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Il programma spaziale denominato Mercury 13 (o Fellow Lady Astronaut Trainees) fu svolto, negli Stati Uniti d’America, all’inizio degli anni Sessanta, per iniziativa del ricercatore William Randolph Lovelace II, che aveva predisposto i test medici per la selezione degli astronauti per la NASA. Esso prevedeva la selezione e l’addestramento di donne come pilota per le prime missioni astronautiche statunitensi. Alcuni ricercatori guardavano con interesse alle astronaute in quanto erano piccole, pesavano meno, respiravano meno ossigeno e quindi erano potenzialmente più adatte per i voli spaziali. In tredici superarono gli esami e furono battezzate Mercury 13.
Tuttavia, le Mercury 13 non facevano parte del programma degli astronauti della NASA, non volarono mai nello spazio e non si incontrarono mai collettivamente. Il programma Mercury fu il primo programma statunitense a prevedere missioni spaziali con equipaggio. È stato attivo tra il 1958 e il 1963, con l’obiettivo di mettere un uomo in orbita attorno alla Terra.
Negli anni sessanta alcune donne hanno fatto pressione sulla Casa Bianca e sul Congresso per l’inclusione delle donne nel programma degli astronauti, arrivando persino a comparire davanti a una commissione congressuale. Clare Boothe Luce scrisse un articolo per rivista Life pubblicizzando le donne e criticando la NASA.
Fu un’occasione mancata per gli Stati Uniti, ossessionati dalla corsa allo spazio, tant’è vero che sarà la Russia, nel 1963, a mandare per la prima volta in orbita una donna, Valentina Tereškova.
Vi consiglio “Mercury 13”, un film documentario statunitense del 2018, diretto da David Sington e Heather Walsh. È distribuito da Netflix.
Tredici donne pilota (negli Usa erano già centinaia) si candidano per il programma spaziale, superano la maggior parte dei test come (e talvolta meglio) degli uomini, finché il progetto viene fermato e nulla serve a cambiare le cose. Le obiezioni sono sempre le stesse: le donne si sposano, sono meno affidabili (perfino quelle che avevano migliaia di ore di volo sulle spalle), non guidavano i jet (cui le donne non avevano accesso all’epoca), facevano figli e… avevano quelle cose.
Quando i russi mandarono Valentina Tereškova a bordo della Vostok, in seguito intervistarono John Glenn chiedendo se gli americani non avrebbero potuto fare altrettanto e lui rispose che avrebbero potuto mandare una donna ‘con le stesse caratteristiche (!) sul secondo modulo, al posto dello scimpanzé’.
Molti anni dopo, la prima donna a guidare e comandare uno Shuttle, Eileen Collins, invitò tutte quelle ancora in vita ad assistere al lancio, dicendo che erano state la sua ispirazione.
La foto sotto mostra alcune di quelle candidate al Mercury 13, all’epoca del lancio dello Shuttle.
Il trailer ufficiale.
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