Ve la ricordate Mara Roberti?
Bene, dimenticatela. La nostra autrice si presenta con il suo vero nome: Roberta Marasco. Con cui ha appena firmato “Le regole del tè e dell’amore“.
Buongiorno, Mara/Roberta. Ok, la pianto con gli scherzi. Davvero benvenuta. Sono ansiosa di sottoporti al fuoco di fila delle domande che ho preparato per te.
Grazie per questo caloroso saluto, Babette. Sono felice di essere qui con te e con i lettori.
Prima domanda d’obbligo: il curriculum letterario in cinque righe.
Il primo libro l’ho scritto da ragazzina, con mio padre, una storia per bambini e uno dei ricordi più preziosi che ho di lui. Poi ho scritto di cinema, un dizionario umoristico per i Red Dress Ink di Harlequin e ho imparato a scrivere storie con Emma Books, come Mara Roberti (Love Trainer, Le scarpe son desideri, fra gli altri). La svolta è arrivata grazie a Tre60, con Le regole del tè e dell’amore. Credo che si possa riassumere così: mio padre mi ha accompagnato sotto braccio verso il mio grande amore, ho studiato, ci ho riso un po’ sopra, ho imparato a fidarmi delle emozioni e alla fine ho detto “Sì, lo voglio”. E adesso stiamo a vedere come andrà a finire. (Lo so, non sono proprio cinque righe, vero?)
Sono sei, se vogliamo essere pignoli. Perché prima Mara e poi Roberta?
Roberta all’inizio era troppo poco romantica, troppo scettica, un po’ cinica, più editor che scrittrice. Non mi lasciava scrivere una riga senza storcere il naso. Avevo bisogno di imparare a lasciarmi andare, a emozionarmi, a scrivere di quello che mi piaceva davvero. Emma Books per me è stato un percorso di riscoperta delle emozioni e delle possibilità di tradurle in parole. Con Emma ho imparato quali e quante fossero davvero le possibilità della letteratura “al femminile”, la cosiddetta women’s fiction, e quello che poteva fare per le donne, contrariamente a quanto si pensa, a volte.
Poi è arrivato Tre60 e insieme a loro ho fatto un lavoro diverso sulla mia scrittura. Da loro ho imparato a osare di più, a essere più generosa nel mio racconto, a misurarmi con una struttura più articolata e a percorrere a passo più sicuro il mondo che volevo creare. I miei personaggi sono cresciuti e credo di essere cresciuta un po’ anch’io. Dopo aver lavorato alla storia per Tre60, mi sono accorta che la tappa con Mara Roberti era terminata. Non avevo più bisogno di lei, anche se può suonare un po’ crudele. Avevo imparato molto, ma avevo voglia di provare a “camminare sulle mie gambe”. Anche il romanzo era diverso dai precedenti, pur prendendo le mosse da uno di loro, scritto proprio per Emma Books. E in un certo senso me lo sono sentito più mio. Era iniziata un’altra fase.
Questa passionaccia per il tè: perché/come/quando?
Non ero molto appassionata di tè prima di iniziare a scrivere il libro, confesso. Ho scelto il tè perché mi sembrava perfetto per raccontare due mondi apparentemente inconciliabili, quello delle regole e del rigore, e quello della magia e della fuga dalla realtà. Poi il tè mi ha conquistato. Non solo la bevanda in sé e il modo unico che ha di trasformare ogni momento. È il fatto che quasi ogni tè nasconde almeno una storia, è un universo magico, ricco, imprevedibile. E il tutto grazie a un’unica pianta, la Camellia Sinensis! Non può non avere qualcosa di magico.
Che tipo di tè sei?
Gran bella domanda! Io credo di essere un tè nero: classico, non troppo facile, con un gusto deciso e non dolcissimo. Se dovessi sceglierne uno, sarebbe il Keemum Mao Feng, il tè che apre la storia, il primo che beve Elisa nel romanzo: ha qualche nota affumicata, ma anche un gusto dolce e speziato, che a volte ricorda un po’ il cioccolato.
Un pettegolezzo succulento sul tè / sui bevitori di tè:
Non so se possa essere considerato un pettegolezzo, ma una delle storie più interessanti che ho letto durante le ricerche sul tè è quella che ho trovato in Lettere dalla mia Birmania, di Aung San Suu Kyi. Racconta che in Birmania le sale da tè sono anche e soprattutto luoghi di scambio di opinioni, in cui trovarsi con gli amici e parlare di politica, se è possibile, ma anche di letteratura e di poesia. E che l’espressione “circolo del tè verde” sta a indicare proprio un gruppo di discussione. Il tè è così radicato nella loro cultura che la mancia viene chiamata “soldi per il tè”, espressione che poi è passata a indicare le bustarelle. Trovo che sia un modo perfetto per raccontare quanti significati possa avere il tè e quanto sia complesso e articolato il mondo che vi gira intorno.
Concludiamo con un’altra domanda classica: progetti per il futuro?
C’è una storia a cui sto lavorando da tempo e che non riesco mai a finire. Non vorrei svelare molto, perché ho sempre paura che porti sfortuna. Ma visto che a Babette non riesco mai a negare una risposta, dirò che è ambientata in Spagna, questa volta.
Grazie per averci fatto compagnia, Roberta!
Grazie a te! A presto.
