In comune hanno solo l’essere vampiri. E bellissimi. Per il resto, estraneità assoluta.
Guillaume è antico, raffinato, decadente, morbosamente malinconico. Raistan, con i suoi tre secoli di non-vita, è un ragazzino al confronto: brusco, collerico, spiccio nei modi e negli appetiti. Che ci faranno mai insieme quei due?
Da una chiacchiera divertente è nato, qualche tempo fa, un intreccio fra due stili narrativi, due protagonisti, due autrici. Ne è scaturito il primo racconto di una serie che sta giungendo, in queste settimane, al quinto capitolo.
Vi riproponiamo le avventure di Guillaume de Joie e Raistan Van Hoeck, grazie alle penne dolci e velenose di Lucia Guglielminetti e Federica Soprani. Ricordiamo che la storia presenta connotazioni tali da renderla adatta solo a un pubblico adulto. Buona lettura!1
“Dai bello, siamo arrivati.”
Mark Norren spinse il cavalletto a terra con un colpo poderoso e fermò il motore. L’Harley si acquietò con un cupo brontolio ma le braccia dello straniero non si decidevano a mollarlo.
Se lo scrollò un po’ di dosso e quello parve riemergere da un sogno tutto suo.
“Siamo a casa tua?” domandò in un sospiro, lasciando scivolare le mani lungo la sua schiena e guardandosi intorno. Mark scese dalla moto e si voltò verso di lui. La corsa notturna per le strade trafficate di Londra non sembrava averlo impressionato più di tanto. Niente di strano, sbronzo com’era. Di certo non aveva scalfito il suo bell’aspetto. Solo i capelli biondi che incorniciavano il volto inanellandosi appena sul collo apparivano un po’ più scarmigliati di quando lo aveva incontrato, circa un’ora prima.
“Eh, quanta fretta! Prima ci beviamo qualcosa, che dici?” lo canzonò bonariamente, aiutandolo a scendere dalla moto. Attraverso il tessuto pregiato della giacca sportiva poteva quasi percepire la consistenza delle sue spalle, delle sue braccia. Non che fosse mingherlino, ma trasmetteva una sensazione di fragilità, di delicatezza. Quando lo lasciò andare il tizio barcollò visibilmente, portandosi una mano alla fronte.
Mark rise roco, mentre lo agguantava di nuovo.
“Mi piace il tuo giubbotto” biascicò l’altro, sfiorando con le dita la manica di pelle.
“Lo hai già detto, bello. Se fai il bravo dopo te lo faccio provare” promise Mark, cercando di indirizzarlo verso l’ingresso del locale. Ma lo straniero opponeva resistenza. Pessima idea.
“Non ti metterai a fare lo stronzo adesso, vero?” domandò brusco Mark, stringendolo più forte. Poteva vedere il suo profilo stagliato contro le luci rutilanti di Leicester Square, mentre il capo gli si piegava in avanti sul collo divenuto improvvisamente troppo debole per reggerlo. Si costrinse alla calma. Dopotutto non avrebbe avuto senso buttare all’aria quell’inaspettato colpo di fortuna. Quando lui e i ragazzi avevano visto quel bellimbusto arrancare lungo Camden High Street in un orario in cui tutti i fottuti turisti avevano ritenuto saggio tornarsene ai loro alberghi, aveva subito capito che sarebbe stata la sua serata fortunata. Una rapida occhiata ai suoi abiti era stata sufficiente per annusare quanta grana potesse avere in tasca. Mark, però, non era tipo da fregarti il portafogli e tanti saluti. Lo straniero si era diretto verso di loro non appena li aveva scorti e aveva puntato su di lui, come se fosse andato lì apposta. Ovviamente non era vero, ma a Mark non era dispiaciuto che un tipo del genere avesse scelto lui tra gli altri, anche solo per farsi fregare. Sembrava balzato fuori da una dannata rivista di moda, non solo perché niente di ciò che indossava aveva l’aria di costare meno di mille sterline. No, erano il suo aspetto e il suo portamento, che nemmeno l’ubriachezza evidente riusciva a vanificare del tutto. La sua faccia sembrava ritoccata al computer, troppo regolari i lineamenti, troppo fini, non fosse stato per quella bocca esageratamente carnosa, che si schiudeva a rivelare i denti candidi mentre gli rivolgeva un sorriso sbilenco.
