Dalla nostra corrispondente a Bologna, Giusy Giulianini.

“Una folla così non si era mai vista a una presentazione della Ubik Irnerio. Sembra di stare alla Coop Ambasciatori, in attesa di Fabio Volo” esordisce così il brillante giornalista Davide Turrini, con il tono scanzonato e accattivante con cui oggi interpreterà il suo ruolo di relatore, e, dopo aver invitato ad alzare la mano chi ha già letto Il Rettore di Poitiers, ci guarda strabiliato e aggiunge che, oggi, noi lettori già edotti siamo ben più numerosi che da Fabio Volo.

Folla delle grandi occasioni alla Libreria Ubik Irnerio

Inizia così, con un sorriso, la presentazione del secondo romanzo di Francesco Neri (Il Rettore di Poitiers, BraDyPus, Collana Altre Narrazioni, 2018), addetto culturale al Consolato di Marsiglia, dove da anni si prodiga per diffondere la nostra cultura in terra francese. Tono peraltro che ben si addice a questo romanzo, un giallo atipico come lo presenta Turrini, appenninico aggiungo io, gustoso per entrambi.

Francesco Neri saluta affabile, un sorriso di lieve imbarazzo per lui che di solito fa il relatore di altri, e rivolge due ringraziamenti speciali: ad Anna Maria Riva, esperta di comunicazione che ha creato il contatto con la libreria, e a me per aver pubblicato sulla testata MilanoNera la recensione del suo romanzo.Turrini entra poi nel vivo della presentazione confessando che, come si conviene ai romanzi davvero avvincenti, sono state le prime righe de Il Rettore di Poitiers a obbligarlo a proseguire fino in fondo e che la sua lettura serale, divisa con la moglie, gli ha quasi indotto dipendenza. Il romanzo, rivela Turrini, non entra subito in medias res, l’attesa è lunga prima di incontrare il delitto. E, mi permetto di aggiungere, funzionale per stipulare “il patto di sospensione dell’incredulità” con il lettore. Avvio alla lontana, dunque, ma ricco da subito di colpi di scena, quelli che in gergo cinematografico si chiamano plot-twist.

Francesco Neri e Giusy Giulianini

Francesco Neri s’impegna infatti a sorprenderci di continuo con la sua storia. Ed è questa la prima domanda che Turrini gli rivolge, se per caso è partito da là, dalla volontà di stupirci a ogni costo e a ogni piè sospinto. L’autore nega con un sorriso e rivela che la voglia di descrivere persone e contesti reali, ben conosciuti seppure stravaganti, è stata la molla per mettersi al lavoro. La sua curiosità è appunto rivolta, e da sempre, verso quanti lo circondano, le loro manie e debolezze, la commedia umana insomma, spesso più travolgente di qualunque finzione.

Il relatore poi riassume in breve la trama: nella serena routine degli ospiti di Bellavalle, un borgo ridente dell’Appennino Tosco-Emiliano in cui da quarant’anni gli habitué si dedicano agli immutabili ozi della villeggiatura, all’improvviso irrompe Anchise Iorio, docente universitario dalla figura sdrucita ma di elevato carisma intellettuale, il Rettore di Poitiers nientemeno. Da quel momento, passioni irrefrenabili, fughe rocambolesche, immigrati clandestini, morti apparenti e cadaveri decapitati scardinano nel profondo quarant’anni di quiete estati e la prima ridente Bellavalle non sarà più la stessa.

Davide Turrini e Francesco Neri

Turrini confida di esser stato egli stesso, in compagnia dell’amico Francesco Neri, un assiduo frequentatore dell’Appennino e fa notare all’autore che come Iorio anche Andrea, il protagonista del suo precedente romanzo (Un’isola normale, Pendragon, 2010) fuggiva dalla “civiltà” verso un’isola del Sud Italia. Si somigliano queste loro forme d’isolamento? L’autore lo ammette, sì, si somigliano, almeno per un certo livello di finzione. Aggiunge però che quella volontà accomuna molti personaggi del romanzo e che lo stesso Amedeo Modigliani, di cui il Rettore è massimo esperto, è stato uno degli artisti più falsificati della storia.

