Maria Masella, conosciuta anche con lo pseudonimo Mary M. Riddle (Genova, 10 febbraio 1948), è una scrittrice italiana. Laureata in Matematica, ha insegnato per molti anni al liceo scientifico e nonostante i successi editoriali ha continuato a lavorare fino alla pensione. La sua carriera da scrittrice ha avuto inizio con la pubblicazione di alcuni suoi racconti di spionaggio nella collana Segretissimo Mondadori, ma ha poi cambiato più volte genere scrivendo racconti o romanzi fantasy, gialli e romance con ambientazione sia storica che contemporanea. Con Frilli Editori, sta pubblicando la serie del commissario Antonio Mariani e la serie di Teresa Maritano e Marco Ardini.

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Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
MM: Da lettrice e da scrittrice mi è difficile fare distinzione di genere. Forse ogni storia è autonoma, non incasellabile. Da lettrice adoro le storie che sfuggono le classificazioni. Nel romance i riflettori sono sulla storia d’amore, ma da scrittrice mi piace inserire un pizzico di giallo nel romance, senza slittare nel romance suspense; gradisco quel pizzico che dà mordente, come il sale messo anche nei dolci. Nel giallo l’importante deve restare il delitto, ma da scrittrice mi piace che nei gialli ci sia una forte attenzione ai sentimenti, senza finire nel giallo rosa. Ho citato due generi, ma ho scritto di tutto, inclusa fantascienza e fantasy. Ho scoperto che alcuni generi non sono nelle mie corde: horror (sono di spavento facile) ed erotico hot che a volte mi fa ridere. Come mi sono indirizzata su alcuni generi evitandone altri? Non lo so di preciso, ma i primi libri “da grande” che ho letto erano di mio padre, leggeva Gialli Mondadori, Urania, Segretissimo, classici, molti americani. Forse si scrive quello che si legge. E il romance? Ho cominciato a leggerlo verso i quarant’anni. Nota: sono nata nel 1948, avevo vent’anni nel ’68, diciamo che le storie d’amore non erano lettura abituale. Leggerli prima dei vent’anni? Durante gli anni del liceo leggevo non di genere o quello che arriva in casa portato dal padre forte lettore.

Come scrive? Penna e carta, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
MM: Nel 1987 mi sono innamorata a prima vista. Il MPI mi aveva mandata a seguire un corso per l’introduzione dell’informatica nelle scuole superiori. Per la prima volta avevo acceso un PC, uno di quelli con lo scatolone sotto e dietro super ingombrante. E avevo scoperto WS4. Amore amore amore… Scrivere, poter correggere, impaginare, cercare, stampare. E c’erano i floppy,  quelli morbidi da sostituire nelle fessure. Nonostante la scomodità era un sogno. Due giorni dopo ordinavo il mio primo PC. E la stampante. Chi fra voi ricorda la carta a strisce bianche e grigie, con i buchi, la carta malefica che andava sempre storta? Da allora ho avuto un PC con torre. E quattro portatili. Scrivo su PC. IPad e iPhone non li conosco (forse li amerò nella prossima vita). Perdo qualsiasi appunto cartaceo. Quando fumavo appuntavo qualcosa sui pacchetti di sigarette (che ovviamente duravano dalla mattina alla sera). Ho ottima memoria, nel mio disordine sto d’un bene che non immaginate. Ho pochi principi ma uno non l’ho mai abbandonato: se dimentichi uno spunto, allora non meritava di essere ricordato.

C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
MM: ma certo! Come ogni scrittore che si rispetti, ho il mio momento preferito per scrivere. Ora vorreste sapere quale è. Il mio momento particolare è “quando posso”. Diciamo che sono sempre disponibile, ma mai più di due ore al giorno. Le supero soltanto durante la prima revisione, quella “grossa”. Due ore? Sì, due ore. Nella prima stesura di un giallo scrivo tre-quattro mila battute in un’ora, se è un romance sono più veloce. Curiosità? Metto il timer (quello da forno) per non superare le due ore. Quando lavoravo o dovevo occuparmi di mio padre non serviva, ora sono sola e rischio di sforare. Se scrivo per troppo tempo di fila mi è difficile uscire da una storia.

Quando scrive, si diverte oppure soffre?
MM: mi piace scrivere. Sarebbe giusto dire che mi diverto, ma a volte anche la sofferenza è divertimento. La risposta corretta è dire che partecipo alle vicende che scrivo.

Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
MM: non “navigo a vista”, nuoto a occhi chiusi assorbendo la storia. Qui devo dilungarmi. Chi scrive usa non solo ragione, non solo emozioni, ma un intreccio di testa e cuore. Che poi ognuno intrecci a modo proprio conta poco, l’importante è che usi entrambi. Torno a me. Butto fuori una prima stesura in modo totalmente emotivo, comincio un giallo senza conoscere l’assassino o il movente. Lo scopro circa a metà, a volte anche dopo. Di un romance so che ci sarà il lieto fine e basta! Ma poi arriva la revisione grossa, in cui smonto quello che ho scritto, punto per punto, valutando ogni capitolo nell’economia generale e singolarmente. Mi sembra che questa sia la domanda più tecnica. Posso allargarmi? Uso Word. Mi piace da matti. Quando comincia un nuovo capitolo, inizio una sezione nuova: questo sistema mi aiuta a muovere i pezzi. Ogni volta che cambio rotta, salvo il file con un numero che supera il precedente di una unità. Non butto mai niente. Ogni giorno, a fine lavoro, mi spedisco il file in una delle mie caselle di posta. Lo consiglio alle pasticcione come me. E poi revisioni e revisioni. Quindi nuoto a vista e poi smonto tipo meccano (da ragazzina il mio gioco preferito).

Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
MM: sono costantemente incostante. Due ore al giorno. L’ispirazione? O la mia è costante o è una favola. Accendo il PC e comincio.

Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
MM: Prima di consegnare un testo lo leggo tante di quelle volte che i miei sentimenti nei suoi confronti restano anestetizzati per un bel po’. Mi spiego: quando revisioni un tuo testo devi starne fuori, leggerlo da estranea, altrimenti non trovi neppure il refuso più evidente. Leggi un romanzo circa dieci volte in questo modo (dopo aver chiuso le revisioni) e per un po’ di tempo quel romanzo è estraneo. Non provo nulla. Quando leggendolo non provo nulla, vuol dire che è consegnabile. Ritorna mio dopo un bel po’.

Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
MM: solo se necessario.

C’è qualcosa di autobiografico nei suoi libri?
MM: molte mie storie sono ambientate a Genova e sono genovese. Nei miei libri filtrano più le emozioni provate che i fatti.

Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
MM: in parte ho risposto al punto 1. Leggo molto, leggo di tutto. Rileggo moltissimo. Di solito due libri in contemporanea per non essere risucchiata da un’unica storia. Una trentina nuovi e almeno una dozzina di riletture ogni anno.

Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
MM: scrivevo da molti anni, di nascosto anche da me stessa. Nel 1986 ho letto un bando su Segretissimo per un racconto inedito. L’ho scritto e l’ho inviato. È piaciuto. Ho cominciato così. Ho partecipato altre tre volte (sono stata fra i vincitori), ho partecipato al Tolkien, al Solinas, all’Azzeccagarbugli, al premio EWWA (sempre fra i vincitori). Mi piaceva mettermi in gioco.

A cosa sta lavorando ultimamente?
MM: a marzo dovrebbe uscire un mio romance storico sulla collana Classic Mondadori, ho appena finito il seguito che mi è stato ordinato e che uscirà a fine 2020 o a inizio 2021. A quel punto non avrei più pendenze (romanzi promessi e quindi da scrivere). Per tre anni ho scritto noir a raffica, sento la necessità di mettermi in pausa. Ho alcune storie in mente, ma mi sto obbligando a riposare e soprattutto a pensare a un mio possibile futuro. Scrivo, no, pubblico da trentatré anni! Ho all’attivo più di cinquanta romanzi che spaziano dal noir al romance, sempre scelti da editori non a pagamento. Forse le lettrici e i lettori mi amano, ma quale è il motivo del silenzio della critica nei miei confronti? Forse non scrivo abbastanza bene. Forse scrivo troppo perché quello che scrivo sia valutato degno.
Eppure sono l’autrice di una delle serie noir più longeve, dopo il Montalbano di Camilleri. La serie Mariani è molto letta nonostante sia pubblicata da un piccolo editore che agli inizi aveva anche difficoltà nella distribuzione e sia ambientata in una città, Genova, che è abbastanza ai margini dell’immaginario collettivo degli italiani.
Forse non mi sento più a mio agio fra alcuni colleghi che scrivono due o tre romanzi di medio successo e subito tengono corsi di scrittura creativa…
Temo che l’aver scritto così tanto sia ormai un handicap piuttosto che un vantaggio per il mio futuro. Una battuta che circolava fra gli studenti di Medicina quando ero ragazza: “È più redditizio scoprire una nuova malattia che una nuova cura che dovrebbe essere testata per anni.” Così penso che per editori e critici sia più redditizio scoprire un “nuovo talento” che continuare con uno vecchio.
Quindi mi metto in pausa e cerco di capire se sono ignorata dalla stessa critica che osanna altri, arrivati molto dopo e che hanno meno pubblicazioni all’attivo, perché la qualità dei miei romanzi è mediocre o perché ho sbagliato troppe scelte (purtroppo alcune non sono state scelte ma obblighi). Quindi mi prenderò una lunga pausa per cercare di capire se continuare a scrivere e in caso affermativo che cosa.