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Una moglie infelice, un ascensore e un fattorino… Angelica B. racconta una storia spassosa e appena appena piccante.

Sono in ritardo! Sono in ritardo! Come Bianconiglio. Solo che lui correva tra gli alberi, nel bosco, indossando un bel panciotto da dandy. Io, invece, con tre sacchi della spesa nel bagagliaio, sto posteggiando mentre calcolo i minuti che mi restano (circa 160 scarsi) all’arrivo degli ospiti di mio marito per la cena. Cena che, diciamolo, se mi avessero concesso di scegliere tra quella e una purga, avrei scelto la seconda…

Crack!

E che…? No… Non la fiancata! Lo sapevo che questo box infognato in fondo al garage, dove neanche Fernando Alonso riuscirebbe a fare manovra, sarebbe stato la mia rovina… Ma il mio consorte sosteneva che piuttosto che un box comodo al secondo interrato, sarebbe stato molto più prestigiosa questa chiavica al primo interrato. Non siamo mica proletari arricchiti, noi! Ho accumulato un patrimonio che pochi prima dei cinquant’anni possono vantare, ho acquistato un appartamento all’ottavo piano di questa specie di mostro pensato da un archistar in delirio di onnipotenza e poi dovrei accontentarmi di un secondo interrato? Giammai! Insomma, Lisa, sarai capace di infilare un Suv dentro un box!
Sì, se il Suv fosse pieghevole …
Ok, così domani mi tocca sentire tutta la filippica su come lui gabberà l’assicurazione e riuscirà a farsi riparare la portiera senza spendere un euro (su come sarà costretto a delinquere, insomma, a causa della mia inettitudine).

Vi presento mio marito: l’avvocato Piercarlo Giuseppe Beroardi Dragomanni. Quarta generazione di avvocati, uno studio davanti al Tribunale di Milano, una perversa passione per l’antiquariato che sfiora l’accumulo seriale, una certa propensione al tennis, discretamente belloccio nonostante i capelli troppo biondi e gli occhi troppo azzurri, esperto in tutto, ma soprattutto in vini, abilità con cui delizia il suo pubblico per almeno una ventina di minuti all’inizio di ogni cena. Ho il dente avvelenato? Ma no… è che Eppe è uno di quegli uomini che ti intortano: educato, gradevole, pulito, brillante, spiritoso (facoltà, questa, perduta una settimana esatta dopo la luna di miele). Ti corteggia, ti avvolge in una nube di parole che ti stordiscono e poi tu ti ritrovi su una spiaggia delle Cayman con la fede al dito senza nemmeno riuscire a ricordare come ci sei arrivata… È uno di quelli che non ti fanno mancare niente, che non danno adito ad alcuna concreta lamentela. Dunque, quando ti svegli dal torpore, come diavolo fai ad andartene?
Io me lo sto domandando da più o meno otto anni…
E quando a trentotto anni ti racconti ancora la balla che prima di avere un figlio vuoi rendere più solida la tua vita, ecco, forse è il segnale che qualcosa non va. Ma secondo l’avvocato Beroardi Dragomanni non c’è MAI niente che non va? Mai! Il terremoto a l’Aquila? Oh, una tragedia, sì… ma i soccorsi sono stati ottimi e la ricostruzione impeccabile. La crisi economica? Ma dai: è un complotto della Sinistra per far credere che l’economia di mercato non funzioni; in realtà i barboni che vedi fuori dai supermercati a frugare nei bidoni sono dei figuranti di Cinecittà. Mio padre con un diabete fulminante? Era proprio ora che riducesse i carboidrati, con quella pancia. La moglie che da otto anni ha quell’aria soprappensiero, come se fosse in prestito, e che si rifiuta di fare sesso con scuse tipo cicli mestruali di venti giorni? È fatta così: è una pittrice, lavora di fantasia. E non se ne andrà mai, vedrai.
Ecco.

Bene… Ora però non ho tempo per lavorare di fantasia. Infilo due sacchetti su un braccio, il terzo sull’altro, la borsetta in mano, le chiavi nell’altra e, mentre sento un principio di tendente, mi infilo nell’ascensore che si sta chiudendo. Proprio in quel momento il cellulare suona.
«Scusi…» mormoro a una figura che non colgo, mentre frugo nella borsa.
Tchack!
Un rumore secco lacera il silenzio e l’ascensore si arresta, piombando nel buio.
Oh, cavolo…!
Il cellulare suona imperterrito, seppellito da portafogli, beauty-case, ombrellino, foulard e da come suona senza sosta riconosco il richiamo imperioso dell’avvocato… Ma ora ho problemi più urgenti.
«Siamo bloccati…» dice una giovane voce maschile accanto a me.
No…! No no no! I minuti per la mia cena vanno riducendosi drasticamente…
«Già. Credo che questi affari siano programmati per ripartire subito e riportare i passeggeri al pianterreno» mormoro, poco convinta.
Così poi mi farò otto piani a piedi con la spesa, e gli ospiti mi troveranno colta da infarto sull’uscio di casa, circondata dai gatti dei vicini che frugano nei sacchetti alla ricerca delle seppie e dei tranci di salmone.

