Vabbè, so ‘na mezza specie de patatine, ma non so patate.
Restando quindi sul nostro frutto di stagione (eh, no? È un frutto, lo sapevate?) annamo de aperitivo!

Laviamo per bene la zucca che abbiamo deciso di usare. Che sia quella lunga, quella tonda, quella schiacciata, non importa: laviamo la buccia per bene per eliminare ogni residuo possibile di terra e sporcizia. Io ne ho acquistata una di quelle lunghe direttamente al campo, l’ho pulita per bene con la ramina e poi massaggiata col bicarbonato prima di lavarla del tutto.
Perché?
Perché ci serve la buccia!
Tagliamo la zucca in fettine sottili. Con tutta la buccia! (Mo, se non è possibile, non è che non se po fa, è che “con” è mejo!) Più saranno sottili, più verranno croccantose.
Passiamo ogni fetta nella farina. Deve essere un velo, n’è che je ce dovemo fa er bagno!
Mettiamo le fette su una leccarda, quindi spolverizziamo di sale e origano (se non ve ce piace provate col rosmarino) quindi irroriamo con un po’ di olio (ma ‘na goccia pe’ ogni fetta, altrimenti ce s’ammolla tutto!).
Mettiamo in forno già caldo per 20 minuti a 170 gradi. Attenzione che non si brucino, altrimenti non so bone: so nocive.

Nota Bene: se volete la traduzione del romanesco home made di Federica, non dovete fare altro che iscrivervi al Gruppo Facebook “Babette Brown Legge per Voi” e qualcuna delle amministratrici provvederà. Fate click QUI, da bravi.

Di Federica D’Ascani vi consigliamo “Il bambino che non poteva amare” (Triskell Edizioni).

Quando Teresa partorisce e sente per la prima volta il pianto di suo figlio pensa che non possa esserci gioia più grande di quella che sta vivendo: Libero, suo marito, è in una stanza a pochi passi e Paolo, il suo piccolo appena nato, a un soffio.
Ma il tempo passa e nessuno, in sala, la degna di uno sguardo. C’è qualcosa che non va. E poi la sentenza: suo figlio è morto, suo figlio è deforme, suo figlio non merita neanche di essere visto.
La vita di Teresa diventa il fulcro dell’Inferno in una manciata di secondi, e tutta l’allegria provata fino a quel momento scema per lasciare posto a un vuoto incolmabile.
Ma Teresa non sa la verità: Paolo è vivo, Paolo è in buona salute, Paolo ha la sindrome di Down ed è stato appena mandato in manicomio.
C’è stato un tempo in cui nascere diversi era un modo come un altro per non esistere, un tempo in cui bambini e adulti, se pazzi o anormali, venivano semplicemente dimenticati.
E se per Paolo le cose andassero in maniera diversa?

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