Buongiorno. Abbiamo con noi Diego Pitea, autore alla prima pubblicazione, ma molto attivo nel settore “gialli” con la partecipazione a due concorsi Mondadori.
Diego Pitea ha 45 anni e vive a Reggio Calabria, nella punta dello Stivale. Ha iniziato a scrivere a causa di un giuramento, dopo un evento doloroso: la malattia di sua madre. Il suo primo romanzo Rebus per un delitto è risultato finalista al premio “Tedeschi” della Mondadori, affermazione ribadita due anni dopo con il secondo romanzo, Qualcuno mi uccida. L’ultimo rintocco è il primo libro pubblicato (Editore goWare, aprile 2020). È sposato con Monica e ha tre figli meravigliosi: Nano, Mollusco e Belva.
1. Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Buongiorno, Babette, e buongiorno ai suoi lettori. Quando iniziai a scrivere, decisi di cimentarmi con il giallo classico poiché rappresentava la mia passione fin da bambino. I miei primi due libri appartengono, infatti, a questo genere, il primo addirittura parla di un delitto commesso in una stanza chiusa dall’interno, l’incubo di tutti gli scrittori di libri gialli. Dopo questi, ho virato verso il thriller psicologico. Ne ho scritti due, di cui uno pubblicato, mentre il terzo è in dirittura d’arrivo. Non sono io che ho scelto questo genere, ma è il genere che ha scelto me; diciamo che fin da bambino è stato amore a prima vista, si è trattato solo di passare dalla lettura alla scrittura.
2. Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
Spesso, quando mi viene in mente qualcosa che mi sembra degna di nota, prendo appunti su qualsiasi cosa mi trovi davanti: fazzoletti, pezzi di legno, tutto quello su cui posso tracciare dei segni. In un’occasione, scrissi il nome di uno dei miei personaggi sulla mano. Quando, invece, scrivo il romanzo utilizzo il tablet con tastiera o il computer.
3. C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
Avendo tre figli piccoli, non posso scegliere quando scrivere, posso farlo solo quando loro me lo permettono. Diciamo che spesso scrivo nelle ore serali, quando i tre uragani hanno consumato la loro energia e tutto si calma e tace, per citare Hercule Poirot.
4. Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Molti sono convinti che scrivere sia un divertimento, e in parte lo è, non mi sognerei mai di sostenere il contrario. Quando ho dovuto collaborare all’editing e alla correzione di bozze del mio romanzo, le cose sono cambiate e ho provato che scrivere può diventare sofferenza. Devo dire la verità: sono molto veloce e finora non ho mai sofferto della cosiddetta “sindrome della pagina bianca”, per cui sofferenza no… mai.
5. Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Nel caso dei gialli classici, è necessario un approccio più sistematico, in quanto il tipo di storia si presta a questo metodo. Con i thriller psicologici, mi faccio guidare dal puro istinto: ho un abbozzo di trama in testa e comincio a scrivere, scoprendo, man mano che il libro procede, dove intenda portarmi la testa. Da questo punto di vista, il libro diventa una sorpresa anche per me.
6. Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Non riesco a scrivere tutti i giorni per impegni lavorativi e familiari. Spesso trascorrono diversi giorni tra una “seduta” e l’altra e di questo me ne rammarico. Per fortuna, riesco a scrivere molto velocemente, le idee scaturiscono a getto continuo, per cui riesco a recuperare in poco tempo.
7. Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
No, non sempre. L’idea che già alla prima stesura sia tutto perfetto, a mio avviso è una panzana colossale. Spesso mi capita di cancellare paragrafi interi, in quanto, rileggendoli, mi sembrano sconclusionati.
8. Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Ho pubblicato solo “L’ultimo rintocco”, finora, anche se altri sono in gestazione. Se consideriamo che prima di vederlo stampato da goWare sono stato costretto a rileggerlo, fra editing, correzione bozza e altre amenità del genere, anche dieci – quindici volte, capirà che alla fine sono arrivato quasi a odiarlo.
9. C’è qualcosa di autobiografico nel suo libro?
Richard Dale è in buona parte me, sono miei i suoi pensieri, i suoi comportamenti; alcune delle vicissitudini presenti nel libro sono esperienze che mi sono occorse nella vita. Ritengo in questo modo di essere riuscito a rendere il personaggio più reale, più vero. Del resto, ho letto che la stessa scelta l’hanno fatta anche scrittori famosi, per cui penso di non sbagliare.
10. Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è un lettore assiduo? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
Ho iniziato a leggere da piccolissimo. Ricordo che fu mio padre a leggermi il primo libro e da allora non mi son più fermato. Quando ero giovane e avevo molto tempo a disposizione, riuscivo a leggere anche due libri in un giorno, in un tour de force dalla sera alla mattina. Oggi, con tre figli e pochi spazi da potermi ritagliare, riesco a leggere molto meno, ma un libro non deve mai mancare sul comodino.
11. Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ho partecipato sia con il primo che con il secondo libro (non ancora pubblicati) al premio “Tedeschi” della Mondadori, arrivando con entrambi in finale. È stata un’esperienza bellissima. Ero alle prime armi e l’emozione di aspettare il risultato finale è stata qualcosa d’indescrivibile.
12. A cosa sta lavorando ultimamente?
Sto completando il quinto libro, il terzo della serie relativa ai thriller psicologici. Cercherò presto un editore per tutti i miei “ragazzi”. In più sto curando la promozione de “L’ultimo rintocco”, attività che prende gran parte del mio tempo libero.
Nel salutare Diego Pitea, vi ricordiamo la sua Pagina-Autore su Amazon.
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