L’ascensore, tuttavia, resta caparbiamente fermo.
«Temo che non li abbiano programmati bene…» riprende la voce. Intanto il buio si dirada e le luci azzurre di cortesia illuminano fiocamente un ragazzo alto e atletico con una divisa gialla e un gigantesco mazzo di fiori.
«Ecco cos’era questo profumo!» esclamo.
«Sì, sono per la ragazza del sesto. Gliene porto un mazzo almeno due volte la settimana.»
«È la sua fidanzata…?»
Dio, se esisti, mi spieghi perché in momenti di stress riesco a fare domande così idiote?
Lui scoppia a ridere, e tra l’ombra della barba intravedo una dentatura candida e perfetta.
«No, magari!… Lavora a Mediaset, nel nuovo programma di Gerry Scotti. Io sono il fattorino del negozio di fiori qui sotto. C’è un tipo che l’ha presa di mira…»
Diciamo che per essere un fattorino hai una dentatura da star di Hollywood: mamma e papà non hanno risparmiato sulle cure dentali, eh?
«Ah, capisco…»
«È un lavoro divertente: si incontra un sacco di gente. È l’ideale per tirare su un po’ di soldi mentre mi laureo.»
«In cosa?»
«Psicologia.»
Oh… era il mio sogno. Poi sono successe tante cose e ho deciso di studiare pittura. Non sono una persona con le idee chiarissime. E comunque dipingere è un po’ come andare in terapia…
Ma che succede a quest’ascensore?

«Perché non riparte?» esclamo, con una voce più piagnucolosa di quanto vorrei.
«Ho paura che non sia un semplice calo di tensione…»
«In che senso…?» Poi comincio a sentire le sirene per la strada. Polizia? Ambulanze? Pompieri? Ma che cosa sta succedendo?
Io e il giovane Freud ci guardiamo per qualche istante.
«Oh mio dio… Non sarà… un attentato…?» Mi trema la voce.
«No. Non credo…» Appoggia il mazzo di fiori a terra e mi posa le mani sulle braccia. «Non facciamoci prendere dal panico, ok? Questo non è un obiettivo sensibile. È un blackout. Il caldo è arrivato in anticipo, tutti hanno acceso l’aria condizionata e la città è andata in tilt. Questa è la spiegazione più plausibile.»
Le sue mani mi calmano. Devo dire che ha scelto la professione giusta.
«Hai ragione…»
Mi tende la mano: «Io sono Fabrizio.»
La prendo. «Annalisa…»
«Abiti qui?»
«Sì … E stasera avremmo invitato dei colleghi di mio marito per una cena… Solo che mi sono mossa tardi, come al solito, e adesso, quando arriveranno non ci sarà pronto nulla…»
E come una deficiente scoppio in lacrime.
«Ehi… Ehi, calma, non sarà mica colpa tua se c’è un blackout…»
Sto singhiozzando come una mentecatta, ora, e lui istintivamente mi abbraccia.
Con la faccia appoggiata al tessuto sintetico della sua giacca continuo a piangere.
«No… però se avessi fatto la spesa stamattina, se non mi fossi ridotta all’ultimo… Ora avrei la tavola apparecchiata… Ma dovevo finire un quadro, figurati, sai che urgenza! È che avrò una mostra tra un mese e anche se a mio marito non importa nulla di quello che faccio e lo considera poco più di un hobby, come il decoupage per le vecchiette dell’ospizio, io ci tenevo e… e stamattina c’era una luce perfetta…»
Si fruga nella tasca e mi passa un fazzoletto. Mi soffio rumorosamente il naso e riprendo a piangere.
«Mi dispiace…» mugolo.
«Capita… Sei un po’ sotto stress, Annalisa.»
Come dice bene “Annalisa”…
«Cosa volevi preparare?»
«Spaghetti con le seppie e poi tranci di salmone al forno con un contorno di patate al prezzemolo. Non ce la farò mai…»
«Mmmm, aspetta. Mentre il salmone cuoce nel forno puoi preparare degli spaghetti al limone, che sono velocissimi, deliziosi e prima del pesce sono perfetti. Hai limoni?»
«Sì…»
«Parmigiano e un po’ di panna?»
«Dovrei… mi pare di sì…»
Tiro su col naso.
«Perfetto! Se hai dell’insalata puoi lasciare stare le patate. La prepari con dei pezzettini di mela e, se le hai, delle noci…»
«Devono essere avanzate delle noci dai pacchi di Natale… non so se siano scadute.»
«Le noci non scadono. Ecco, la cena è fatta!»
È brutto se gli chiedo di venire su a darmi una mano …? Non lo so se mi ricordo proprio tutto…
Mi asciugo gli occhi imbarazzata.
«Mancherebbe il dolce…»
«È vero… Hai del cioccolato fondente?»
«Pacchi di Natale, come sopra.»
«Biscotti buoni?»
«Idem…»
«Allora farai fondere il cioccolato a bagnomaria, lo terrai in caldo e offrirai ai tuoi ospiti una fonduta di cioccolato. Insieme ai biscotti puoi proporre anche della frutta a dadini…»
Ora sono di umore migliore.
«Accipicchia! Sei una specie di chef?»
«No, ma ho tre sorelle che adorano cucinare…»
L’atmosfera nell’abitacolo si è alleggerita, ma le sirene continuano a suonare.

