Quando hai deciso di intraprendere questa professione?

Sono diventata traduttrice dopo essermi laureata nel lontano 1993 come Interprete e Traduttrice, oggi si direbbe Laurea in Mediazione Linguistica. Accontentati i genitori, che ci tenevano tanto che continuassi gli studi in lingue dopo il liceo linguistico, ho dato subito l’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti a Bologna, finalmente potevo coronare il mio sogno!, e invece il mercato del lavoro è venuto a bussare alla mia porta… Per alcuni anni ho lavorato come traduttrice tecnica per aziende di import-export, poi ho cominciato a lavorare per agenzie, a occuparmi di traduzioni scientifiche e infine editoriali.

Lavori per un editore in particolare?

Eh sì! Mi viene da ridere… Nel 2006, per amore di un romanzo francese che sognavo di vedere pubblicato in Italia (Le Zèbre di Alexandre Jardin) e che non veniva accettato da alcun editore, mi ero talmente impuntata che ho deciso di aprirmela io, la casa editrice. Uscito Lo Zebra, a quel punto ero perfettamente soddisfatta, per me l’avventura sarebbe finita lì. Alcuni librai amici, però, mi hanno fatto capire che la presenza di un libro sugli scaffali non è eterna, se non viene alimentata dalla visibilità dell’editore con altre pubblicazioni. Per cui è iniziata la ricerca di nuovi libri da tradurre, approdata poi felicemente alla produzione di Christian Bobin. Quando assieme a Francesca Segato abbiamo dato inizio a Camelozampa, fondendo le nostre due piccolissime case editrici, mi si è aperto il mondo della letteratura per ragazzi. Attualmente è proprio Camelozampa l’editore con cui lavoro di più, per forza di cose! Ed è un gran piacere, perché lavoro su testi che ho scelto o che ho contribuito a scegliere e quindi non si tratta di tradurre un libro “perché bisogna lavorare”, ma perché ne sono davvero innamorata.

Che qualità son richieste per questo lavoro?

Innanzitutto serve una conoscenza della lingua di origine molto buona, che non vuol dire conoscere ogni parola di quella lingua, ma averne una familiarità tale da cogliere tutte le sfumature di ogni espressione. Va da sé che un’altra qualità necessaria è la padronanza della lingua d’arrivo, saperla usare in modo non solo corretto, ma anche creativo. Per esempio, da ragazza mi sentivo sempre dire che avrei dovuto fare la scrittrice, ma io non ho l’inventiva dell’autore, per cui preferisco mettere le mie (presunte) capacità a disposizione di chi davvero ha qualcosa da raccontare. E tra le qualità necessarie, non da ultima, serve una cultura generale abbastanza vasta da riuscire a cogliere eventuali allusioni, citazioni, sconfinamenti in ambiti non letterari.

Tu hai una laurea specifica, ma ritieni che essa sia un fattore imprescindibile per fare il traduttore?

Non è formalmente necessario, ossia la legge non lo richiede, però seguendo studi specifici si acquisiscono delle tecniche e soprattutto si metabolizzano degli accorgimenti per evitare alcuni errori tipici di chi si improvvisa traduttore. Allo stesso risultato si può arrivare, naturalmente, con molti anni di esperienza.

Che tipo di libri traduci? Sei specializzata in un genere particolare?

Traduco narrativa e albi illustrati, ma sento di dare il meglio nel romanzo per adolescenti, forse perché mentalmente sono ferma ai miei diciannove anni, ma anche perché trovo questo genere interessante dal punto di vista linguistico. Gli adolescenti di tutto il mondo e di ogni epoca hanno un lingua molto viva, che usano in modo creativo per veicolare passioni forti, e in questo mi sento a mio agio.

Esiste un metodo di traduzione o ciascun traduttore ha un suo modus operandi personale? Il tuo qual è, nel caso?

Penso che ogni traduttore abbia il suo. Io non riesco a darmi una programmazione dettagliata, mi fisso una data “spauracchio” molto vicina entro cui devo aver terminato la prima bozza. Nella prima fase, lavoro sulla quantità, cerco di tradurre più pagine possibile senza andare troppo per il sottile, anche lasciando qualche termine nella lingua d’origine se non mi viene in mente un corrispondente adatto. Il lavoro più impegnativo viene dopo, quando revisiono e rileggo e, praticamente, riscrivo tutto.