“Hai un giubbotto bellissimo” gli aveva detto, con un vago accento francese.
“Anche tu hai una bella giacca, bello. Vuoi che andiamo da qualche parte a scambiarci i vestiti?” gli aveva risposto Mark, tra le risate degli amici, che già lanciavano occhiate prudenti lungo la strada, per accertarsi che non ci fosserobobbies in giro. Ma quello, anziché incazzarsi, aveva riso a sua volta, strizzando gli occhi blu, e aveva risposto sì, magari perché no?
Detto fatto.
Mark se l’era portato via. Una preda come quella non andava divisa e poco male se i ragazzi se la sarebbero presa. No, il biondo lo aveva scelto, e lui avrebbe fatto tutto quanto fosse stato necessario per concludere in bellezza quella promettente serata.
“Non vuoi che ci divertiamo insieme?” gli sussurrò, più dolcemente, passandogli la mano intorno alla nuca. Quello reclinò il capo all’indietro, socchiudendo gli occhi e cercando quel contatto come un gatto che volesse carezze. Che fosse un frocio di merda Mark lo aveva già capito, ma francamente due colpi a un tipo simile non avrebbe avuto problemi a darli, prima di pestarlo a dovere e lasciarlo in mutande in un vicolo.
“Ok, ti porto dove possiamo stare tranquilli” riprese, incoraggiante, deviando dell’ingresso del locale e incamminandosi lungo il Long Acre. Nessuno faceva caso a loro. Due ubriachi che procedevano allacciati sul marciapiede erano meno rari di fili d’erba in un prato. Certo, il fatto che uno fosse vestito da motociclista e avesse l’aria di chi non dorme in un letto da giorni e l’altro sembrasse uscito da Vogue-Uomo avrebbe potuto saltare all’occhio. Ma non a Londra, evidentemente.
Mark imboccò all’improvviso uno stretto vicolo il cui accesso risultava quasi invisibile dalla strada. Londra era zeppa di posti simili. Secoli passati a curare solo la facciata delle case avevano fatto sì che dietro di esse si sviluppasse un dedalo di viottoli ciechi e cortili di servizio, in cui la servitù poteva muoversi indisturbata senza infastidire troppo i signori con la propria vista degradante. A Mark, che di quei secoli non sapeva nulla, rimaneva il retaggio di quei budelli oscuri, come buchi scavati dalle tarme in un bel mobile pregiato. Utili se dovevi fare qualcosa che gli altri non dovevano vedere. Perfino i rumori della strada sembravano più lontani, attutiti dai muri di mattoni anneriti e freddi. Contro uno di quei muri depositò lo straniero.
“Qui ti piace?” si informò, appoggiandosi alla parete di fianco a lui e afferrandogli il mento con la mano. Quello si abbandonò contro il muro con un sospiro, segno evidente che non aspettava altro che quell’intimità. Mark gli fece scivolare la mano dal volto al cavallo dei pantaloni, stringendogli il membro attraverso il tessuto. Non era un finocchio, non aveva intenzione di sprecare tempo in preliminari inutili, anche se un pompino da quelle labbra carnose non gli sarebbe dispiaciuto. Lo afferrò e lo girò, faccia al muro, armeggiando con i suoi pantaloni, schiacciandolo col proprio peso. Lo straniero era docile nelle sue mani, accondiscendente. Quando Mark affondò il volto nell’incavo del suo collo si inarcò contro di lui, cercandolo con voluttà.
Considerata sufficiente quella pantomima, Mark si slacciò i pantaloni e fece per abbassare quelli dell’altro. Ma la mano dello straniero lo fermò. Una presa salda, inaspettatamente forte per dita affusolate come quelle.
“Che ti prende adesso?” grugnì, tornando a strusciargli la bocca contro il collo e riprovando a calargli i pantaloni. La presa si fece più forte, al punto che Mark avvertì un inaspettato dolore. Reagì con rabbia, afferrandolo per la nuca e bloccandolo, allargandogli le gambe con brutalità. Poi si sentì scaraventare contro la parete opposta e il mondo gli esplose intorno, quando la testa cozzò violentemente contro i mattoni. Fu solo un attimo e subito reagì, scagliandosi contro l’uomo che ora lo fronteggiava sorridendo nella penombra. Cercò di cancellare quel sorriso con un pugno ma quello fu veloce, troppo veloce a scostarsi, e di nuovo il polso di Mark fu stretto in una morsa di ferro. Questa volta l’osso si spezzò come un ramo secco strappandogli un grido subito soffocato dall’altra mano dello straniero che gli afferrava il collo, inchiodandolo contro la parete scabrosa. Non smise di scalciare e divincolarsi nemmeno quando l’oscurità calò come un sipario davanti ai suoi occhi. Vagamente percepì la presa sulla sua gola sciogliersi, mentre lo straniero gli si faceva più vicino, piegandogli la testa di lato.