Fabrizio tira fuori il cellulare.
«Non ho molto campo, ma forse su qualche sito c’è qualcosa…»
Prendo anch’io il mio e vedo che ci sono tre chiamate di mio marito. Provo a comporre il numero e sento un segnale singhiozzante.
«Do… cav… finita? ..sto cerc… un’ora….!»
«Sono bloccata in ascensore, Pier…»
«… quale signore…? Non …. anc… casa?»
«Pier? Mi senti? C’è un blackout a Milano. Tu sei ancora in autostrada…?»
«Non… Milano…. Sai che… fuori… Perché…?»
Chiudo l’inutile comunicazione.
Alzo gli occhi: Fabrizio ha un’espressione preoccupata.
«Ho calcolato che siamo chiusi qui dentro da almeno venti minuti… Il fatto è che le sirene non diminuiscono. Sul sito del Corriere parla di blackout, ma non dice di più…»
«Prova l’Ansa…» suggerisco.
«Giusto… Oh, cavolo!»
«Cosa?»
«In seguito a un’esplosione in un edificio della vecchia Fiera, esplosione che fortunatamente non ha fatto né vittime né feriti, un’ampia zona di Milano è in questo momento colpita da un blackout. Manca l’elettricità approssimativamente dall’Arco della Pace fino a via Gallarate; in tilt anche tutta la zona Garibaldi, compresa la stazione. L’incidente è avvenuto, sembra, per via dei lavori intorno all’edificio poi esploso. Le centraline dei Carabinieri e della Polizia, come i Vigili dei Fuoco e gli ospedali, sono bersagliate di chiamate di cittadini presi dal panico. In questo momento sono in atto due rapine. Non sembra possibile un ritorno alla normalità prima di una o due ore…»
Scivolo a sedere per terra in mezzo ai sacchetti. L’odore del pesce comincia a sentirsi piuttosto forte, nonostante i fiori.
Fabrizio scivola a sua volta e si siede di fronte a me.
«Una o due ore…» mormoro.
«Lo sai, Annalisa, hai detto una cosa che non mi è piaciuta…»
Lo guardo.

Ecco, lo sapevo. Con la fortuna che mi ritrovo sono rimasta bloccata in ascensore con un serial killer. Ora che sa di poter agire indisturbato per due ore, tirerà fuori la mannaia e mi taglierà a pezzettini di cui mangerà alcuni assaggi, infine ricomporrà il cadavere e lo ricoprirà dei fiori della subrette (che in realtà non esiste) perché si pentirà del gesto e perché io gli ricordo la madre morta in tragiche circostanze…
«Cosa… intendi dire?» chiedo, arretrando impercettibilmente verso la parete dell’ascensore (eh, sì, adesso sì che sono in salvo).
«Quando hai detto che a tuo marito non importa nulla della tua pittura e che la considera poco più di un hobby… Io non so niente di arte, ma se stai per esporre, farai di sicuro un lavoro di qualità. E anche se così non fosse, chi ti ama dovrebbe considerare preziosa la possibilità di vedere su una tela quello che hai dentro…»
Sospiro. Che belle parole…
«Lui è fatto così… È un uomo pratico…»
«Ah!» commenta. E poi fa la domanda impossibile, il tabù di tutti i tabù, la domanda da un milione di dollari: «Ma tu sei felice…?»
Resto un istante in silenzio.
«No…»
Fabrizio si avvicina e mi prende una mano tra le sue. Sono calde, asciutte, accoglienti. E io vorrei essere un pulcino per starci dentro tutta intera.
«E perché resti, allora?»
«Perché… sono sua moglie. Perché lui non fa nulla di male. Perché… quando sei in una situazione così è come una colla che ti appiccica i piedi e ti impedisce di andare…» sussurro.
«È per i figli…?»
«Non abbiamo figli…»
Fabrizio si avvicina, mi prende il viso tra le mani e mi guarda fisso negli occhi, vicinissimo, come se potesse frugarmi l’anima.

