Maria Masella chiede:
Care lettrici / Cari lettori, badate a cosa mangiano e bevono i personaggi? Vi aiuta a vederli?
Per le scrittrici e gli scrittori: fra i normali attrezzi di scena inserite cibo e bevande?

L’argomento di questo mercoledì ha riscosso un certo successo: i post nel gruppo Facebook (QUI, se volete iscrivervi) sono stati numerosi, interessanti, bene articolati.

Ecco qualche risposta! Cominciando con Alessandro Bastasi (QUI la sua Pagina-Autore).

FERNANDA ROMANI (QUI la sua Pagina-Autrice): Mi è sempre piaciuto trovare scene riguardanti il cibo. Le trovo molto efficaci come note di colore, ma anche come dettagli per raccontare meglio caratteri, situazioni e usanze.
Per quanto riguarda i miei romanzi, non ho usato spesso questo tipo di scena, ma nel romanzo al quale sto lavorando, il mio Manoscritto Enorme, ci sono diversi momenti in cui i protagonisti hanno a che fare con il cibo: pasti da schiavi, bivacchi di guerrieri, colazioni sontuose, bevande calde con cui intrattenersi dopo cena.
Forse, mi sono semplicemente evoluta.

MARILENA TEALDI (QUI la sua Pagina-Autrice): Mi piace quando i personaggi di un romanzo prendono sembianze reali perché fanno cose normali tipo mangiare, bere o andare in bagno. Basta anche solo una scena per dare quel tocco in più di realismo, secondo il mio parere.
Infatti, per quello che mi riguarda, inserisco spesso il cibo nei miei romanzi, e metto sempre almeno un personaggio vegetariano come la sottoscritta (immaginate la tortura quando devo mettere nella tavola virtuale hamburger, bistecche e affini!).

ANNE WENT & MARI THORN (QUI & QUI la loro Pagina-Autrice): Certo che si mangia nei nostri romanzi!
I nostri personaggi sono il più possibile reali e plausibili e così cucinano e mangiano, come anche ridono, piangono, dormono e si lavano.
Quanto descrivere? Dipende.
Se serve alla storia e se quel momento ai fornelli è importante determinare l’atmosfera tra i personaggi potremmo anche arrivare a descrivere come “i piccoli anelli di cipolla si stavano caramellando lentamente nel tegame, diffondendo un aroma che riempiva la piccola cucina…”, però il più delle volte sono solo accenni che fanno da sfondo mentre i due discutono, chiacchierano, vivono.
Su una cosa, ripensandoci, siamo monotone: le nostre protagoniste sono quasi tutte dotate di un formidabile appetito e, beate loro, non ingrassano! Se non ci credete potete verificarlo di persona!

CATIA P. BRIGHT (QUI la sua Pagina-Autrice): La risposta è SÌ, tra i normali attrezzi di scena inserisco sempre cibo e bevande. Solitamente c’è più di un momento in cui i miei personaggi mangiano o bevono (o fanno entrambe le cose). Li rende umani, li rende veri. E quando si è seduti a mangiare, o si sta preparando da mangiare, si possono dire (e fare) tante cose.
Trovate diverse scene mangerecce e gustosette sia nei miei storici che in Nick e Nora.
Che dire? Buon appetito!

ROBERTA CIUFFI (QUI la sua Pagina-Autrice): Di rado menziono qualche cibo, nei miei romanzi. Non lo trovo interessante. In quelli altrui, devo dire che mi sono ampiamente stufata dell’elenco dei meravigliosi cibi regionali che i protagonisti si strafogano ogni due per tre. In una serie poliziesca che ho seguito di recente la protagonista non fa che andare al tale negozio a comprare la tale squisitezza, oppure gliela regala la vicina, ecc… ecc… Ma devo dire che mi rompono anche quegli sdilinquimenti da ufficio del turismo sulle città in cui si svolgono le azioni. È che sono fastidiosa… (“Buttiamo via tutti i romanzi di Montalbano?”, N.D.R.)

EWARD C. BRÖWA (QUI la sua Pagina-Autore): Cibo e bevande nei libri mi interessano se servono per dire qualcosa di significativo sulla storia o sui suoi protagonisti, non se sono semplici elementi decorativi.
Cerco di regolarmi così pure quando scrivo. Nel paese di montagna in cui è ambientata “La strada nera”, il bar è uno degli elementi centrali, il luogo di ritrovo, delle notizie e dei pettegolezzi, il locale in cui ci si scalda, si gioca o litiga, ci si rincuora e, inevitabilmente, si beve: «Non tutti bevevano allo stesso modo e con le stesse finalità, ma il vino non lo sapeva e causava sempre lo stesso risultato.
Alcuni bevevano per ubriacarsi, altri si ubriacavano perché bevevano, poteva sembrare la stessa cosa, ma in realtà fra i due modi di abbeverarsi c’era un abisso…»