“Che bel giubbotto, Mister. Vuole lasciarlo a me?”
L’addetta al guardaroba dello Steel flamingo gratificò il nuovo cliente con un’occhiata di evidente apprezzamento. Tipi così saltavano all’occhio. Era quasi sicura di aver già visto in giro quel viso mozzafiato, quei capelli biondi. Magari era un attore, accidenti a lei e alla sua poca memoria. Il giubbotto di pelle indossato sulla camicia di seta gli conferiva un aspetto trasandato e sexy.
“No, cherie, ci mancherebbe!” le rispose lui, rivolgendole un sorriso da cherubino. E aggiunse strizzandole l’occhio: “L’ho appena preso, lasciamelo sfoggiare un po’.”
Così dicendo si inoltrò nel locale gremito.
2
Raistan Van Hoeck arrivò allo Steel flamingo in uno stato d’animo decisamente poco accomodante. La serata, che avrebbe dovuto essere di puro svago, si era trasformata in qualcosa di surreale non appena aveva individuato il soggetto adatto a fargli da cena. Un junkie, accidenti a lui. Per colpa di un junkie del cazzo aveva quasi rischiato di farsi pestare come un tamburo e si era strappato il cappotto di pelle. E lui adorava il suo cappotto, rubato a un ufficiale nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.
Stronzo. Dov’erano finiti i vagabondi di una volta, così arrendevoli?
Aveva scovato il bastardo nella fogna di Vauxhall Arches, dove spesso si spingeva quando voleva andare fino in fondo senza preoccuparsi di incantare le sue vittime; il tizio, tuttavia, dopo essere stato svegliato con un calcio, aveva sfoggiato uno scatto degno di un velocista ed era schizzato via come se avesse atteso da sempre un’evenienza simile. Raistan aveva riso, lì per lì; aveva persino atteso qualche istante, prima di lanciarsi all’inseguimento, mentre le anime perse che trascinavano la loro triste esistenza in quel posto alzavano a stento la testa dai loro materassi luridi. Un po’ di movimento prima di cena era quello che ci voleva, per stimolargli l’appetito.
Nella penombra perpetua di quell’anticamera dell’inferno, il vampiro si era messo a correre, scandagliando con lo sguardo le nicchie colme di oscurità per individuare la sua preda. Avrebbe potuto prendere qualcun altro e non sprecare tempo, ma ormai era una questione di principio: nessuno sfuggiva a Raistan Van Hoeck, se non era lui a deciderlo.
“Ragazzino… dove sei? Perché scappi? Volevo solo chiederti un’informazione, non essere timido… andiamo, vieni fuori… Ti mostrerò qualcosa di bello, ti piacerà, vedrai…”
La sua voce rimbalzò in modo sinistro contro le volte degli archi da cui il posto prendeva il nome, ma ebbe in risposta soltanto silenzio. Poi, un rumore metallico, come una lattina che viene calciata, lo fece voltare di scatto, tutti i sensi all’erta, un ringhio affacciato appena al di là delle labbra. Ed ecco lì lo stronzetto, di nuovo in corsa. Raistan si lasciò sfuggire una risatina soddisfatta e scattò in avanti.
Arrivato a un punto in cui la strada si diramava in due bracci, dovette di nuovo fermarsi e mettersi in ascolto. Udì il brusio del traffico, come un cupo sottofondo, lo scalpiccio dei topi in cerca di cibo, proprio come lui, lo sgocciolare di vecchie tubature, ma nient’altro. Alzò la testa e chiuse gli occhi, affidandosi all’olfatto. Non che fosse facile distinguere l’odore dell’umano nel tanfo di sporco e umidità che ammorbava l’aria. La sua pelle lo aveva assorbito, regalandogli ulteriore invisibilità. Quel piccolo figlio di puttana gli stava facendo perdere la pazienza, adesso e di certo Raistan non aveva voglia di diventare altrettanto puzzolente.