Turrini ironizza sulle modeste dimensioni della pubblicazione, in contrasto con il contenuto alto del romanzo. Tanto da avergli suggerito un parallelo tra il Rettore e il protagonista di Serotonina, l’opera osannata di Houellebeck, che si ritira in Normandia per isolarsi dalla vita contemporanea. Come accade per Labrouste, qualcosa d’irrequieto e di doloroso straripa dall’animo di Iorio. Francesco Neri conferma che il Rettore è in fuga perenne dai suoi simili ai quali non vuole rivelare troppo di sé, e questo in qualche modo si riallaccia all’impossibilità di riconoscere l’intera nostra verità interiore, figurarsi dividerla con altri.

Tra il pubblico, Alberto Castellari, critico e scrittore

Quanto alle vivide figure che animano le pagine del romanzo, l’autore rivela che molte sono riprese da suoi incontri nella vita reale. In particolare Jolanda Montevecchi, la protagonista dalla silhouette un po’ troppo rubensiana, è stata ispirata da una donna, oggi in pensione lontano dall’Italia, come peraltro l’intero establishmentdi Bellavalle, i vari Guaraldi e Modestini, attinge dalla realtà. In fondo, non c’è bisogno di inventare troppo, basta osservare. Quell’ambiente appenninico, così più ruspante del contesto alpino, già esisteva, lui si è limitato a evocarlo. L’Appennino Tosco-Emiliano poi, snodato tra due capoluoghi di cultura come Bologna e Firenze, meta di turismo stanziale e non episodico, ben si prestava a ospitare villeggianti di elevate ambizioni intellettuali.

Turrini s’inserisce con una curiosità: perché proprio Poitiers? Manco a dirlo, l’autore ha conosciuto davvero uno che si presentava come tale, senza contare che la Francia brilla in genere di un fascino culturale accreditato. Purtroppo invece, gli italiani in Francia sono percepiti a due ben diversi livelli: uno nobile, dei grandi artisti, Dante Leonardo Michelangelo Raffaello, e uno di serie B che siamo noi, gente comune.

La copertina del romanzo di Francesco Neri

Fioriscono numerose le domande del pubblico: il Rettore che finge è l’unico a possedere un vero sapere, come mai? L’autore risponde che tutti noi aderiamo a gradi diversi di falsità, quello di Iorio non è il peggiore perché il sapere lo possiede davvero, ma ha bisogno di riconoscimento sociale. Il Prof. Alessandro Castellari, finissimo scrittore e critico letterario, fa notare quanto densa di humour sia la scrittura del romanzo: perché ha scelto la chiave ironica e come la usa? Francesco Neri non ha esitazioni, gli viene di getto come suo approccio nell’osservazione della realtà.
Altra domanda: a scatenare la trama criminale valgono di più le motivazioni personali o quelle professionali? L’autore è categorico: i suoi personaggi sono spinti dalle passioni fondamentali, quella amorosa e quella vendicativa.
Mi intrometto anch’io osservando che il romanzo di Francesco Neri si inserisce a buon diritto nel filone crime animato da un sorriso amaro, non così frequente in Italia, anche se ben rappresentato da Centazzo, Malvaldi, Becky Sharp e altri.
Turrini invoca allora la commedia di Eduardo e Peppino De Filippo, commedia amara il primo, risata nazional popolare il secondo.

Concludiamo con la classica domanda sulle letture dell’autore. Francesco Neri, che è membro della redazione di Clionet, una rivista che indaga il contemporaneo, ci confessa di star leggendo la storia di Rodi, funzionale al compito che lo attende, trattare la sua cultura enogastronomica.

Si termina con un sorriso, il pubblico straripante incollato al romanzo e al suo autore. Se Neri dovesse essere relatore a uno dei suoi Giovedì di Bellavalle di che cosa tratterebbe?Nessuna esitazione: di cucina appenninica.
Tutte le copie del romanzo disponibili in libreria sono state divorate dagli entusiasti astanti. Un risultato straordinario, di questi tempi!

Copertina del romanzo di Francesco Neri “Un’isola normale”

FRANCESCO NERI (Bologna, 1977) è dottore di ricerca in Storia antica e Addetto culturale presso il Ministero Affari esteri e della cooperazione internazionale. Attualmente è di stanza presso il Consolato italiano di Marsiglia, dove si occupa attivamente di diffondere la cultura italiana nel capoluogo provenzale. Ha pubblicato il suo primo romanzo con Pendragon, UN’ISOLA NORMALE, nel 2010. Fa parte della redazione di CLIONET. Per un senso del tempo e dei luoghi, rivista di Public History, dove cura le rubriche “Narrativa” e “Cibo e cultura”.