PAOLA VARALLI (QUI la sua Pagina-Autrice): Le squinzie si ammazzano di prosecco e tartine del marinaio, semplici e gustose: creaker, fettina sottile di limone e acciuga. Una prelibatezza. (È vero, le ho preparate ieri sera! N.D.R.)
Anita Valli ama cucinare, l’altra, Mirella Bonetti, adora mangiare: il connubio è perfetto. Tra un calice di bollicine e una porzione di torta salata ci danno dentro con le indagini. E… essendo investigatrici per caso combinano sempre qualche casino. Oops… si può dire casino?

ANNINA R. (QUI la sua Pagina-Autrice): Ho fatto mente locale e… i miei personaggi mangiano e bevono tranquillamente. Leggendo l’argomento, mi era venuto il dubbio anche perché non sono le parti che ricordo di più. Ho scritto fantasy, contemporaneo, un paranormal e in ognuno c’è una scena che riguarda il cibo o le bevande. Soprattutto per i fantasy mi sono divertita a cercare piatti tipici del medioevo, che è sempre una scoperta. Mettere i personaggi in un momento quotidiano li fa apparire più “veri”. Però non vi aspettate grandi abbuffate nei miei libri… sono perennemente a dieta!

ILARIA CARIOTI (QUI la sua Pagina-Autrice): Mi è capitato non di rado di menzionare il cibo nei miei romanzi, in “Io e te oltre le nuvole” la protagonista, trasferitasi a Ponza per ristabilirsi dopo una diagnosi difficile da accettare, riscopre la sua passione culinaria… e così giù di ricette stile masterchef! In “Rotta verso l’amore” ho utilizzato più di qualche ricetta dal mondo per le escursioni della protagonista in Oriente… Anche nel mio ultimo romanzo, ambientato nella Penisola Arabica, ho menzionato diversi piatti del posto, fino all’uovo al tegamino meticolosamente preparato dal fratellino disabile di Gaia, protagonista di “Un imprevisto da favola”. Insomma, il cibo fa parte spesso della mia cassetta di attrezzi, e in alcuni casi è servito a caratterizzare i miei protagonisti.

STEFY SCIAMA (QUI la sua Pagina-Autrice): Sì, i miei protagonisti lo fanno e, naturalmente, hanno i miei stessi gusti. Direi che il cibo è l’aspetto più autobiografico dei miei scritti. Chissà perché…
Marco Ventura è un bevitore di whisky; a Tessa Castelli piace lo sherry; Mandy Taylor ha una dipendenza dalle barrette di cioccolata; Lily, Julian e Violet adorano le tisane e Cris il tè.
P.S. Tra i miei libri preferiti ci sono tutti quelli di Rosamunde Pilcher: entrare nelle sue cucine per me rappresenta una gioia immensa, ho adorato ogni odore, sapore e colore magistralmente descritto.

MARIA MASELLA (MARRI) (QUI la sua Pagina-Autrice): Mi piace sapere cosa mangiano e bevono i personaggi. Mi piace far sapere cosa mangiano e bevono i miei personaggi.
Perché? Perché ho studiato filosofia!
Erano ancora gli anni sessanta, ultimo anno di liceo scientifico. Mancava ancora una mezz’ora all’intervallo e la striscia di focaccia era sotto il banco.

Sono una che cede alle tentazioni.

Pochi minuti dopo l’urlo “Masella, stai mangiando!” , l’urlatrice è la mia amatissima prof di storia e filosofia. Stava spiegando Feuerbach, quello di “siamo quello che mangiamo”.
Mi ha salvato la prontezza di spirito: “Dovevo controllare se diventavo focaccia.”
La faccia tosta mi salvò.
E ora provo a diventar seria: per gli storici mi fido dell’antica cucineria genovese.
Per i noir uso i miei gusti: Antonio Mariani non mangia uova sode. Ardini preferisce il vino, buono, ai superalcolici, Tea non ama le bollicine (come me). Il piatto preferito di Antonio, quando è stagione, è polpo con patate. (Nel caso vi capitasse di incontrare il Commissario, proponetegli un pranzetto… N.D.R.) E mi piace mettere a tavola Antonio con Torrazzi.
Ho una gran difficoltà nei contemporanei, non amo le stranezze.
Ricordo che Alessandra Bazardi aveva formato un gruppo quando pubblicavamo Youfeel e l’aveva chiamato la banda del mojito. Mi ero fatta coraggio e le avevo chiesto cosa fosse.
Quindi, se ci fermiamo a bere insieme, proponete: vino secco e fermo, grappa, vodka, porto (mi piace da impazzire), ovviamente caffè. Grazie! (Ehm… Il vino è la bevanda dei ragazzi; il Porto è quella degli uomini; ma chi ambisce a diventare un eroe deve bere il Brandy, disse Samuel Johnson. N.D.R.)

