Non lo nego, ho accolto con un moto di piacere e di orgoglio la richiesta di Angela Capobianchi di affiancarla nella prima bolognese del suo LA DISCENDENZA (Novecento Editore, Collana Calibro 9, 2017, pag 575), alla Ubik Irnerio di Bologna, venerdì 10 novembre scorso.
Perché Angela è un’autrice colta e raffinata e non certo ‘di genere’; perché la seguo da anni, da quei suoi I giochi di Carolina (Piemme, 2006), che scelsi con decisione dagli scaffali per una copertina di girotondi infantili sfumati di luce inquietante, fino a Esecuzione (Piemme, 2011, Premio Nebbia gialla 2012, finalista anche del Gran Premio delle lettrici di Elle), in cui riconobbi tensioni e tormenti caricati sulle spalle di giovani allievi di una scuola musicale di èlite; perché Angela ha dato nuovo vigore allo scrivere in giallo, a quella particolare corrente della narrativa crime, nata sul finire dell’800 con i grandi maestri anglosassoni di ispirazione positivistica che dipanavano l’intera indagine sul filo del ragionamento deduttivo, per pervenire a un’impeccabile risposta alle tre fatidiche domande ‘chi, come e perché’, consegnando il colpevole alla giustizia degli uomini in un finale di consolatorio trionfo.
Lo dico all’autrice in apertura, ricordando una brillante recensione su Libroguerriero in cui Romano De Marco l’ha accostata ad Agata Christie e permettendomi di introdurre il nome della ‘regina’ britannica di detective fiction, P.D. James, che a mio parere per l’analisi dei caratteri e lo spessore tridimensionale dei personaggi ha dato a tale narrativa la dignità del romanzo psicologico.
Così Angela Capobianchi nelle sue opere e ne La discendenza, in particolare: un giallo di stampo classico, per la trama serrata e impeccabile; un luogo d’azione che di più non potrebbe esserlo, il Liceo classico Giustiniano di Pescara; un assassino classico, che si firma Nerone e lascia vicino alle vittime allusive citazioni latine.
E molto più di questo.
Protagonisti di statura sorprendente, basti pensare alla coppia investigativa – formata dal commissario Riccardo Conti e dal suo vice, l’ispettore Silvino Rocci (sì, Rocci come il nostro mitico vocabolario di greco antico!), accomunati da un sofferto sentire quotidiano e dalla medesima tensione a verità e giustizia – e alle due figure carismatiche di docenti – Saverio De Marchis, il preside da poco in carica al Giustiniano, carismatico e patinato quanto lo deve essere un capo d’istituto in tempo di social, e Guglielmo Rastofani, il suo professore di latino e greco trent’anni prima in quello stesso liceo, con ideali aristocratici di cultura, non riservata alle masse ma a pochi eletti, scelti per guidare in futuro la classe dirigente.
Una scrittura alta, quella di Angela Capobianchi, che non teme il ricorso a vocaboli di ricercata preziosità (cito forastico e ordalico, tra tutti) o il richiamo di dotte citazioni latine. E qui il tema si allarga al senso della cultura oggi e alla mancata incisività di una scuola che tende ad appiattire verso il basso il livello d’istruzione impartita. Il dialogo si estende, spontaneo e cordiale, a un pubblico con presenza folta di insegnanti, davanti a cui Angela ribadisce con forza la necessità di tenere alta l’asticella della formazione, di non svilire gli insegnamenti nello sforzo demagogico di catturare proseliti. Lei stessa, davanti al rifiuto del suo manoscritto da parte di alcune case editrici a motivo della scrittura troppo alta, non ha cambiato di una virgola la sua opera fino a trovare un editore solidale con la sua visione. E oggi La discendenza viene letto nelle scuole superiori e addirittura richiesto come lettura dagli studenti medesimi.
Gli studenti, appunto, perché La discendenza è anche il romanzo dell’adolescenza, degli allievi di ieri che ora sono i docenti degli studenti di oggi, di quella soglia fragile di passioni e ambizioni dove è così facile smarrire il confine tra lecito e illecito. Angela afferma che il suo timore per i giovani, per suo figlio in particolare, è che non sappiano trovare il piacere delle loro scelte e che possano perdere il gusto della ricerca della felicità.
Un pubblico quanto mai partecipe saluta la conclusione di una presentazione, il cui successo è misurabile nella ‘cattura’ di curiosi che, entrati in libreria per caso, si sono fermati con noi fino al termine e in una percentuale di acquisto del romanzo che ha superato il cento per cento.
Un brindisi con le magiche libraie della Ubik Irnerio chiude la ‘prima’ bolognese de La discendenza e io mi allontano con la sua autrice, felice del privilegio di poterne parlare ancora, anche in privato.
“Ventrem feri”, ovvero “Colpisci al ventre”. È l’inquietante messaggio rinvenuto nelle viscere della professoressa di greco Barbara Baldi, prima vittima del killer che si firma Nerone. L’ordinaria tranquillità di una città del centro Italia è sconvolta da una catena di orribili delitti e le vittime hanno tutte a che fare con uno storico liceo classico. Chi è Nerone? Uno psicopatico sadico e violento che crede di essere la reincarnazione dell’imperatore più dannato della storia? O un lucido omicida che persegue un suo misterioso disegno di vendetta? Spetta al commissario Riccardo Conti risolvere l’enigma, o saranno ancora in molti a morire.
La Discendenza, di Angela Capobianchi.
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