Manuela Minelli, scrittrice e giornalista, ha collaborato con i principali quotidiani e periodici italiani, ha pubblicato più di mille, tra articoli, inchieste e réportages, quattro libri e ideato e realizzato varie rassegne letterarie. Ha lavorato con uffici stampa internazionali e condotto trasmissioni di carattere culturale per una tv web.
Ha scritto dodici commedie musicali, pubblicato quattro libri, vinto diversi concorsi letterari e dal racconto “Gala” tratto dal suo ultimo libro “Femmine che mai vorreste come amiche” è nato lo spettacolo teatrale sull’anoressia “La tentazione di essere vento”, recentemente messo in scena dalla Compagnia MasKere a Monza e a Milano.
Inaspettatamente, le è arrivata una sceneggiatura per un film tratto dall’ultimo suo libro “Femmine che mai vorreste come amiche”.
Si diverte ad organizzare eventi cultural-letterari con finali enogastronomici, in cui le protagoniste sono quasi sempre donne.
Conduce presentazioni di libri, ma solo ed esclusivamente se lo scrittore le sta simpatico e il libro le è piaciuto.
Attualmente collabora con un’agenzia stampa ed un quotidiano on line.
Animalista convinta, oggi è la responsabile dell’ufficio diritti animali di un comune vicino Roma.
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Mettiamo a suo agio la nostra amica, con l’INTERVISTA SEMISERIA:
Colore preferito. Rosso-Arancione.
Cibo preferito. Pasta e fagioli, Pasta e ceci, Pasta e lenticchie (Minestre di legumi).
In cucina, come te la cavi? Benissimo! Mi piace molto creare, inventare, sperimentare. Preferisco di gran lunga cimentarmi con i primi piatti, le torte rustiche e la cucina etnica piuttosto che con i dolci. Faccio un grande uso di spezie che compro in gran quantità nei mercati quando viaggio. Quando sono arrabbiata preparo un cous cous di verdure, tagliuzzando a pezzettini minimi tanti tipi di verdure.
Status sentimentale. Convivente stabilizzata.
Attrice preferita. Posso nominarne tre? Penelope Cruz, Laura Morante, Michela Ramazzotti.
Attore preferito. Javier Bardem. Italiano, Pierfrancesco Favino.
L’uomo che vorresti essere. Alejandro Jodorowsky.
Tornassi a nascere, uomo o donna, e perché. Donna, perché l’esperienza della maternità è qualcosa di grandioso. E anche perché siamo più forti, più in gamba, siamo multitasking (cioè siamo capaci di fare più cose contemporaneamente) e abbiamo molte marce in più degli uomini.
Serie Tv preferita. Non guardo mai la tv. Da ragazza non perdevo una puntata di “Fame”, studiavo danza e volevo fare la ballerina.
Genere di lettura preferito. Sono una lettrice abbastanza onnivora. Le storie intimiste che raccontano di donne, ma ultimamente anche saggi sulla meditazione.
Scrittore preferito. Non ce n’è uno solo. E comunque… Sidney Sheldon, Paola Mastrocola, Daniel Pennac, Claudia de Lillo, Margaret Mazzantini, Daniel Glattauer, Chuck Palahniuk, Stefano Benni, Carlos Ruiz Zàfon, Isabel Allende prima che virasse verso la letteratura per ragazzi.
Musa ispiratrice. Margaret Mazzantini.
Genere musicale preferito. Blues, Jazz, Soul. E tutto ciò che si può ballare!
Cantante preferito. Michael Jackson. Italiano Renato Zero.
Band musicale preferita. Posso dare una risposta multipla? Abba, Queen, Pink Floyd.
Social network: sì o no? Sìììììììììììììì !
Scaldati i muscoli? Pronta a correre con l’INTERVISTA SERIA?
Perché scrivere? Come è nata questa “necessità” e quando? È nata quando le cose con il mio ex marito non andavano bene. Allora trovai un grande sfogo nella scrittura. Anche se all’età di dodici anni scrissi un racconto d’amore che si svolgeva tutto in un castello e, prima ancora, alle elementari quando la maestra chiedeva di inventare un problema di aritmetica, io creavo delle storie bellissime che alla fine di aritmetico avevano poco e niente. Scrivo perché è terapeutico, perché mi permette di vivere altre vite, perché mi piace comunicare ma, soprattutto, perché non riesco a farne a meno.