ELYXYZ (QUI la sua Pagina-Autrice): Come lettrice, presto molta attenzione a cosa mangiano i personaggi nella storia che sto leggendo e a volte trovo delle belle curiosità. Apprezzo che questo argomento sia trattato con competenza nei libri, certe scelte invece mi paiono un po’ discutibili o fantasiose. Confesso che mi infastidisce quando c’è la mania di ficcarci per forza a ogni pasto il cibo italiano anche se siamo all’altro capo del mondo.
Come autrice, do parecchio spazio al cibo, perché favorisce i momenti di scambio e crea bolle di quotidianità. Ovvimente mi documento sempre prima, se non ho esperienze reali e dirette sulle consuetidini alimentari che devo raccontare. Il cibo è sempre importante nei miei libri.

CATHLIN B. (QUI la sua Pagina-Autrice): In tutte le mie storie c’è almeno una scena con i personaggi seduti a tavola per colazione, alla mensa scolastica, in un ristorante stellato oppure accucciati intorno a un camino e una scodella sulle ginocchia, ma… a parte in un caso non ho mai presentato i cibi. Eppure i miei personaggi bevono tanto, tantissimo: absynthe, whisky, cocktails, birre…
Diciamo che sono più attenta alle bevande perché forse, nella mia testa, caratterizzano meglio il carattere di un personaggio. Immaginate un Humphrey Bogart in Casablanca che sorseggia una spremuta anziché whisky in un tumbler. Non è la stessa cosa!
Il cibo trovo che sia più “generico”, che individui meno un personaggio. Sarà un clichè (o come ho scoperto oggi “trope”) il whiskey per i personaggi duri e cupi, i cocktail colorati per i festaioli ma proprio per questo sto molto più attenta a cosa sorseggiano che non a cosa mangiano.

SONIA MORGANTI (QUI la sua Pagina-Autrice): Sarà perché sono un porcellino o perché mi piace esplorare il mondo con tutti i sensi, anche quando lo descrivo, ma nei miei libri il cibo finisce sempre per prendersi il suo spazio.
A volte il cibo mi serve per capire meglio personaggi davvero distanti nel tempo, per sentirli più vicini e raccontarli meglio. Non è difficile mangiare “alla romana, ma antica”. Ma sull’epoca sorvolo, altrimenti fomento i miei non-lettori, ossia quelli che gli stessi editori pensavano fossero lettori invece erano solo ammiratori di Caio Giulio Cesare.Piuttosto… parliamo de “Il magnifico perdente”! Le lettere di Mazzini sono ricche di sorprese dal punto di vista gastronomico. Lui non era una buona forchetta, e si vede, ma come italiano l’idea che parlare di cibo fosse anche parlare di vita, scelte, sentimenti e cultura ce l’aveva nel sangue. Così le sue parole mi hanno fornito tantissime chicche da inserire nel libro, tra cui le perplessità che condivideva con sua madre quanto alla cucina inglese.
Madre che si premura di tranquillizzare spessso. Quando, a quarant’anni suonati, dovete rassicurare la mamma di aver mangiato, non preoccupatevi: due secoli prima lo faceva anche Mazzini.
Per esempio, appena arrivato a Londra dopo un viaggio tormentoso le scrive quale cibo l’ha ritemprato in corpo e spirito… Il profumo del risotto e della trippa cucinati alla maniera di Milano li aveva fatti sentire a casa e la lunga notte di sonno alle spalle, il letto confortevole dopo il viaggio tormentoso, avevano rimesso al mondo quei quattro giovani italiani.
Ho trovato nelle sue parole descrizioni accurate di piatti amanti e piatti disprezzati, anche una torta che lui apprezzava molto e che suggeriva. Esiste ancora e si chiama proprio torta Mazzini.
Ho provato a prepararla varie volte ed è davvero buona. Questa invece è la ricetta originale:
Pestate tre once di mandorle, altrettante di zucchero. Sbattete il succo d’un limone e due torli d’uovo, montate a neve gli albumi e mescolate il tutto. Unta di burro una tortiera, mettete sul fondo la sfoglia, sulla quale verserete il miscuglio suddetto. Zuccherare e mettere in forno.
Consiglio solo di abbassare lo zucchero rispetto alla ricetta originale di Mazzini, ma immagino che a metà Ottocento la qualità degli ingredienti permettesse di abbondare con il dolce senza senza ribellioni gengivali.
E ora, visto che ho fatto merenda con le frappe fritte ricoperte di cioccolata fondente che mi ha portato ieri sera un amico, vado appunto a lavarmi i denti…

