Alessandro Bastasi è nato a Treviso nel 1949. A 27 anni si è trasferito a Milano, dove attualmente vive. Nel passato è stato attore e autore di numerosi articoli di argomento teatrale per riviste del settore e quotidiani. Dal 1990 al 1995 ha trascorso lunghi periodi all’estero, in particolare a Mosca tra il 1990 e il 1993. Gli avvenimenti di quegli anni – di passaggio dall’URSS alla nuova Russia – gli hanno dato materia per il suo primo romanzo La fossa comune, pubblicato nel 2008 e ambientato nella capitale russa. In seguito ha pubblicato i romanzi La gabbia criminale (2010) e Città contro (2012) con Eclissi Edizioni, La scelta di Lazzaro (2014), ebook con Meme Publishers, Era la Milano da bere (2016), Morte a San Siro (2017), Notturno metropolitano (2018) e Milano rovente (2019) con Fratelli Frilli Editori. Nel 2020 ha pubblicato una nuova versione de La scelta di Lazzaro con Divergenze Editore.
Suoi racconti sono presenti in varie antologie e siti letterari.
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Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Per lo più scrivo romanzi del genere noir. Come è stato più volte detto, in primis da maestri come Massimo Carlotto, il noir oggi è forse il genere letterario più idoneo a raccontare la società in cui viviamo. La forza narrativa di un noir ben scritto può infatti penetrare a fondo nella mente e nella pancia del lettore e farlo riflettere, senza mediazioni, sulle storture della realtà sociale in un certo periodo storico e in un certo territorio. Ed essendo questo l’obiettivo che mi pongo nella scrittura, la scelta del noir è stata quasi automatica. Anche se mi rendo conto che i contorni del genere stanno diventando sempre più indefiniti, ed è per questo che nell’ultimo romanzo, “Milano e i pensieri oscuri” edito da Fratelli Frilli, ho iniziato a esplorare altri territori, in una sorta di osmosi tra generi.
Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
All’inizio, quando cerco di chiarirmi le idee sul racconto che voglio scrivere, sui personaggi, sulla sua struttura narrativa, butto giù appunti ovunque, Moleskine, fogli di carta, persino sugli scontrini dei bar, se mi viene un’idea improvvisa. Poi, quando ho chiare le linee generali della storia, comincio a lavorare al computer.
C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
Di solito la mattina scrivo, nel tardo pomeriggio rivedo quello che ho scritto e sistemo alcuni particolari.
Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Dipende dalla storia e dal mio grado di coinvolgimento. Ad esempio, quando ho scritto “Morte a San Siro” ho sofferto molto con un personaggio profondamente segnato dall’ipocrisia violenta della società, o nella scrittura de “La scelta di Lazzaro”, il cui finale ho sofferto come una bestia, o quando ho creato la figura di Teresa Ceolin in “Milano e i pensieri oscuri”. Voglio dire, se mi immergo a fondo nella storia, se “vivo” dentro di me i personaggi, alla Stanislavskij per intenderci, allora la sofferenza è assicurata. Mi diverte invece la progettazione della struttura del romanzo: un momento di creatività mista a un uso immaginifico della tecnica narrativa.
Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Una volta che mi metto a scrivere al computer navigo un po’ a vista, all’interno comunque di certi paletti, di condizioni al contorno che ho progettato in fase iniziale. Mentre scrivo può succedere che un personaggio secondario mi appaia più interessante del previsto, che quindi gli dedichi più spazio, o anche che in corso d’opera introduca nuovi personaggi, snodi improvvisi, sottostorie, insomma, che il risultato finale sia più o meno diverso dall’impostazione iniziale.
Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Nei limiti del possibile cerco di scrivere tutti i giorni, anche quando non ne ho voglia. Magari quella stessa sera butto via tutto, ma conoscendomi so di avere bisogno di una certa disciplina.
Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto?
Amo quello che sto scrivendo, qui e ora, poi lascio che il romanzo vada per la sua strada e concentro l’amore sulla nuova opera.
Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Molto raramente. Preferisco leggere i libri di altri autori.
C’è qualcosa di autobiografico nei suoi libri?
Di strettamente autobiografico quasi nulla; certo, c’è il mio punto di vista sulla vita, sui conflitti sociali, sul divenire della realtà nella quale siamo chiamati a vivere e sulle sue conseguenze nelle esistenze e nei rapporti personali.
Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è un lettore assiduo? Legge tanto? Quanti libri all’anno?
Sì, bisogna leggere, e leggere bene. Con “bene” non intendo centinaia di libri l’anno, sono contrario alla “bulimia libresca”, bastano anche pochi selezionati libri, purché siano letture attente, in grado di valutare ed apprezzare non soltanto il contenuto, bensì lo stile, la struttura, il ritmo della scrittura. Spesso i libri di qualità eccelsa li leggo a voce alta proprio per captarne le vibrazioni, per percepire il suono delle vocali e delle consonanti in relazione a quello che l’autore mi sta raccontando e mi vuole comunicare. Imparare: questo secondo me dovrebbe fare uno scrittore, in perfetta umiltà, per una reale evoluzione della propria scrittura.
Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ce ne sono troppi, migliaia. Noto che ogni paesino ha il suo premio letterario, ovviamente “internazionale”, la sua giuria composta da persone di gran buona volontà, dote che però a volte non è sufficiente per giudicare un testo. Ergo non amo troppo i concorsi, difficile che partecipi.
A cosa sta lavorando ultimamente?
Sto lavorando al nuovo romanzo della serie con il commissario Ferrazza, per la Fratelli Frilli Editori, e contemporaneamente a un altro progetto di narrativa non di genere che riprende una storia raccontata nel mio primo romanzo, “La fossa comune”; progetto comunque ancora nello stato embrionale di verifica di fattibilità.
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