Come scrivi? Carta e penna, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iphone? Ho sempre con me IPhone e IPad. Ma prendo appunti sulla Moleskine e su cento altri taccuini che colleziono, usati e nuovi, e che continuo a comprare ovunque mi trovo. Se volete farmi un regalo, regalatemi libriccini, taccuini, quadernini, ne vado pazza! Non li butto mai, conservo tutti i bloc notes con tutte le interviste e le inchieste di quando lavoravo per i quotidiani.
C’è un momento particolare nella giornata in cui prediligi scrivere i tuoi romanzi? La sera, quando la casa si spegne, tutti dormono, i telefoni non squillano e lo sciacquio della lavastoviglie accompagna i pensieri.
Che cosa significa per te “scrivere”? Creare, ma anche denunciare. Mettere ordine in quella nebulosa interiore, cercando di dare un senso ai sentimenti e ai pensieri con la parola scritta, sistema la mente e fa bene all’anima.
Ami quello che scrivi, sempre, dopo che l’hai scritto? Sempre. Non sono di quelle che appallottola e butta. Conservo tutto, anche le frasi comparse per caso, come un’illuminazione.
Rileggi mai i tuoi libri, dopo averli pubblicati? Sempre. Stampati hanno un altro valore e sapore. Una volta stampato quel libro quasi non lo sento più mio.
Quanto c’è di autobiografico nei tuoi libri? Un bel po’. Nell’ ”Epistolario erotico tra due internauti sconosciuti”, romanzo composto esclusivamente da mail, le prime cinque mail e le relative risposte sono rigorosamente vere, non ho cambiato neppure una virgola.
Quando scrivi, ti diverti, oppure soffri? Mi diverto quasi sempre. Ma nell’ultimo romanzo a cui sto lavorando, che si svolge sullo sfondo del conflitto degli anni ’90 Bosnia-Erzegovina, ho pianto a calde lacrime, sia durante la ricerca storica, leggendo le testimonianze delle sopravvissute a quel massacro, sia quando i miei protagonisti ne passano di tutti i colori. E ho sofferto moltissimo scrivendo “Gala”, la storia di una ragazzina anoressica e anche durante la stesura di alcuni racconti che trattano la follia.
Trovi che nel corso degli anni la tua scrittura sia cambiata? E se sì, in che modo? Sì, indubbiamente. Sarebbe grave se così non fosse. La vita cambia, le cose accadono e ti modificano, nessuno di noi è lo stesso di quando aveva vent’anni. Credo che la mia scrittura sia diventata più matura con l’esperienza della vita che scorre, ma anche con l’esperienza della scrittura stessa.
Come riesci a conciliare vita privata e vita creativa? Spesso non ci riesco. Vorrei solo scrivere, senza interferenze di lavatrici da caricare e bucati da stendere, spesa da fare e famiglia che vuole cenare a orario, magari proprio mentre ho ingranato con l’immedesimazione e il mio personaggio in quel momento magico sta vivendo di vita propria. Il mio secondo libro l’ho terminato in quattro giorni, quando mi sono rinchiusa in inverno nella casa al mare, sola con il mio cane Mirtillo, senza telefono, né internet, solo io, il cagnolo silenzioso e adorante, e il foglio di word sul computer.
La scrittura ti crea mai problemi nella vita quotidiana? No. Anzi, la vita quotidiana regala un sacco di spunti alla mia scrittura.
Come trovi il tempo per scrivere? Ecco, questa è una bella domanda. Come e dove trovo il tempo? Troppo spesso non lo trovo, rimando a domani e poi a domani ancora, perché presa da cose pratiche, rotture di scatole improcrastinabili, un po’ di indolenza. Ma la notte arriva, e spegne tutti i pensieri della realtà. Ed è quello il tempo giusto.
