Il mio genere preferito nella letteratura di intrattenimento è il romanzo storico, in particolare quello di ambientazione medievale. E sempre più spesso mi chiedo: ma come si viveva davvero a quei tempi? Com’erano i rapporti fra gli uomini e le donne? E com’erano i loro sentimenti? Per cui ho pensato di leggere o rileggere libri di storia per approfondire l’argomento.
E ho cominciato con un piccolo saggio di Duby, Il matrimonio medievale. In esso in realtà lo storico limita la sua analisi alla Francia settentrionale nel XII secolo, dove individua il modello laico di matrimonio, creato per mantenere l’ordine sociale, diverso dal modello ecclesiastico, creato per mantenere l’ordine divino.
Concentriamo l’attenzione su un solo tema: il consenso della donna.
La società nobiliare dell’epoca cercava mezzi per perpetuare se stessa senza mettere in pericolo la propria stabilità strutturale. Ecco perché il matrimonio non doveva essere clandestino, ma invece un atto cerimoniale esteriore. Era necessaria una celebrazione, una celebrazione assolutamente pubblica che per una volta riunisse un gran numero di persone per assistere a un rito centrale: la processione che accompagnava una donna, la sposa, a una casa, a una camera, a un letto, nell’aspettativa che presto diventasse madre. In questo modo il matrimonio inseriva la procreazione in un ordine di cose. E ordine implicava anche pace, perché l’istituto del matrimonio era proprio l’opposto del ratto: era fondato su un accordo, un contratto, noto anche come contratto di matrimonio (pactum conjugale), stipulato tra due case.
Quindi il rito era basato su tre gesti: la consegna della sposa nel rito del trapasso dei poteri mediante la congiunzione delle mani; il dono offerto dallo sposo in cambio della dote, la dos, nella forma di un anello o di poche monete come segno di garanzia sul diritto alla proprietà del nuovo casato; infine l’inginocchiamento della sposa davanti all’uomo divenuto suo «padrone», un gesto inteso ad affermare che ella si rimetteva al potere di un altro maschio, non più a quello del capo della casa di origine, ma a quello della casa nella quale entrava.
Il contratto di matrimonio era essenziale per il futuro di entrambe le case. La decisione era dunque troppo importante per essere lasciata agli individui interessati, perciò era presa da coloro che avevano la responsabilità delle due famiglie. I termini del contratto garantivano alla donna sposata diritti autonomi sia sulla propria dote (dos) sia sulle aspettative di eredità. Ma non vi è dubbio che in pratica questi diritti venivano esercitati dagli uomini, vale a dire dal marito, dai fratelli se rimaneva vedova, e dai suoi figli ed eredi nelle cui mani l’eredità paterna e materna si riunivano nel corso della generazione successiva. È un fatto che in questa società le donne non uscivano mai dalla più rigida subordinazione.
Nell’etica laica il matrimonio regolava gli impulsi sessuali ma solo, ripeto, nell’interesse di un patrimonio. Quando non vi erano implicazioni di eredità, l’attività sessuale al di fuori del matrimonio era consentita. Dall’altro lato, era della massima importanza che la moglie ricevesse un solo seme, quello di suo marito, per timore che degli intrusi, provenienti dal sangue di un altro uomo, prendessero posto tra gli aventi diritto all’eredità degli avi. Ecco perché il codice morale laico condannava rigorosamente l’adulterio da parte della donna.
Come dicevamo sopra, l’analisi di Duby nel saggio è limitata con precisione nel tempo e nello spazio, ma su questa falsariga si muovono tutti i romanzi storici ambientati nel medioevo. Quando giudichiamo il comportamento delle eroine romance, dovremmo prescindere dalla nostra concezione dell’amore che è nata solo all’epoca del romanticismo. Prima una donna di regola sposava chi la famiglia aveva scelto per lei. Qualche autonomia in più era concessa talvolta alla vedova. Se ripensiamo alla novella boccacciana su Federigo degli Alberighi, notiamo che i fratelli di Giovanna insistono perché si risposi. Cosa indispensabile all’epoca perché una donna non aveva la capacità giuridica di amministrare il suo patrimonio. Ma accettano la scelta di Giovanna, dato l’alto livello di nascita e l’affidabilità complessiva di Federigo.
Nel rosa l’esempio letterario più rappresentativo, secondo me, si trova in certi romanzi di ambientazione scozzese dove la protagonista, nonostante il sorgere dell’amore, non acconsente al matrimonio che sani un ratto senza il consenso del proprio padre. Perché sente un forte dovere di responsabilità verso la propria famiglia. Era sempre così? Ci saranno state eccezioni e trasgressioni, ovviamente, ma non così spesso e facilmente come ci viene fatto credere. Quindi, per quanto mi riguarda, preferisco le autrici (come la Ciuffi) che maneggiano con cautela questa materia scottante. Ad esempio Maria, la protagonista di Una rondine nella tempesta, rimasta vedova senza figli, deve studiare tutta una strategia complessa e prendersi i rischi del caso per riuscire a conservare il castello del marito.
Ma normalmente per una donna le difficoltà erano molto spesso insormontabili.
Poi, ad un certo punto, le venne in soccorso la posizione della Chiesa, che dava al consenso della donna la stessa importanza rispetto a quello del marito. Bisogna ammettere, però, che nella pratica le cose non erano affatto facili. Se una figlia rifiutava l’uomo scelto per lei, veniva imprigionata a pane e acqua e bastonata di santa ragione mattina e sera finché non cedeva. Inoltre questa evoluzione si accompagnò ad una disistima generale nei confronti del sesso e della condizione matrimoniale, insieme ad una concezione restrittiva dell’incesto che, almeno nella classe nobiliare, piccola per numero, rendeva molto difficoltoso trovare una possibile sposa.
Ma di questo parleremo un’altra volta.
Gli articoli de Il Taccuino di Matesi
Interessante. Ho letto I PECCATI DELLE DONNE NEL MEDIOEVO, sempre di Duby. Illuminante.
Uno storico che adoro.