Federica Soprani vive a Parma, cercando di coniugare da anni la passione per la scrittura col lavoro e la gestione di una famiglia che ha più zampe che arti. Si è laureata tanti anni fa in lettere moderne con una tesi dal titolo La figura del Vampiro nel Teatro tra ‘800 e ‘900.
Ama leggere, scrivere, giocare di ruolo, il cinema e le serie TV. Pratica la falconeria, e addestra in particolare gufi dal pessimo carattere.

1.     Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Ciao a tutti, intanto, e grazie per l’opportunità di questa chiacchierata.
Scrivo generi diversi, dallo storico, al fantasy, passando per il noir e l’horror. Scrivo anche narrativa ‘pura’ che non vuole dire niente, a mio avviso, ma suona meglio che ‘racconti pesanti’, etichetta con cui definisco i miei racconti non relegabili in alcun genere. Le ragioni di questa poliedricità sono forse da cercarsi nella mia schizofrenia latente. Nemmeno poi tanto latente… Sono sempre stata una lettrice onnivora, fin da bambina, anche se fin da allora ho sempre avuta una predilezione per generi un po’ gotici e oscuri. Alle elementari disegnavo vampiri e case infestate. Al mare spaventavo i bambini con storie di fantasmi. In terza media portai una tesina su Edgard Allan Poe e un ritratto di Anubi, dio egizio dei morti. Però i miei genitori e mia nonna facevano finta di non farci caso…

2.     Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
A video, su pc, tablet o cellulare. Più comodo, anche perché poi metto tutto in cloud (o scrivo direttamente su Drive o OneDrive) ed evito di perdere pezzi in giro. In passato scrivevo su fogli e quaderni, che conservo ancora, ma nei quali non ho il coraggio di mettere le mani. Il risultato è che non trovo più molte cose scritte che rileggerei volentieri… Viva la tecnologia!

3.     C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
No, scrivo quando ho tempo e quando l’ispirazione chiama. Ho lavorato in un ufficio per sedici anni, e allora scrivevo quando potevo, ovvero quando non c’era lavoro e il capo era fuori. Adesso che lavoro da casa paradossalmente è diventato più difficile trovare il tempo giusto per la scrittura.

4.     Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Entrambe le cose. La scrittura mi fa stare bene, sia quando la pratico, sia quando ci torno sopra. Se soffro è perché sto facendo capitare qualcosa di orribile ai miei personaggi, situazione che ricorre sovente, o perché non trovo la giusta ispirazione per una scena a cui tengo. Ma in generale per me scrivere è sempre una bella esperienza.

5.     Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Entrambe le cose. Mi piacerebbe poter dire che scrivo tutto di getto, anche perché sono la prima ad ammettere che i pezzi scritti così sono i migliori, realizzati in una sorta di stato di grazia. Ma non si può scrivere un racconto lungo, e tantomeno un romanzo, senza avere un minimo di scaletta in testa. Quindi creo una scaletta, e se poi, scrivendo, mi viene in mente qualcosa che la scombina, tanto meglio, non mi tiro certo indietro. Ma mi serve una direzione anche vaga verso cui muovermi.

6.     Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Ispirazione, ma soprattutto tempo. Purtroppo come dicevo prima non sono una scrittrice metodica, un po’perché non me lo posso permettere, un po’ perché essendo bastian contrario rischierei di soffocare da sola l’ispirazione. A volte vorrei che non fosse così.

7.     Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto? 
In generale sì, considerando che tutto è migliorabile. Se adesso rileggo qualcosa scritto anni fa trovo mille difetti. Ma non tratto mai male i miei scritti. Non quanto tratto male i miei personaggi. Alla fine se non sono perfetti la colpa è solo mia, quindi sono la sola da biasimare. In generale tratto le cose che scrivo come cari amici.

8.     Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Sì, ogni tanto sì, magari a distanza di tempo, quando mi prende la nostalgia.