LINDA KENT (QUI la sua Pagina-Autrice): L’argomento di oggi mi affascina! Come lettrice e soprattutto come autrice. Sarà che amo le ricette storiche, sarà che le occasioni conviviali offrono un’ottima ambientazione, sarà che i gusti identificano meglio un personaggio, e lo rendono più vivo. Insomma, delle tante ricerche preparatorie per un romanzo, quelle che riguardano la cucina sono fra le mie preferite. Per la serie di Three Willows, ho avuto tantissima materia a disposizione, considerando il Savoy, Escoffier e le prelibatezze servite sui transatlantici, soprattutto per quanto riguarda l’ultimo romanzo, “Non ancora una lady“.

NORA JUNE PEEBLES (QUI la sua Pagina-Autrice): Io amo il cibo (e si vede). I miei personaggi prendono da me. Il cibo nei miei libri c’è in tutte le sue forme: c’è il cibo cucinato, il cibo mangiato e quello avanzato. Ci sono ristoranti, caffè, bar e cucine. Ci sono i pasti nei fast food e i pasti saltati.
I miei personaggi bevono caffè, ascoltano il gorgogliare della moka o usano una macchina del caffè. E ne parlano. Così come parlano di tè, camomilla, whisky, birra e vino. Per me mangiare o bere non sono solo azioni necessarie alla sopravvivenza ma raccontano tanto di una persona, dei suoi gusti, delle sue abitudini, dei suoi ricordi di infanzia, delle sue condizioni economiche, etc etc. Nei miei libri la vita accade anche e soprattutto durante i pasti. In Gioco d’intesa Sara e Nate fanno la pizza. In Solo quattro mesi, ci sono colazioni scozzesi e pranzi e cene italiane. In Le regole del gioco, Dan, il protagonista, è un cuoco. Ci sono lezioni di cucina più o meno serie nel romanzo e delle ricette (funzionano) alla fine del libro.

AMALIA FRONTALI (QUI la sua Pagina-Autrice): Il cibo fa subito ambientazione. Cosa mangi/bevi, quanto e come dice subito in che epoca sei, in che parte del mondo, che educazione hai ricevuto, a cosa dai importanza. Se a mangiare sono diversi commensali parla anche dei rapporti reciproci. Mangiare rivela in poche battute mille atteggiamenti che dicono parecchio dei personaggi, perfetto per lo show don’t tell.
Inoltre parlare mentre si mangia, o dopo mangiato, crea subito una scena ricca di dettagli visivi ma che non distrae dal dialogo. Idem, ancora di più, se invece di mangiare si cucina.
Sarà perché adoro mangiare, ma nei miei romanzi il cibo compare sempre.
Però non bisogna cadere nel tranello guida Michelin, in cui si finisce a elencare pietanze o mettere in bocca ai personaggi trattati di cucina. Ambientare “in cucina” è molto difficile, tanto quanto è facile, di contro, narrare un pasto.

GIOVANNA BARBIERI (QUI la sua Pagina-Autrice): Amo quando trovo il cibo nei gialli. Per esempio, Vichi fa sempre festa quando termina i casi; anche la Scalia nomina spesso il cibo (dolce e salato) siciliano (una voglia, gente!). De Giovanni inserisce spesso cosa stanno preparando per la cena la moglie di Maione, oppure la tata Rosa di Ricciardi.
Nei miei romanzi, inserisco anch’io qualcosa sul cibo, sia negli storici (in quello che uscirà a breve, ho letto un saggio sull’argomento (Il trionfo del gusto: la cucina nell’età gonzaghesca tra alimentazione e ritualità conviviali di Malacarne, editore Le Regge dei Gonzaga, 2013) sia in quelli gialli (anche in quello appena terminato, ambientato a Firenze).

LUANA TRONCANETTI (QUI la sua Pagina-Autrice): Come lettrice, a patto che non si ecceda nelle descrizioni o si abusi del mezzo, sapere cosa bevono/mangiano i personaggi mi aiuta a vederli. Come scrittrice, contestualizzare ogni tanto il cibo mi aiuta senz’altro a caratterizzarli. Nel caso specifico del mio Proietti, racconto col contagocce il suo nutrirsi/bere. Sapete com’è… scivolare nell’effetto “Montalbano” è questione di un attimo. A mio avviso, è abbastanza inverosimile che un ispettore della mobile di Roma si metta con i piedi sotto al tavolino ogni due per tre; è una suggestione splendida ma già vista, inadatta a una metropoli in cui per percorrere 10 km a volte ci si impiega un’ora.

Concludiamo con Laura Costantini (QUI la sua Pagina-Autrice).