Il tuo primo autore tradotto?

Alla Scuola Interpreti traducevamo molti autori illustri, la stessa tesi di laurea consisteva nella traduzione di due inediti. Però l’esordio ufficiale è stato proprio con Alexandre Jardin.

L’autore più difficile?

Come autore in sé, direi Christian Bobin, paradossalmente proprio perché ha un linguaggio così semplice, così minimale, che basta un niente per rovinare le sue immagini così delicate.

L’opera che più hai amato tradurre?

“Gesù, come un romanzo” di Marie-Aude Murail. Innanzitutto perché quando ci si confronta con una qualità di scrittura così alta, diventa un piacere tradurre (al di là dell’ansia di prestazione). Inoltre, questo romanzo aveva una particolarità: trattandosi del racconto della vita di Gesù narrato dal punto di vista di Pietro, l’autrice è stata molto abile a romanzare il rapporto tra i due, ma a farsi da parte nei punti in cui era Gesù a parlare, utilizzando per lui solo le parole citate dal Vangelo di S. Marco. Dal punto di vista traduttivo è stato un lavoro molto interessante, perché in italiano c’è un gap molto maggiore che in francese tra la lingua corrente e la lingua delle Scritture, che mantengono un sapore molto arcaico anche nelle versioni più attuali. È stato quindi molto impegnativo sfumare questo continuo cambio di registro.

Per tradurre opere letterarie, conta avere doti da scrittore?

Credo proprio di sì, la lingua è uno strumento che bisogna essere in grado di utilizzare al meglio. In certi casi, poi, serve proprio quella marcia in più: Brassens l’hanno tradotto in tanti, ma chi ha davvero reso giustizia ai suoi testi in italiano è stato Fabrizio De André. Lo stesso vale per Shakespeare, non per niente la versione più accreditata dell’Amleto è quella di Eugenio Montale.

Quali sono i limiti di fedeltà al testo e quali i “tradimenti” che si possono compiere in rapporto al testo che si sta traducendo? Come ti rapporti nei confronti di espressioni tipiche e gergali che non hanno corrispondenza in italiano?

La questione, se vogliamo pure un po’ maschilista, tra “belle e infedeli” e “brutte e fedeli” è sempre aperta. Personalmente sono per rispettare il più possibile il testo originale, ma a volte non se ne viene fuori, si sente proprio che il testo chiede “un colpo d’ala”. E a quel punto bisogna arrendersi, bisogna rendere l’essenza di quello che l’originale vuole esprimere utilizzando parole del tutto diverse; alla fine è l’unico modo per rendere davvero giustizia al testo d’origine. Per quanto riguarda le espressioni tipiche e gergali, di solito hanno un’origine popolare, e la cultura popolare è molto trasversale, per cui è facile che esista in italiano un’espressione con la stessa intensità. Tendo sempre a conservare i riferimenti alla cultura locale del testo originale, aborro le note a piè di pagina nella narrativa, trovo che distraggano e tolgano del tutto il ritmo al testo (con tutta la fatica che scrittore e traduttore fanno per imprimere un ritmo al romanzo!); del resto, oggi anche il lettore più disinformato ha comunque i mezzi per svolgere ricerche e approfondimenti.

Qual è stato il problema più grande che hai dovuto affrontare durante una traduzione?

Penso che sia stato quando Alexandre Jardin mi ha chiesto di togliere ogni riferimento culturale e topografico francese dal suo romanzo. Ho dovuto reinventarmi nomi che avessero lo stesso valore connotativo, luoghi, citazioni, riferimenti. È stato anche divertente, ma molto impegnativo!

Quali sono gli elementi che fanno la qualità di una traduzione?

L’invisibilità del traduttore è per me la qualità principale. Quando qualcuno mi fa i complimenti per una traduzione, mi suona sempre un campanello d’allarme. Quando si legge un testo tradotto, la lettura dovrebbe scorrere come un fiume. Appena c’è un minimo intoppo, appena si avverte qualcosa di strano, quando addirittura si deve tornare all’inizio della frase per rileggerla, vuol dire che il traduttore non ha fatto bene il suo lavoro.

Per un traduttore “professionista” è più importante conoscere la lingua di origine o quella di arrivo?

