Socia World SF Italia, iscritta al CSU, ha vinto le prime due edizioni del premio Viviani (sezione fantasy). Presente in molte antologie di genere (fantascienza e fantasy), con il racconto Mi prenderò ogni cosa (Futuro Criminale, La Ponga, 2019) è nella raccolta Mondi paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019 (Delos Digital, 2020, a cura di Carmine Treanni). Con l’antologia Lei. Storie di donne da tutti i mondi possibili (Altrimedia, 2018) sostiene la Susan G. Komen Italia (prevenzione dei tumori al seno). Nel 2020, oltre alla pubblicazione dei racconti Il tesoro della Poiana (Sui mari d’acciaio, Lettereelettriche), Stelle d’inverno (in Rizomi del sole nascente, a cura di Gian Filippo Pizzo), Caccia al drago (Bestie d’Italia – volume 3, NPS Edizioni), Una sola notte all’anno e Occhi di gatto (Uscite d’emergenza, Linee Infinite), Il vento nei capelli (in Rapporti dal domani, a cura di Gian Filippo Pizzo), partecipa alle iniziative benefiche Fàntàsià (2020, a sostegno di ASROO, per la ricerca sul retinoblastoma) e Mari Aperti (2020, per il progetto Senza Confine, in favore di Open Arms).
A dicembre 2020 pubblica il romanzo La canzone del drago ed è presente con il racconto Indietro non si tornanell’antologia Gothica, omaggio all’opera di Edgar Allan Poe, entrambi per DZ Edizioni.
A febbraio 2021 è presente con il racconto Da mercante a marinaio nella raccolta I viaggi di Sindbad, curata da Alessandro Iascy e Giorgio Smojver, edita da Delos Digital.
1. Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Scrivo un po’ di tutto, osservando il mondo attraverso una lente particolare, quella del fantastico. Dato che però non mi piacciono le catalogazioni e non amo i confini, mi capita spesso di mescolare i mille sottogeneri che lo compongono, aggirando le regole precise che li caratterizzano e dando una mia cifra personale alla narrazione. Il bello della narrativa fantastica è che, grazie all’universalità dei temi trattabili e ai molteplici livelli di osservazione possibili, ciascuno (non importa che sia un adulto o un bambino) può trovarvi una personale soluzione a ciò che nella vita reale a volte sembra inaffrontabile.
Provo a spiegarmi meglio. Questo tipo di letteratura, nonostante le apparenze, offre l’opportunità di parlare di temi universali e attuali guardandoli/narrandoli da punti di vista del tutto inaspettati e con un’efficacia innovativa. Per esempio, la fantascienza fa appello all’immaginazione per spingere a riflettere sui grandi interrogativi, studia la realtà da una prospettiva diversa al fine di comprenderla e viverla meglio; il fantasy, invece, con i suoi archetipi diventa uno strumento di formazione, di crescita personale. Due punti di osservazione diversi, uno oggettivo e l’altro soggettivo, ma entrambi efficaci e fortemente ancorati alla realtà.
Dal mio punto di vista, trovo la fantascienza più divertente da scrivere, anche se ha molti più paletti e lettori esigentissimi, per cui richiede una preparazione più precisa e ponderata. Nel fantasy vado più di istinto, ogni volta che ne scrivo è un po’ come tornare “a casa”.
Quanto alla forma narrativa, sono molto a mio agio con il racconto, che trovo particolarmente efficace proprio nel trasmettere messaggi e nel suscitare riflessioni.
2. Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
Penna e carta, sempre. Riempio fogli su fogli con qualsiasi cosa possa riguardare la storia che è venuta a cercarmi, scene, ambientazioni, personaggi. Appunti presi in qualsiasi momento e situazione, ricordi e suggestioni recuperate qua e là, tutto finisce nel calderone. Anche se poi, quando è il momento di trasferire il tutto nella struttura che ho progettato (più o meno), la maggior parte di quello che ho scritto ne resta fuori. La migliore sintesi di questo processo la affido alle parole di Hemingway: “La prima stesura di qualsiasi cosa è merda”.
3. C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
Purtroppo non ho giornate che mi consentano di scegliere un momento prediletto, scrivo quando posso, ritagliandomi sessioni (di solito, mini-sessioni) di scrittura ogni qualvolta mi sia possibile.
4. Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Dipende da quello che sto scrivendo. In genere, faccio molta fatica (una fatica “fisica”, di quelle che ti fanno sudare e ti lasciano sfinito), soprattutto perché, nonostante io rispetti sempre la legge di Hemingway cui facevo cenno, fin dalla prima stesura cerco di scegliere le parole più adatte, di costruire le frasi nel modo più fluido, di dare ai personaggi una propria individualità, affinando il tutto durante la fase di revisione, e questo tipo di procedimento richiede uno sforzo notevole e costante per tutto il tempo. È un lavoro vero e proprio, anche se spesso (soprattutto nel nostro paese) non riconosciuto come tale.
5. Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Quando ho iniziato a scrivere “sul serio” andavo a braccio, scrivendo d’istinto e poi assemblando la storia come fosse un film. Nel corso del tempo, ho cercato di dare un ordine al processo, allestendo prima di iniziare una sorta di scheletro su cui strutturare la narrazione. Questo mi è molto utile soprattutto nella scrittura dei racconti, che necessitano di un rigoroso esame circa ciò che effettivamente sia necessario inserire e cosa invece sia superfluo.
Utile, ma non sempre fattibile.
Spesso capita che, nonostante io mi illuda di avere il controllo della trama, mi renda conto che è la storia che sto narrando ad avermi scelta: è lì, esiste e si fa scoprire a poco a poco, lasciandomi credere di essere stata io a inventarla. A volte, mentre faccio ricerche per garantire verosimiglianza a quello che mi accingo a raccontare, mi succede di imbattermi in fatti/situazioni che pensavo di aver inventato e che invece sono realmente accaduti. Questo mi inquieta un po’, sono sincera. Ecco perché mi piace definirmi “narratrice di mondi”, così si evitano equivoci sulla paternità delle storie che racconto.
6. Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Vorrei essere costante, per me la scrittura è composta in minima parte di ispirazione e per il resto di lavoro artigianale (avete presente la famosa “cassetta degli attrezzi”?). Per non essere fraintesa, non sto parlando di talento, ma di ispirazione. Per dare vita all’idea di un mondo può bastare una scintilla di un solo istante, per costruirlo come si deve possono volerci anni di lavoro sulla struttura, sulle parole, sui personaggi.
Per questo, cerco di tenermi in allenamento, un po’ come si fa per il fisico, scrivendo ogni giorno, anche solo poche righe. Aiuta a non perdere “tonicità”.
7. Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
Dato che ci metto sempre l’anima, non posso non amare qualcosa a cui mi sono dedicata così tanto e soprattutto così intensamente. Per chi scrive, le proprie storie sono un po’ come dei figli, creature uniche cui si vuol bene nonostante i difetti e le imperfezioni.
8. Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Sì, mi capita. Il più delle volte, dal momento che scrivo principalmente racconti, accade quando il testo si “libera” dai diritti ceduti. Mi piace riplasmare le mie storie mettendoci dentro nuove tecniche narrative, portando alla luce aspetti che erano rimasti nascosti, a volte persino cambiando i protagonisti o il finale. Nella maggior parte dei casi, dopo questo restyling la storia precedente è irriconoscibile. Questa cosa mi aiuta molto quando devo mettere un punto, perché
altrimenti starei lì all’infinito a rivedere, riscrivere, limare e perfezionare. La storia che oggi è conclusa, domani potrà rinascere, crescere, trasformarsi, in un eterno divenire. Saperlo mi rende capace di scrivere la parola FINE, nella consapevolezza che dietro quelle quattro lettere c’è ancora un mondo da narrare, che posso recuperare quando voglio.
9. C’è qualcosa di autobiografico nei suoi libri?
Sono convinta che ci sia sempre qualcosa di autobiografico in quello che si scrive, per quanto filtrato dal genere scelto. A livello inconscio, quando non lo fa consapevolmente, l’autore mette sempre nelle parole la sua esperienza, reale, spirituale, ideale.
10. Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
Tutti lo dicono, io aggiungo che per chi vuole scrivere è indispensabile. Non solo per imparare tecniche, capire come si costruisce una storia, ampliare il proprio lessico, nutrire la fantasia. Io leggo di tutto, anche quello che pare fuori dalle mie corde, per pura curiosità, per approfondire un autore che mi piace o un genere che non conosco e perché no, per godere di momenti di intrattenimento puro. Non saprei quantificare, vado a periodi, anche qui per motivi di tempo e di impegni. Nell’ultimo anno ho letto (e scritto) pochissimo, paradossalmente, pur avendo a disposizione più tempo per via del lavoro flessibile svolto da casa. È come se lo stare ferma fisicamente avesse bloccato qualche meccanismo mentale che non riesco a riavviare. Mi mancano i viaggi, le cose in movimento, l’immobilità di questo periodo ha come “ibernato” la mia creatività. Mi sembra quasi di essere sospesa in un limbo privo di colori, suoni, vita. Ho visto molti film e serie tv, cosa che di solito non facci dando preferenza alla lettura, e riflettendoci alla luce di quanto ho detto prima, la cosa ha un senso: la sfera visiva surroga la mancanza di “attività” in tutto il resto.
11. Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ho partecipato a molti concorsi, a volte con successo, altre senza. Trovo che sia importante mettersi in gioco, aiuta a crescere, insegna a incassare le sconfitte, a capire dove e come migliorare e ad accettare che, spesso, serve anche un pizzico di fortuna. Può capitare di avere una buona storia ma di non vederla vincere o piazzarsi per tanti motivi, per esempio la qualità generale dei concorrenti o i gusti della giuria; si può sbagliare, se il concorso è a tema, a centrare l’argomento. A me è capitato che racconti inviati senza successo a dei concorsi siano stati scelti nelle selezioni di prestigiose antologie, per esempio. Oppure di vincere per due volte di fila lo stesso concorso, con la soddisfazione di veder riconosciuto il mio lavoro da professionisti del settore ed esperti del genere affrontato. L’importante è avere fiducia nelle storie che si raccontano e, quando non si ha successo, aprire la famosa cassetta degli attrezzi e tirare fuori quelli giusti, limare le imperfezioni, correggere gli errori e dare al proprio lavoro una nuova possibilità.
Vi racconto un’esperienza che può spiegare bene quello che intendo dire. Qualche anno fa avevo inviato al concorso Giallo Stresa un racconto che ottenne una segnalazione. Mi dispiaceva lasciarlo nel cassetto, così l’anno dopo lo inviai al concorso Firenze Libro Aperto. Si classificò tra i vincitori e avrebbe dovuto essere pubblicato in un’antologia, cosa mai avvenuta per problemi degli organizzatori del concorso. Immaginate la mia delusione, credevo in quella storia, e forse avevo ragione, visto che per due volte (e in contesti diversi) le era stato riconosciuto un merito. Poco più di un anno dopo, una carissima amica scrittrice mi chiese se avessi qualcosa da sottoporre a un curatore severissimo che cercava racconti di fantascienza contaminati con elementi del genere giallo. La mia storia era in effetti un giallo, ma di certo non fantascientifico. Iniziai a buttare giù un racconto nuovo, fantascienza mescolata a giallo… Eppure, qualcosa mi riportava lì, al cassetto in cui avevo riposto “La lacrima d’argento”. Dopo qualche esitazione, decisi di fare una prova. Misi mano al testo (o forse sarebbe più corretto dire che manomisi il testo), trasformandolo completamente secondo le richieste del curatore. Ebbene, il racconto fu selezionato e pubblicato nell’antologia Futuro Criminale (La Ponga, 2019, a cura di Gian Filippo Pizzo) con il titolo “Mi prenderò ogni cosa”. Ma non finisce qui: nel 2020, tra moltissimi testi, è stato scelto per far parte della raccolta “Mondi Paralleli – Il meglio della fantascienza italiana indipendente 2019” (a cura di Carmine Treanni, Delos Digital, 2020).
Con questo aneddoto, spero di aver reso l’idea: datevi sempre un’altra possibilità.
12. A cosa sta lavorando ultimamente?
Ho diversa carne al fuoco, alcune selezioni editoriali, un paio di racconti su commissione, qualche concorso cui mi piacerebbe partecipare. Oltre alla promozione di quanto pubblicato, ovviamente, come il recente romanzo La canzone del drago (DZ Edizioni) o le belle antologie a cui ho preso parte, tra cui l’ultimo volume di Bestie d’Italia (NPS Edizioni, a cura di Alessio Del Debbio), Rapporti dal domani (Delos Digital, a cura di Gian Filippo Pizzo), I viaggi di Sindbad (Delos Digital, a cura di Alessandro Iascy e Giorgio Smojver), Gothica (DZ Edizioni, a cura di Miriam Palombi).
A causa della pandemia sono venute meno le occasioni di incontrare direttamente i propri lettori, per cui anche pubblicizzarsi è diventato più complicato, dovendo trovare il modo giusto per distinguersi tra le mille offerte del mercato editoriale. La cosa che più mi spiace è non riuscire a dare la giusta visibilità a iniziative importanti a cui ho avuto occasione di partecipare, ne cito una per tutte l’antologia Mari aperti (che nell’ambito del progetto Senza Confini curato da Maikel Maryn e Andrea Marinucci Foà sostiene direttamente Open Arms), uscita durante il lockdown dello scorso anno.
Grazie per avermi dato la possibilità di raccontarmi un po’ in questa intervista 😊
Commenti recenti