Roberta Ciuffi non ha amato LA RAGAZZA NELLA NEBBIA, di Donato Carrisi.

La notte in cui tutto cambia per sempre è una notte di ghiaccio e nebbia ad Avechot, un paese rintanato in una valle profonda fra le ombre delle Alpi. Forse è stata proprio colpa della nebbia se l’auto dell’agente speciale Vogel è finita in un fosso. Un banale incidente.
Vogel è illeso, ma sotto shock. Non ricorda perché è lì e come ci è arrivato.
Eppure una cosa è certa: l’agente speciale Vogel dovrebbe trovarsi da tutt’altra parte, lontano da Avechot.
Infatti, sono ormai passati due mesi da quando una ragazzina del paese è scomparsa nella nebbia. Due mesi da quando Vogel si è occupato di quello che, da semplice caso di allontanamento volontario, si è trasformato prima in un caso di rapimento e, da lì, in un colossale caso mediatico.
Perché è questa la specialità di Vogel. Non gli interessa nulla del dna, non sa che farsene dei rilevamenti della scientifica, però in una cosa è insuperabile: manovrare i media. Attirare le telecamere, conquistare le prime pagine. Ottenere sempre più fondi per l’indagine grazie all’attenzione e alle pressioni del «pubblico a casa». Santificare la vittima e, alla fine, scovare il mostro e sbatterlo in galera.
Questo è il suo gioco, e questa è la sua «firma». Perché ci vuole uno come lui, privo di scrupoli, sicuro dei propri metodi, per far sì che un crimine riceva ciò che realmente gli spetta: non tanto una soluzione, quanto un’audience.
Sono passati due mesi da tutto questo, e l’agente speciale Vogel dovrebbe essere lontano, ormai, da quelle montagne inospitali. Ma allora, cosa ci fa ancora lì? Perché quell’incidente? Ma soprattutto, visto che è illeso, a chi appartiene il sangue che ha sui vestiti?

Ho letto il mio primo romanzo di Donato Carrisi, ‘La ragazza nella nebbia’, e non so se ne leggerò un altro. Non sono fissata con la veridicità, in genere tendo più alla verosimiglianza, ma se questo in un romance è accettabile e sufficiente, credo che in un poliziesco, thriller o giallo che si voglia chiamare, non lo sia. Ritengo che quello sia un genere che richieda la maggior veridicità possibile. Almeno nel contemporaneo. Se poi si vuole spaziare con la fantasia, si può ricorrere al passato, ma sempre, almeno, restando aderenti alla logica, e senza barare con i lettori.

Confesso di non aver mai letto in un giallo un piano dell’assassino più cervellotico e campato per aria, senza una base che sostenga la psicologia del personaggio, e tuttavia che si realizza alla perfezione, come se ci fosse una bacchetta magica!

Macrina Mirti non vi consiglia LA BAMBINA CHE GUARDAVA I TRENI PARTIRE, di Ruperto Long.

Francia, 1940. La guerra è ormai alle porte e i Wins, famiglia ebrea di origine polacca, rischiano di essere deportati. Alter, lo zio, è partito per la Polonia nel tentativo di salvare i suoi familiari, ma è stato preso e rinchiuso nel ghetto di Konskie. Il padre della piccola Charlotte vuole evitare che la sua famiglia subisca lo stesso destino, così si procura dei documenti falsi per raggiungere Parigi. Ma dopo soli quarantanove giorni si rende conto che la capitale non è più sicura e trasferisce tutti a Lione, sotto il governo collaborazionista di Vichy. Charlotte a volte esce di casa, e davanti ai binari guarda passare i treni carichi di ebrei deportati. Ben presto suo padre realizza che nemmeno Lione è il posto giusto per sfuggire alle persecuzioni e paga degli uomini affinché li aiutino a raggiungere la Svizzera. Un viaggio molto pericoloso, perché durante un incidente la famiglia Wins si troverà molto vicina alla linea nazista… Una fuga senza sosta, di città in città, per scampare al pericolo, sostenuta dalla volontà ferrea di un padre di salvare a tutti costi i propri cari.

Leggendo una cosa del genere, mi viene da pensare “Ma perché lo pubblicano? E io che male ho fatto per essere bistrattata da tutte le CE a cui mi rivolgo?”
E vi giuro che non è solo invidia e nemmeno malanimo.

Raramente ho letto un libro tanto pasticciato. Romanzi così fanno male alla storia che vogliono raccontare. L’autore salta di palo in frasca, non ha un punto di vista preciso (ne ho contati almeno venti) e, come se non bastasse, il testo è scritto così male che sembra tradotto con il traduttore di Google.

A metà, sono stata costretta a fermarmi. Evitatelo. C’è in giro molta ma molta roba migliore.

I romanzi di Roberta Ciuffi

I romanzi di Macrina Mirti