Rosalie Lamorliére fu la donna che lavorò come cameriera per Maria Antonietta durante le ultime settimane di vita della regina nella prigione della Conciérgerie. Di lei in realtà sappiamo molto poco (quindi dimenticatevi tutte le commoventi scene a cui Lady Oscar ci ha abituato!).
La vera Rosalie era una donna di condizione molto umile; era analfabeta e le sue memorie furono raccolte, rielaborate e infine scritte nel 1837 (durante il periodo della cosiddetta Monarchia di luglio) all’abate Lafont d’Aussonne che voleva raccogliere testimonianze sulla fine di Maria Antonietta.

Tony Robert-Fleury (1906): dettaglio da “Marie Antoniette le matin de son exécution”

Lamorlière non è un’autrice  politicizzata, racconta quello che ha vissuto con semplicità, immediatezza e spesso con grande emozione.
Il periodo dei suoi ricordi va dall’agosto all’ottobre del 1793, quando Maria Antonietta fu trasferita nella prigione in cui fu detenuta fino all’esecuzione e dove subì il suo tormentato processo. All’epoca Maria Antonietta era una donna di trentotto anni, segnata dal dolore per la morte del marito e per la separazione dai due figli ancora vivi, sconvolta perché il mondo che aveva conosciuto era ormai crollato e malata, ma che conservava ancora l’alterigia e la coscienza del proprio ruolo cui era stata educata sin dalla nascita. Molti testimoni raccontano che proprio alla notizia della condanna del marito, i capelli le diventarono di colpo tutti bianchi.

Lamorlière giunge al servizio dell’illustre detenuta grazie all’intercessione della moglie del responsabile della prigione, con quello che per una donna della sua condizione si può considerare un colpo di fortuna (l’impiego, ancorché temporaneo, è ben retribuito). La precedente cameriera era stata licenziata in tronco perché “troppo poco repubblicana” (forse perché implicata nel “Complotto del garofano” per far evadere Maria Antonietta dalla prigione).

 

Ricostruzione della cella di Maria Antonietta

Descrive con minuzia la cella della prigioniera (le sue memorie si sono rivelate molto preziose per la ricostruzione dell’ambiente, così come si presenta adesso nel Museo.
A Maria Antonietta era stata riservata una cella spartana, ma sicuramente meno misera delle altre e le era stato permesso di portare con sé alcuni oggetti di uso quotidiano, qualche vestito, mobile e oggetto tra quelli che l’avevano accompagnata nella Prigione del Tempio.

L’attenzione dell’autrice a questi dettagli tradisce un certo stupore, ben comprensibile in una giovane cresciuta nel rispetto dell’autorità reale e abituata soltanto ai poverissimi oggetti della vita quotidiana del popolo. A Rosalie, tutto ciò che vede sembra meraviglioso, irreale, appartenente a una persona che non è una persona come le altre. Se sicuramente il redattore ha enfatizzato questi aspetti, possiamo pensare che i sentimenti dell’autrice siano comunque sinceri: è vero che la Repubblica nasce laica e anticlericale, ma la religione cristiana era comunque parte integrante della cultura e della mentalità dei francesi, soprattutto dei ceti popolari (come sapevano bene i più lungimiranti tra i rivoluzionari) e la regalità era stata fin dagli albori francesi strettamente connessa a Dio (da Luigi IX, il re Santo ai re guaritori medievali fino alla simbologia divina della monarchia assoluta). Non stupisce dunque che gli oggetti rappresentino il segno di una condizione intermedia tra la dimensione umana e quella divina.

 

Targa commemorativa di Rosalie

nel Cimitero del Père-Lachaise

Tra la giovane cameriera e Maria Antonietta si instaura un rapporto di fiducia. La giovane cameriera, che la regina tratta talvolta in modo quasi materno, mostra pietà cristiana e compassione. Si percepisce con lucidità l’affetto e l’ammirazione che l’autrice conserva per l’ex regina di Francia. In molti passaggi Rosalie ricorda i doni ricevuti da Maria Antonietta, come fossero le reliquie di un santo.
Un episodio tipico è il dono di un nastro bianco. Rosalie, come cameriera, non solo supervisiona i pasti e la pulizia della cella, ma è anche incaricata di aiutare la regina a vestirsi e a pettinarsi. Un giorno, mentre le sta sistemando i capelli, Maria Antonietta prende un rotolo di nastro di seta, con il quale è solita farsi acconciare, e lo dona alla cameriera, dicendole di conservarlo a sua perenne memoria. Rosalie accetta quel dono con le lacrime agli occhi e ringrazia con una riverenza.

Come si capisce già da questo episodio, la mano di d’Aussonne è ben percepibile nella stesura del testo, sia per quanto riguarda la complessità letteraria che per quanto riguarda la generale intenzione del testo, non solo documentaria, ma agiografica. Il modulo del dono si ripete più volte, con altri oggetti di vita quotidiana che per la cameriera sono lussuosi, assumendo il valore simbolico di reliquie. (Immagine della copertina delle Mémoires raccolte dall’abate Lafont d’Aussonne).

Lamorlière racconta la quotidianità della prigionia, dalla nostalgia di Maria Antonietta per i figli, soprattutto per il piccolo Luigi Carlo, alla passione per i fiori fino alle lunghe ore passate in preghiera. Nella sua ingenuità, l’autrice non risparmia dettagli anche intimi e orrendi delle emorragie che colpivano la prigioniera, probabilmente affetta da tumore all’utero.
La politica e la Rivoluzione sono distanti, quasi assenti, l’attenzione è tutta sull’emotività, sulle relazioni e sui piccoli gesti d’ogni giorno, proprio perché l’autrice non ha interesse né categorie per grandi analisi politiche.
Nella sua schiettezza, riesce però a rendere una testimonianza vivida e appassionata del periodo.

Qui la prima puntata.