9.     C’è qualcosa di autobiografico nei suoi libri?
Che bella domanda. Direi di sì, credo sia inevitabile. Inevitabile filtrare la nostra esperienza intellettuale e soprattutto emotiva, e avvertire il bisogno di sfogarla da qualche parte, in qualche modo. Anche se parlando di me mi definisco la portinaia di un condominio di personaggi, che mi snobbano e non mi danno retta nemmeno quando chiedo loro di ritirare lo zerbino, così che io possa lavare le scale, o che non rispettano la raccolta differenziata, in realtà c’è qualcosa di me in molti di loro. A volte cose di cui andare fiera, altre meno, lo ammetto, ma, come si dice, tutto fa… Quando ero ragazzina inventavo storie dove la protagonista era sempre una ragazza della mia età, col mio aspetto, e magari solo con qualche capacità in più, che le permetteva di destreggiarsi nell’ambientazione in cui la situavo. Crescendo ho perso la capacità di fare questo gioco, o forse sono solo diventata più brava a nascondere me stessa dietro un sembiante apparentemente diverso, non so. Se dovessi individuare un mio personaggio in cui mi riconosco particolarmente di certo non sarebbe uno dei protagonisti, ma qualcuno che se ne sta un po’ defilato, ai margini. Ma questo non toglie che c’è un po’ di me in tutti loro.

10.  Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno? 
Leggevo tanto. Quando ero più giovane, ai tempi del liceo e dell’Università, anche un libro al giorno. Adesso molto meno, un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché sono diventata noiosa da morire. Se un libro non mi prende lo pianto lì, non c’è santo che tenga, frega niente se tutti dicono che è un capolavoro assoluto. Non fa per me. Però magari leggo più di un libro per volta, quindi il calcolo di quanti ne leggo all’anno mi diventa complicato. Meno di quanti vorrei, questo è certo, ma anche perché appunto non ne trovo che mi piacciano davvero. Rimpiango il passato, quando era molto più facile farmi innamorare. Riguardo al leggere molto per scrivere, concordo assolutamente. Scrivere richiede studio, applicazione, impegno, e non c’è niente di meglio su cui studiare di chi ha scritto prima di noi, e lo ha fatto talmente bene da restare impresso nella storia.

11.  Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Sì, più di uno, e un paio li ho pure vinti. Lo facevo soprattutto all’inizio, dopo che la mia coinquilina mi ha convinta a far leggere a qualcuno quello che scrivevo. Ero profondamente refrattaria, lo ammetto. Però ho spedito una raccolta di racconti a un concorso, e sono stata premiata subito tra i primi dieci. Ricordo che andai fino a Pescara a ritirare il premio, ed ero la più giovane tra i partecipanti. Poi vinsi un altro concorso in Valle d’Aosta, con un racconto breve. Infine, nel 2013, il mio primo romanzo vinse il concorso Città di Ciampino, e venne pubblicato. Dà lì ho smesso di partecipare ai concorsi. Credo che nella maggior parte dei casi non siano occasioni proprio onestissime, soprattutto quando si chiedono molti soldi ai partecipanti. Però credo che soprattutto per chi comincia a mettersi in gioco possano essere di stimolo e sprone. Basta scegliere quelli giusti.

12.  A cosa sta lavorando ultimamente?
Ho appena finito L’ordalia del Bastardo, secondo volume delle Cronache di Daederian, che pubblico con Triskell, e sono in fase di editing. Credo comincerò presto a scrivere il terzo libro, La vendetta del Re, intanto che sono ancora sull’ambientazione con la testa.
Sono in procinto di rimettermi a scrivere il seguito di Victorian Vigilante. Le infernali macchine del Dottor Morse, il romanzo Steampunk che ho scritto con la mia socia Vittoria Corella e pubblicato con Nero Press. Il titolo sarà molto evocativo: Victorian Vigilante. Abominio.
Sempre con Vittoria abbiamo finito il settimo episodio di Victorian Solstice, la nostra serie poliziesca ambientata nella Londra vittoriana che stiamo ripubblicando con Darkzone edizioni.
A proposito di riedizioni, entro fine anno anche Corella. L’ombra del Borgia, il mio primo romanzo, vedrà nuovamente le stampe. Per ora non posso anticipare nulla, se non che sono molto felice della sua nuova sistemazione.
E poi conto di tornare a Luthais, il mio interminabile Urban Fantasy in stile Clive Barker a cui lavoro da tempo immemore.
Grazie a Babette per l’ospitalità e un saluto a tutti.

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