

Milano Pastis – La grande rapina del 1964

Buonasera (signorina)