«Sei in gamba, giovane e bella, Annalisa, smetti di accontentarti» dice. E poi mi bacia. Un bacio lungo, dolce, lento, umido, mordicchiato, con la lingua che si insinua e poi scompare, un bacio profumato dei fiori bianchi che stanno appassendo nell’ascensore e anche, un po’, del pesce che frolla nel sacchetto. Rispondo al bacio come un naufrago a cui abbiano gettato una scialuppa e mi afferro alla giacca gialla. Quanti anni avrà? Da dove verrà? Mentre le sirene ululano penso che. forse, fuori da questo ascensore, il mondo sta andando a rotoli. Forse i notiziari mentono: forse c’è stato un attentato orribile e quando usciremo di qui nulla sarà più uguale a prima. O magari i marziani sono atterrati a Milano e, come nella Guerra dei mondi, stanno devastando la città e moriremo tutti. Dunque… cos’ho da perdere? Scivolo su quel corpo giovane e lascio che il mio vestito si sollevi e che le mie gambe nude imprigionino quelle di lui. Sento le sue mani prima incerte e poi più decise che mi percorrono la schiena. Wow, però, il fattorino-psicologo-chef: mi slaccia il reggiseno con un gesto secco e i bottoni della camicetta saltano. Ta-ta-ta-ta-tà, come una scarica di mitragliatrice. Penso a che faccia farà chi, prima o poi, verrà a salvarci. Ok, come on, let’s do it… Ora sono io che cerco la cerniera dei suoi pantaloni e che l’abbasso. E allora io e Fabrizio-senza-cognome facciamo l’amore incastrati nei vestiti, tra il profumo del pesce e quello dei fiori, fino a un orgasmo improvviso in cui i nostri gemiti si confondono con le sirene.
«Tuo marito è un coglione…» sentenzia alla fine Fabrizio, staccandosi da me.
Amen.

«Sì. Stasera glielo dirò. Davanti ai sui amici scandalizzati, mentre le seppie marciranno lentamente nei sacchetti della spesa…» rispondo, tra un bacio e l’altro sul suo collo.
Poi lui allunga la mano, afferra la bottiglia di Bellenda che fa capolino dal sacchetto e mi guarda.
«Ottima idea…» dico, sistemandomi la biancheria e cercando di chiudere la camicetta con un nodo.
Un “pop” e la bottiglia si apre.
Beviamo a canna, a turno. Il liquido tiepido e schiumoso ci cola lungo il mento e noi ridiamo asciugandoci reciprocamente. Tiro fuori una confezione di salatini e lui la apre con i denti.

Quella è stata l’ultima cena da me consumata in uno degli edifici più trendy della Milano del futuro. La migliore, senza dubbio. Il giorno dopo, ho fatto le valigie e mi sono trasferita da un’amica, in attesa di trovare un appartamento. La storia con Fabrizio sta andando avanti. Una storia di sesso, litigi, riappacificazioni e cene consumate a letto. Non so quanto durerà. Del resto lui non ha ancora trent’anni… La mostra è andata bene, sì. No, non posso ancora definirmi una pittrice di successo. Sono squattrinata e non ho nemmeno la lavatrice. Ma ogni sera un ragazzo mi regala fiori bianchi. E sono felice.

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Angelica B. ama fare due chiacchiere su Facebook. Ha pubblicato per Newton Compton “L’educazione di Angelica“. Giornalista di design e arte contemporanea ed esperta cuoca, vive tra Milano e la riviera ligure di Levante, alternando l’attività di free lance per periodici di settore a quella di scrittrice. In contemporanea a “L’educazione di Angelica”, Newton Compton ha pubblicato anche il suo libro di ricette afrodisiache “I dolci segreti di Angelica“.