Bologna, Libreria Coop Ambasciatori – 12 settembre 2016
Reportage di Giusy Giulianini

La citazione del notissimo film di Alfred Hitchcock è d’obbligo per la presentazione della nuova collana ≠comma21 di Damster Edizioni, nata quest’anno per pubblicare opere di narrativa che declinino la paura in tutte le sue sfumature, dal giallo al noir, senza trascurare le tinte horror o gotiche, purchè con voce fresca e originale. Opere di autori, insomma, che abbiano voglia di raccontare qualcosa di nuovo e anche di raccontarsi, come hanno tenuto a sottolineare in apertura Fabio Mundadori, direttore editoriale, e Massimo Casarini, editore.

Nessuna meraviglia, quindi, che lunedì la paura serpeggiasse in palcoscenico, non solo perchè protagonista della nuova collana ma anche perché quel palco della Coop Ambasciatori, luogo prescelto dai grandi autori nazionali e internazionali per la presentazione delle loro opere in città, mi intimoriva non poco. Già. Non è per nulla facile ricordarsi di aver frequentato il mistery fin dalla più tenera età, quando sei sotto l’occhio severo di Romano Montroni, dirigente delle Librerie Coop e presidente del Centro per il Libro e la Lettura del Ministero dei Beni e delle Attività culturali, un uomo che da cinquant’anni diffonde cultura a Bologna e che, nonostante i pressanti impegni, non si perde neppure una delle presentazioni che avvengono a ‘casa sua’.

14349175_1161158797277815_2068902685_nPer fortuna, non ero sola lassù ma affiancavo Matteo Bortolotti, scrittore e sceneggiatore tra i più competenti della sua generazione, in grado di illustrare origine e intenti di ≠comma21 con la più sorridente autorevolezza.

In giacca verde, come l’omonimo investigatore protagonista del suo Il Mistero della Loggia perduta, Matteo dialogando con Fabio Mundadori ha chiarito che il titolo della collana allude ironicamente alla volontà di creare la ventunesima regola per scrivere un mistery, a superamento del decalogo di Richard Knox e dei venti dettami di S.S. Van Dine, che regolavano la sfida deduttiva tra scrittore e lettore nelle storie della golden age. Non solo, il nome della collana strizza l’occhio anche a Comma 22, il romanzo di Joseph Heller basato di fatto su un paradosso che afferma: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”.

A me è poi toccato il compito di chiamare in successione gli autori del primi quattro titoli pubblicati nella collana, vari per argomento e sfumatura di colore del mistero: per ciascuno, brevi note biografiche seguite da un accenno di trama e dalla lettura di un brano significativo nella seducente interpretazione di Debora Pometti e con l’accompagnamento musicale di Romano Romani, infine un breve confronto con Matteo e con me.

41dmvnoqmlLoredana Inserra, Anna Fiore, Cinzia Matteucci, Carmen Pillo, in rappresentanza del collettivo di undici autori Andrea Bloch, ci hanno raccontato che il loro romanzo La musicista – Pentagramma mortale è nato da un progetto di scrittura sequenziale sul gruppo Facebook To be continued, che li ha portati dritti alla pubblicazione e a una menzione speciale al Festival Giallo Garda. La protagonista, una serial killer di raffinata efferatezza, mi ha indotto a chiedere se per loro la crudeltà è donna, come afferma Wagner della musica. Loredana ha risposto saggiamente che all’origine del dolore che l’assassina infligge alle sue tante vittime c’è il dolore della suo stesso passato, in una storia in cui il male non è solo cattivo, come il bene non si limita a essere soltanto buono.

9kEnrico Luceri – un autore che non ha bisogno di presentazioni con la sua settantina di opere tra romanzi, racconti, saggi e sceneggiature e con i riconoscimenti prestigiosi ricevuti, tra cui il Premio Alberto Tedeschi – ci ha introdotti al suo Solo dopo il crepuscolo, ora ambigua e terrificante in cui il villino scelto come dimora dalle sue tre protagoniste si anima di echi soprannaturali. Un omaggio dichiarato al gotico padano di Pupi Avati ne “La casa dalle finestre che ridono”, ma una prova originalissima e avvincente che coniuga i ritmi serrati di un’indagine deduttiva ad atmosfere orrifiche degne di “La casa d’inferno” di Richard Matheson o di “La donna in nero” di Susan Hill. Sogni non meno spaventosi del quotidiano e realtà che paiono incubi ci hanno spinto a domandare a Enrico se per uno scrittore il sogno possa essere fonte di ispirazione: per lui lo è, a patto che non contenga connotazioni troppo personali ma che sia condivisibile con la maggioranza dei lettori.