Come dicevo prima, sono importanti entrambe. Da editrice, mi è capitato di leggere testi tradotti in italiano con un linguaggio molto curato, ma di strabuzzare gli occhi davanti a certi passaggi dove era evidente che il traduttore non avesse colto il significato della frase nella lingua d’origine. Tuttavia, è più importante padroneggiare la lingua di arrivo, saperci giocare, maneggiarla in modo da riuscire a “dire quasi la stessa cosa” di quello che intendeva l’autore, giusto per citare qualcuno che di traduzioni se ne intende. Del resto, anche se si studia traduzione sia dalla lingua straniera sia verso la lingua straniera, è universalmente riconosciuto come professionalmente serio tradurre solo verso la propria lingua madre.

Quando ti trovi di fronte a un’opera di scarsa qualità, come ti comporti? Ti è mai capitato di rifiutare un lavoro?

No, ahimè il lavoro è lavoro, potrei rifiutare solo se mi arrivasse un testo che istiga alla violenza. Di solito con un testo di scarsa qualità la tentazione di “migliorarlo” è forte, ma non sarebbe professionalmente corretto. In quel caso riempio la traduzione di caselle di commento del tipo “qui suggerirei di riformulare in questo modo…”

Perché secondo te i traduttori in Italia sono così poco considerati?

Credo che sia perché tutte le figure che ruotano attorno alla realizzazione di un libro sono poco conosciute dai non addetti ai lavori in Italia. Pochi sanno in cosa consista il lavoro dell’editore, quasi nessuno sa cosa sia un redattore. Una volta mi sono sentita dire da una persona che aveva le migliori intenzioni, vedendomi oberata di lavoro: “Posso darti una mano a tradurre? Tanto basta guardare sul dizionario”.

Si vive di traduzioni in Italia?

Se si ha uno stile di vita molto frugale, sì!

Esiste/si instaura un rapporto con l’autore? Contatti mai l’autore per chiedere chiarimenti sul testo?

Molti autori sono disponibili, alcuni li percepisci come preoccupati per la loro creatura, per cui da buoni genitori sono loro che ti domandano se va tutto bene.

Il libro che stai traducendo adesso?

Per un altro editore, per cui non posso divulgare i dettagli, posso solo dire che sto traducendo la biografia di un uomo di scienza italiano. Per Camelozampa sto traducendo un nuovo romanzo di Christophe Léon, “La ballata di Jordan e Lucie”, un romanzo su amicizia, handicap mentale, e forse amore tra due adolescenti.

Esistono percorsi specifici che un aspirante traduttore deve seguire per arrivare a tradurre opere letterarie o saggistica? Che consiglio daresti a un aspirante traduttore?

Consiglierei di diventare consulente, cioè di farsi conoscere proponendo dei testi stranieri in linea con le pubblicazioni della casa editrice.

Con l’avvento del self-publishing   si sta sempre più affermando anche la traduzione “fai-da-te” o amatoriale. Cosa ne pensate di piattaforme di traduzione come Babelcube e del fenomeno delle traduzioni “clandestine”?

Penso che la diffusione delle traduzioni clandestine faccia un torto all’autore del testo originale, perché difficilmente sono fatte con qualità professionale e l’autore non percepisce alcun provento, per lui si tratta di un vero furto. Una cosa diversa sono le traduzioni amatoriali di testi liberi da diritti o in cui ci sia un accordo con l’autore. Anzi, penso che per chi pubblica con il self-publishing sia una grande opportunità.

Con l’avvento dell’e-book e del self-publishing sempre più lettori cercano libri stranieri tradotti in italiano e molte piccole case editrici si affidano a traduttori per mettere sul mercato velocemente i romanzi tradotti. Ma una traduzione di opera letteraria costa parecchio, a volte cifre che una piccola CE non si può permettere. Come vi sentite al vedere che sempre più traduttori occasionali e/o amatoriali vengono assoldati dalle piccole CE per traduzioni veloci? E come, secondo voi, si evolverà questo fenomeno?

Penso che il risultato parli da sé. Chi propone un prodotto di qualità, che sia amatoriale o no, va avanti. Sono invece contraria alla corsa al ribasso dei compensi non solo dei traduttori, ma di tutti i professionisti della filiera del libro, questo sì. Piuttosto che svendere una professionalità, è meglio prestare quel servizio gratuitamente. È più dignitoso per tutti, non si affossa il mercato e dà molta più soddisfazione donare piuttosto che sentirsi sfruttati.

OoO

sara

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