Macrina Mirti (santa subito!) ha preso tutti i post del mercoledì dedicato all’argomento “scaletta sì, scaletta no” e ne ha ricavato questo articolo.

Da un sondaggio, recentemente diffuso nel gruppo Facebook di “Babette Brown legge per voi”, sembra proprio che le autrici e gli autori che lo frequentano non amino essere vincolati da scelte fatte in precedenza. Su centoquaranta che hanno risposto al quesito, nessuno ha detto che, prima di scrivere, fa una sinossi estesa, un riassunto ben preciso e strutturato di come dovrebbe essere il romanzo; l’unico che ha votato per l’opzione “scaletta rigida, in cui tutto è già stato fissato” è un uomo. Non dico altro e vi lascio riflettere sul fatto.

Riassumendo, in trentanove hanno scelto l’opzione: “Vado allo sbaraglio: ho un’idea in testa e comincio a scrivere. Il momento per organizzare tutto arriverà; mentre in trentasette hanno preferito l’alternativa: “Scaletta rivedibile, siamo aperti alle modifiche/integrazioni”.
Ventitre autrici/autori hanno poi indicato un’opzione simile alla precedente: “Da un’idea nucleo parte una scaletta in divenire, a blocchi di capitoli, perché la storia cresce man mano”.
Addirittura, cinque autrici confessano che, pur tentando di partire da uno schema, non riescono a portarlo avanti, perché i personaggi si ribellano e devono seguirli.
Per  sedici autori/autrici, poi, il modus operandi dipende dalla storia.

E ora, scendiamo un po’ nei particolari e vediamo come sono solite lavorare le scrittrici (ma anche gli scrittori) che frequentano il gruppo.
Cominciamo con Aina Sensi, che usa mappe concettuali per aiutarsi con lo sviluppo dell’intreccio.
Paola Garbarino parte da un’idea e, siccome non usa nessuno schema, non sa come finirà la sua storia; mentre Beatrice da Vela si pone obiettivi di scrittura giornalieri. Ivy D. Morgan e Pitti du Champ confessano di andare “ad ca***m”, come Maria Masella, anche se lei usa il più formale “andare allo sbaraglio”, come fanno pure Galatea Vaglio ed Elena Taroni Dardi o Anna Zarlenga, che si confessa completamente anarchica. Anche Cristiana Carosio, a quanto pare, detesta le scalette, come molte altre è un’autrice di scene che conducono verso altre scene e così via. Alexandra Maio, Rebecca Quasi ed Ella S. Bennet, quando iniziano a scrivere partono da un’idea che poi approfondiscono, anche se hanno già ben in mente la trama fin dall’inizio.
Laura Pellegrini parte da un’idea base e da un certo numero di passaggi chiave, poi prosegue “a braccio”, mentre Fernanda Romani fissa una scaletta e poi va dove la porta la storia. Scalette modificabili e griglie mentali flessibili sono le preferite pure da Agnes Moone, Linnea Nilsson, e Luce Loi.
Sarah Berardinello, Ilaria Carioti, Taylor Kinney e Anna B. utilizzano scalette solo per gli ultimi capitoli e spesso partono da un’idea nucleo.
Mary Thorn, Beatrice da Vela e Rosa Cerrato mettono in primo piano i personaggi, di cui definiscono bene i caratteri e che poi seguono nella loro evoluzione, calandoli nella realtà ispirata alla cronaca e/o alla storia del periodo di cui scrivono.
Più organizzate sono Aurora R. Corsini e Giovanna Barbieri. La prima parte da una trama già strutturata in capitoli, suscettibile di modifiche, mentre la seconda si serve di una scaletta, molto vicina a una sinossi estesa, in cui inserisce gli eventi non modificabili (perché storici) e quelli suscettibili di mutamenti.

E allora? Scaletta o non scaletta? Qual è la nostra conclusione?
‪Il fatto è che, come Monica Portiero spiega con chiarezza, utilizzare una scaletta fa sentire le autrici impigliate dentro un progetto lavorativo, piuttosto che creativo, e allora in molte la evitano.
Personalmente, penso che quando si parte da una sinossi estesa e ben strutturata, una buona metà del lavoro sia già stato fatto. Lavoro, appunto. Ecco: forse dovremmo chiederci che cosa rappresenti la scrittura, per noi. Un lavoro o un piacevole modo di esprimere noi stesse?

 

 

 

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