Capitolo 6
Sapeva che avrebbe dovuto essere grato a Gyllahesh per la proposta fatta a Selia. Sapeva che non avrebbe dovuto prendersela con la sua sijia per aver acconsentito, quasi senza neanche protestare. Ritrovarsi in viaggio all’alba con un uomo che non conosceva, quasi ceduto come un pacco scomodo, aveva però riempito il cuore di Nabir di un’ira sorda. A nulla erano valse le considerazioni di Selia, o i discorsi pieni di buon senso: la sera prima, quando Gyllahesh aveva suggerito che andasse a Omira con lui, e Selia si era detta d’accordo, si era reso conto di quale peso fosse per tutti. Quasi cieco, senza nessuna prospettiva per il futuro, nemmeno capace di poter lavorare per mantenersi. Chi avrebbe potuto sobbarcarsi l’onere di prendersi cura di lui?
Eppure, la gentilezza di Gyllahesh a poco a poco aveva fatto breccia nel suo cuore afflitto. Le poche parole che gli aveva detto durante il viaggio, prima di arrendersi davanti al suo infantile mutismo, gli avevano fatto comprendere quanto quell’uomo fosse dotato di un animo generoso, oltre a un corpo forte. Durante il viaggio, gli aveva spesso dato un’occhiata di sfuggita, senza riuscire ad andare oltre a una sagoma imponente ben dritta sulla sella, e a una macchia scura che dovevano essere i suoi capelli. Avrebbe desiderato vederlo, vedere quel viso e quei capelli scuri. Prima di darsi dello stupido per quel desiderio così innaturale, si era detto che avrebbe dovuto accontentarsi della voce profonda e melodiosa che ogni tanto gli rivolgeva parole gentili, andando oltre la sua rabbia.
Nabir oltrepassò il grande portone d’ingresso, seguendo l’ombra di Gyllahesh, e l’improvvisa penombra lo fece quasi incespicare. I suoi occhi deboli si abituarono in fretta, ma non gli permisero di vedere l’atrio della villa, così come non gli avevano permesso di vedere la facciata candida. Il profumo che percepì lo inebriò per un momento, e si guardò attorno, cercando la fonte. Dovevano essere fiori, ma non semplici fiori di campo. Mosse un piede davanti all’altro e raggiunse una macchia di colori vividi. Allungando la mano, toccò quello che doveva essere un vaso di vetro sopra un tavolino, e si abbassò per annusare. Fiori.
«Nabir.»
Lui si rialzò di scatto, quasi avesse compiuto una mancanza, e si allontanò dal tavolino, pregando che non ci fossero ostacoli intorno a lui. Sarebbe stato quanto meno imbarazzante rompere qualcosa appena arrivato.
«Sì?»
«Ti piacciono i fiori?» Gyllahesh era accanto a lui, la sua figura che quasi gli ostruiva la precaria visuale.
«Molto,» ammise. «Ma non ho mai sentito un profumo così intenso.»
«Questi vengono coltivati nel giardino interno della villa. È ben riparato, così da avere fiori freschi anche in questa stagione. Durante il periodo freddo, le aiuole vengono coperte con delle stoffe leggere, per proteggerle.»
Le spiegazioni erano interessanti, e Nabir annuì in risposta. Non voleva sembrare impaziente di vedere il giardino, Gyllahesh ve lo avrebbe condotto quando sarebbe stato il momento. Non era neanche sicuro di quale sarebbe stato il suo ruolo in quella casa. Cosa avrebbe fatto? Quali sarebbero state le sue mansioni? Poiché era chiaro che avrebbe dovuto lavorare per mantenersi. Che cosa se ne faceva quel ricco libero amante di uno come lui?
«Smettila di aggrottare la fronte, Nabir. Dopo che ci saremo rifocillati e avremo riposato, ti accompagnerò a vedere la villa e ti illustrerò quello che farai. Aspetta, ecco Mirryn.»
La voce curiosamente stridula del nuovo arrivato fece sorridere Nabir.
«Ho appena incontrato Tyro, di ritorno dalla stalla. Perché nessuno vi ha annunciato? Vi avremmo fatto trovare del sidro caldo e del cibo.»
«A qualcosa da mangiare non diciamo di no. Mirryn, lui è Nabir. Resterà con noi.»
«Capisco. Volete seguirmi in cucina?»
Nabir sbatté le palpebre, sorpreso dall’accoglienza. L’uomo li precedette, e lui ne approfittò per afferrare la manica della giubba di Gyllahesh, rimasto accanto a lui.
«Che c’è, Nabir?»
«Perché-» Si interruppe, cercando le parole adatte, poi sospirò. «Perché non sembrava sorpreso? Portate spesso degli orfani in casa vostra?»
«In realtà no, questa è la prima volta.» Il respiro caldo sul viso fece capire a Nabir che Gyllahesh si era chinato verso di lui. Un brivido gli corse giù per la schiena, e lui scacciò con forza l’ondata di incomprensibile piacere che lo attraversò quando l’uomo gli sfiorò la mano. «Ma Mirryn è un uomo generoso, di buon animo.»
«Come lo siete voi,» gli sfuggì senza volerlo. Lasciò andare la stoffa che aveva stretto fino a quel momento.
«Cerco di fare del mio meglio.» Nella voce profonda si percepiva l’accenno di un sorriso. «E ti prego, lascia da parte le formalità, Nabir.»
«Siete il mio padrone, ora.»
«Ti sbagli. Io non sono il padrone di nessuno. Questa diventerà la tua casa, se lo permetti.»
Sopraffatto, Nabir abbassò la testa. «Vorrei non aver lasciato la mia sijia in questo modo.»
Una mano grande si strinse intorno alla sua, un palmo liscio contro il suo calloso. Il calore gli si diffuse dentro, facendogli riempire gli occhi di lacrime.
«Andremo a trovarla. Basta solo che tu mi dica che vuoi andare a Charka, e organizzerò il viaggio. Potrai portarle anche dei regali.»
«Grazie, Gyllahesh. Mi dispiace di essere stato così scontroso.»
«È comprensibile, Nabir. Vieni ora, Mirryn ci avrà senz’altro preparato qualcosa di appetitoso.»
Nabir chiuse gli occhi per scacciare le lacrime, poi tentò di sorridere. Sperò con tutto il cuore di poter ripagare la generosità di Gyllahesh. Forse poteva comunque trovargli qualche lavoretto da fare. Le sue mani non erano abituate a restare ferme, e avrebbero sostituito i suoi occhi.
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