Gli amici/i parenti ti sostengono, oppure ti guardano come se fossi un alieno? La seconda. Più che altro mi guardano come stessi lì a giocare, a perdere tempo, a fare una cosa inutile. E questo mi offende, mi fa soffrire parecchio. Poi mio figlio più piccolo, una bella sera è venuto da me e mi ha mostrato qualcosa che aveva scritto. Scrive benissimo, per certi versi è molto più bravo di me, lui è un danzatore professionista e leggendo quello che scrive sembra che le parole danzino sul foglio fino a comporre una coreografia che dà un’emozione forte a chi legge. Così ho scoperto che anche lui ha necessità di mettere per scritto quello che ha dentro e sa farlo molto bene, anche se dice che non gli interessa pubblicare.
Nello scrivere un romanzo, navighi a vista come insegna Cotroneo, oppure usi la scrittura architettonica, metodica consigliata invece da Bregola? Mi piacerebbe molto avere un metodo, progettare, avere un canovaccio ben preciso e lavorare su quello. Invece navigo a vista. Ho una vaga, ma molto vaga idea, di quello che voglio scrivere, un piccolo spunto, così comincio a metter giù qualche parola. Poi accade quella cosa magica: i personaggi iniziano a prendere vita, si staccano da me e se ne vanno per conto loro, vivendo la loro vita. Non so se tale processo creativo è quello giusto, forse non ce n’è uno giusto per tutti. Eppure continuo a invidiare chi si mette alla scrivania dalle nove alle dodici con le idee chiare, poi riprende dalle quindici alle diciannove, e magari alla fine ha tirato giù trenta pagine.
Quando scrivi, lo fai con costanza, come faceva Trollope, oppure ti lasci trascinare dall’incostanza dell’ispirazione? Ebbene sì, mi lascio trascinare dall’incostanza. Il romanzo a cui sto lavorando e che ho giurato a me stessa voglio terminare entro quest’anno, l’ho iniziato dieci anni fa. Nel frattempo ho pubblicato altri due libri, scritto racconti, inventato festival letterari, pubblicato decine di articoli, “giocato” con la scrittura. Ma lui è lì, che ogni tanto occhieggia dalla cartella del mio computer e mi ricorda quanto sono vigliacca, incostante e poco seria. Vigliacca perché questo è un romanzo importante, una storia a cui tengo moltissimo, qualcosa forse più grande di me con cui cimentarmi, e anche qualcosa di molto serio e tosto con cui non si può giocare.
Tutti dicono che per scrivere bisogna prima leggere. Sei un lettore assiduo? Leggi tanto? Quanti libri all’anno? Certo che per scrivere bisogna leggere, e molto. Sono una lettrice assai incostante. Posso leggere cinque libri in un mese (anche perché scrivo recensioni) e poi per un altro mese non toccare libro. Ne ho almeno tre iniziati sul comodino e compro molti più libri di quanti non riesca a leggerne. Sono quel tipo di donna che può entrare in una profumeria e uscirne senza aver acquistato nulla, ma se entro in una libreria ne esco almeno con un paio di libri. Per non parlare di quando vado ai saloni letterari. Posso uscirne anche con una quindicina di volumi. Ma alla fine in un anno posso dire di avere all’attivo almeno una trentina di libri letti.
Qual è il genere letterario che prediligi? È lo stesso genere che scrivi, o è differente? E se sì, perché? Preferisco i romanzi che hanno per protagoniste donne in gamba. Che cadono e si rialzano. Che sono fallibili, insicure e dubbiose, ma che alla fine la spuntano sulla vita. E, guardacaso, mi ritrovo a scrivere sempre di donne comuni, quindi un po’ folli, “sbagliate”, anticonformiste, piene di difetti, che hanno vite complicate, ma che alla fine risultano vincenti. Forse perché mi ci ritrovo, ci ritrovo le mie amiche, le sorelle delle amiche, le vicine di casa, le “eroine” del quotidiano, quelle che trovano sempre il modo per rialzarsi e tornare a sorridere.
Autori e autrici che ti rappresentano, o che ami particolarmente. Citane due italiani e due stranieri. Le già citate Paola Mastrocola e Claudia de Lillo. Alice Munro e Dominique La Pierre.