41ycbjmynel-_sx373_bo1204203200_Maurizio Malavolta, giornalista ed esperto di comunicazione, è salito sul palco per parlarci di Quell’ultima mano di poker, una storia complessa in cui si intreccia più di un mistero: una serie di delitti efferati, la scomparsa di una ragazzina, i loschi traffici della criminalità organizzata, il passato ambiguo del protagonista. Differenti linee d’indagine, quattro come le carte del poker, che il giornalista Franco Astolfi deve dipanare, sullo sfondo di una Modena sempre meno sorridente e con l’aiuto di tre collaboratori, poco ortodossi quanto lui. Inevitabile, dialogando con l’autore, sottolineare che il romanzo restituisce l’immagine di una città in rapido mutamento, dove il placido edonismo cede il posto alle sempre più frequenti minacce della criminalità organizzata, a una sofferenza sociale che non risparmia neppure i più giovani e che per questo avvalora l’affermazione di Jean-Patrick Manchette, secondo cui “il noir è la grande letteratura morale della nostra epoca”.

41eihgqo-slUltimo, come si conviene all’artefice di questa giornata, si è seduto accanto a noi Fabio Mundadori, autore di romanzi, racconti e opere teatrali; responsabile di giuria del premio letterario Garfagnana in giallo, uno dei più prestigiosi per la narrativa di genere mistery; direttore editoriale di ≠comma21. Con il suo sorriso pacato e il consueto tono basso, Fabio ci presenta il suo L’altra metà della notte – Bologna non uccide che, invece, di sommesso non ha proprio nulla, perché orchestra una complessa vicenda corale, attorno a quel famigerato 2 agosto 1980 in cui una bomba alla stazione di Bologna cambiò per sempre, non solo il destino delle vittime e dei loro famigliari, ma anche il volto di una città, mutandolo da gaudente di ingenua superficialità a cupo e diffidente.

Su quello sfondo, Fabio mette in scena un mistery ineccepibile, in cui al fianco di una inedita coppia di investigatori – Cesare Naldi, commissario della Questura bolognese, non giovanissimo ma di fascino brizzolato alla Harrison Ford, sagace investigatore e per questo inviso ai colleghi, e l’agente Cristina Colombo, che da lui si fa coinvolgere in una indagine senza respiro e senza regole, e forse in qualche cosa di più – si muove una schiera di personaggi tutti credibilissimi – giornalisti d’assalto, psichiatri di fama, parenti dei caduti nella strage, pazienti e operatori di una casa di cura dal fascino inquietante – gli uni e gli altri intrecciando passato e presente e disegnando una lunga schiera di vittime che paiono non avere nulla in comune.

Quello di Fabio Mundadori non è un romanzo della strage, ne conveniamo con lui, ma di sicuro è il romanzo di quel nuovo volto di Bologna che non ha mai dimenticato i suoi giorni straziati, cui l’autore dedica righe d’intensa commozione ricordando il pavimento dell’atrio centrale divenuto “con il sangue rappreso, un mosaico infernale” o il lugubre autobus 37 trasformato “in un obitorio su gomma”.

Ed è il significato del termine ‘paura’ a concludere l’incontro, o meglio ciò che rappresenta, oggi, per il grande Loriano Macchiavelli: non la minaccia di una violenza fisica, ma la sofferenza sociale di giorni inquieti accompagnata a un disorientante senso di non appartenenza alla realtà che viviamo.

14355895_1161159013944460_104839677_nUn pubblico particolarmente numeroso ha seguito l’evento, compatto fino alla fine anche nei posti in piedi. Tanti i colleghi scrittori presenti – Ornella Albanese, Katia Brentani, Lorena Lusetti, Luca Occhi, Cristina Orlandi, Daniela Rispoli, per citare solo quelli che sono riuscita a salutare – a dimostrazione che un progetto culturale, serio e innovativo, è sempre condivisibile.