La recensione del nuovo romanzo di Roberta Marasco “Le regole del tè e dell’amore”
Qui potete trovare i romanzi pubblicati con lo pseudonimo di Mara Roberti
Io con Babette potrei chiacchierare per ore e alla fine scoprire ogni volta di conoscermi un po’ meglio di prima. Grazie, donna fantastica!
Ho metodi che funzionano meglio delle torture di Torquemada.
Eccomi. Domande sparse.
Ho letto “Le regole del tè e dell’amore“, mi ha regalato il cartaceo il mio mentore. Mi ha ricordato il libro della Caboni, quello sul miele. In entrambi è presente molta introspezione, come piace a me. L’introspezione non è di moda. Ci sono ancora CE che puntano su questo? 2) l’ho visto con altri anche su Amazon e francamente il prezzo digitale è altino e penalizza l’opera 3) Come sei arrivata all’editoria tradizionale? 4) Non credi sia superata? 5) ti interessa più che ti leggano o la “patina” di autore serio perchè pubblichi con CE? 6) Soffri l’editing? Fino a che punto puoi dire la tua? 7) Si scrive per passione, per narcisismo, per essere letti, per sè, per denaro…Dove ti collochi? 8) La tua gavetta ? 9) Ti piaci quando ti rileggi? O ti piacerebbe ritoccare qualcosa? 10) Che ne pensi degli scrittori indie, ti attira l’idea di essere libera, in quel caso? Nota. In nessuna delle domande c’è malizia. Grazie per la disponibiltà.
Tutte domande molto interessanti e non facili. Comincio e chiedo scusa fin da ora se semplificherò un po’ per motivi di spazio!
1. l’introspezione: io sono convinta che sia sempre di moda, se affrontata nel modo giusto. Può trattarsi di lunghi dialoghi esistenziali o di un percorso fra le emozioni dei personaggi, ma senza un minimo di introspezione, di analisi del vissuto emotivo e dei conflitti interiori, secondo me una storia perde di sostanza e della capacità di coinvolgere il lettore.
2. Sul prezzo del digitale mi trovi d’accordo. Il mio è un po’ più basso di altri ebook, che di solito sono intorno ai 9/10 euro (il mio se non sbaglio sono 7), ma è comunque un po’ caro.
3. Come sono arrivata all’editoria tradizionale: la mia agente ha proposto la storia ad alcuni editori. Tre60 era interessata e ha comprato i diritti, chiedendomi di tornare a lavorarci, cosa che io ero desiderosa di fare, perché sentivo che quella storia poteva dare di più, che non avevo ancora raccontato tutto.
4. No, non credo che l’editoria tradizionale sia superata, tutto il contrario. Affiancata dal digitale (in cui credo moltissimo) l’editoria tradizionale (immagino tu intenda nella contrapposizione con i SP) secondo me resta ancora una garanzia di qualità e di professionalità. Io sono convinta che la pubblicazione sia un lavoro di squadra, si impara dal confronto con altre figure professionali. Da soli si è autonomi, ma non ci si arricchisce allo stesso modo, secondo me.
5. Non credo a dire il vero che pubblicare con una CE ti faccia sembrare un autore più serio. Ci sono autori molto seri che pubblicano da soli e autori molto poco seri che pubblicano con CE. Io non concepisco (per me e adesso, poi mai dire mai) una pubblicazione che non sia con un editore. Che si tratti di un editore digitale come Emma Books o cartaceo come Tre60. Poi ovviamente il cartaceo garantisce, come dici tu, maggiori possibilità di essere letti, con la giusta distribuzione. E alla fine è quello che desideriamo di più un po’ tutti come autori, credo.
6. L’editing: io sono un caso anomalo, perché amo moltissimo riscrivere le mie storie, mi piace davvero, credo di essere più editor che autrice, in questo senso. Amo riscriverle e mi piace – quando c’è sintonia – che mi aiutino a migliorarle. Un aneddoto: all’inizio l’editor di Tre60 (una persona magnifica, sul piano professionale e su quello umano, con cui ero in sintonia perfetta) secondo me temeva che io fossi restia a intervenire. Alla fine invece secondo me iniziava a temere il contrario, che non la smettessi più di cambiare la storia!
7. Scrivo per tutti i motivi che hai detto, tutti insieme, per passione, per essere letta, per narcisismo, per stare meglio con me stessa, per conoscermi meglio e anche per soldi. Ma più di ogni altra cosa scrivo per emozionarmi. Per emozionarmi toccando ogni volta tasti diversi.
8. La mia gavetta in parte l’ho raccontata a Babette qui nell’intervista. Oltre a quello, lavoro nell’editoria praticamente da sempre, come correttrice, editor, traduttrice. Credo che sia stata quella la mia gavetta.
9. Ci sono pagine che mi piace rileggere, altre in cui soffro perché credo che andrebbero migliorate. Tendenzialmente, mi rileggo sempre con un po’ di ansia, soprattutto quando il libro è appena uscito.
10. Ammiro moltissimo gli scrittori indie, almeno quelli che lo fanno con serietà e professionalità, ma non è una scelta che mi attira. Per me, come dicevo prima, la pubblicazione è un lavoro collettivo, è quella la parte che amo di più: lavorare insieme ad altre persone sul mio libro, confrontarmi, imparare e cedere il potere decisionale in settori (come la grafica o la promozione) in cui non sarei all’altezza.
Finito! Mi scuso per la sintesi, ma altrimenti non avrei più finito. Grazie!