Di gran voga alla fine degli Anni Novanta, più recentemente messi al bando da molte polemiche in rete e non solo: cosa puoi dire dei corsi di scrittura creativa che proliferano un po’ ovunque? Sei favorevole, o contraria? Favorevole se sono corsi tenuti da professionisti e non da sedicenti e autoreferenziali “scrittori”. Ma resto dell’idea che se manca il talento iniziale, nessuna scuola di scrittura creativa può trasformare qualcuno in “scrittore”. Così come nessun corso di danza, anche se molto professionale, può far diventare ballerini, o nessuna scuola di alta cucina può consacrare una buona casalinga “Chéf”. Il talento non lo si impara a scuola in nessuna disciplina, è qualcosa che o ce l’hai oppure no. Nel primo caso una scuola ti aiuta a dimostrarlo, a farlo uscire fuori, ad affinarlo. Nel secondo caso hai passato un po’ di tempo facendo cose che ti hanno fatto stare bene e che, forse, ti hanno insegnato qualcosa. Niente di più.
Dei tuoi romanzi precedenti, ce n’è uno che prediligi e senti più tuo? Se sì, qual è? Vuoi descrivercelo e parlarci delle emozioni che ti ha suscitato scriverlo? “Femmine che mai vorreste come amiche”, anche se non è proprio un romanzo, ma una serie di racconti con un filo conduttore, quello di “femmine” (e non donne, bensì esseri di genere femminile, perché tra le protagoniste ci sono anche animali e una pianta) che dopo aver subito angherie e sofferenze da parte di mariti e compagni, o anche dalla vita, si ribellano, si vendicano e compiono azioni che tutti i lettori perdonano loro. Mi ha appassionato moltissimo scrivere di donne che si riscattano, che alzano la testa, come dicevo prima, alcune delle protagoniste ad un certo punto se ne sono andate per conto loro, senza bisogno che inventassi nulla, conoscevano già la loro strada. Da uno dei racconti è stato tratto uno spettacolo teatrale, e da tre altri vogliono ricavarne un film. Staremo a vedere…
Hai partecipato a concorsi letterari? Li trovi utili a chi vuole emergere e farsi valere? Trovo di gran lunga più utile partecipare a concorsi letterari, sempre se seri, piuttosto che a certe scuole di scrittura creativa. Personalmente ho partecipato e ne ho anche vinti diversi. E’ interessante confrontarsi con altri autori e trovo utilissimi anche i forum di scrittura, dove si può pubblicare il proprio scritto sottoponendolo al giudizio di lettori e altri autori.
A cosa stai lavorando, ultimamente, e quando uscirà il tuo nuovo romanzo? Vuoi parlarcene? Il mio nuovo romanzo iniziato molti anni fa, potrebbe intitolarsi “La bambina che si lavava con l’acqua santa” e spero esca alla fine di quest’anno o, al massimo, il prossimo. Racconta in flashback la fuga di una ragazzina bosniaca verso l’Italia, che ha visto sotto i suoi occhi sterminare la famiglia, che è stata tenuta prigioniera e violentata, che non si è arresa mai, ma ce l’ha fatta, ha incontrato persino l’amore ed oggi, da nonna, alla vigilia del matrimonio di sua nipote, ricorda e rivive tutta la sua vita. Ci tengo molto a raccontare questa storia perché credo che del conflitto dei paesi della ex Jugoslavia, all’inizio degli anni ’90, che abbiamo avuto praticamente dietro casa, non se ne sia mai parlato abbastanza. Sono stati compiuti crimini inconcepibili, genocidi e massacri, e agli occhi dei più è sembrata una piccola guerriglia tra popoli lontani. Ecco, io vorrei dare voce a coloro che non hanno avuto la possibilità di parlare. Anka, la protagonista, è una donna fiera e forte, anche divertente e anticonformista, molto più di sua figlia, che invece è una bacchettona puritana che non si è quasi mai occupata della figlia educata prevalentemente da nonna Anka. È una storia di donne, ma con una figura maschile buona e positiva, tra tanti uomini orribili che popolano la storia.
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Manuela Minelli ha scritto un brano divertente per il nostro Blog:
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