“Avanti, fatti vedere, codardo che non sei altro. Non costringermi a venirti a prendere con la forza, non ti divertiresti in quel caso. Ti do cinque secondi, dopodiché, quando ti avrò trovato, ti farò male. Molto male.”
Cassoni dell’immondizia alla sua sinistra, in una fila interminabile. Sta a vedere che…
Raistan sollevò di scatto il coperchio del primo, trattenendo il fiato per sopportare la zaffata di marcio che gli diede il benvenuto. Scrutò all’interno, spostando qualche sacco, ma non vide niente e passò a esaminare il secondo e poi i successivi. Ogni volta, lasciava ricadere il coperchio con gran fragore, sempre più irritato. Se quel topo di fogna si era nascosto lì, ed era propenso a pensarlo, voleva che lo udisse arrivare. Voleva che si sentisse sempre di più in trappola, consapevole del fatto che la morte si stava avvicinando e lo avrebbe preso. E non sarebbe stata rapida e misericordiosa. Cazzo, gli avrebbe strappato le braccia e le gambe per tutto il tempo che gli stava facendo perdere.
Al sesto bidone, quando si costrinse di nuovo a respirare per cercare la traccia del suo odore, si convinse di averlo trovato. Balzò sul bordo metallico e si acquattò buttando fuori i sacchi a uno a uno, scostando con nervosi scatti del collo i lunghi capelli biondi che spiovevano in avanti. La saliva gli colava dalle labbra senza che lui ne fosse consapevole, la sua parte umana del tutto sopraffatta da quella animale, quella che bramava il sangue e non si sarebbe fermata fino a che non lo avesse ottenuto.
“Il vento dell’Est sta arrivando, stronzetto… sta venendo a prenderti…”
E poi, l’inaspettato.
Nel momento in cui il suo sguardo aveva incontrato gli occhi sgranati del ragazzo, quello gli aveva scaraventato addosso un sacco di rifiuti e gli aveva fatto perdere l’equilibrio. Il bordo scivoloso del cassonetto non era stato d’aiuto e Raistan era caduto all’indietro con un ruggito indignato, mentre il lurido verme, sleale fino al midollo, ne era schizzato fuori come un pupazzo a molla da una scatola e gli era atterrato in pieno petto con le sue vomitevoli sneakers. Aveva schivato per un pelo la mano del vampiro che tentava di chiudersi sulla sua caviglia, sputando terribili imprecazioni in una lingua sconosciuta, poi si era rimesso a correre, ma aveva anche portato le dita alla bocca ed emesso due fischi acuti.
Gli archi avevano come preso vita e dalle pozze di oscurità erano sbucate figure spettrali, armate di bastoni e coltelli, che avevano creato una barriera tra il ragazzo e Raistan, che per la prima volta aveva provato una staffilata di paura. Non gli piacevano gli assembramenti di umani, specie di gente armata. Gli portavano alla memoria ricordi atroci.
“Cosa credete di fare, insetti? Allontanatevi e forse vi risparmierò la vita. Voglio solo lui.”
“Avrai altro, stronzo. Questa è casa nostra e gli intrusi fanno una brutta fine. Scommetto che sei tu che hai ucciso Little Mary, Scrooge e Silent Bob” disse un uomo incappucciato di età indefinita, muovendo un passo verso il vampiro.
“Puzzavano di merda come te? Allora è probabile. Allontanatevi, è l’ultimo avvertimento che vi do.”
L’aura negativa si levò da Raistan come un’ondata, investendo i senzatetto e facendoli indietreggiare di un passo. Alcuni lasciarono cadere le loro armi e fuggirono ma la maggioranza rimase, anche se sui volti si potevano scorgere paura e incertezza. Oh, al diavolo. Il gioco non lo divertiva più. Si avvicinò a passo sicuro al capo e si abbassò su di lui per fissarlo negli occhi. Da vicino, molto da vicino. Voleva guardarlo ed essere guardato. L’uomo ricambiò lo sguardo, ma emanava paura come gas velenoso. Il vampiro poteva sentirne odore e vibrazioni e dovette impedirsi di sbavare ancora. Il sangue non era l’unico cibo di cui si nutriva.
“Mi ricorderò di te… Mathusalem. È così che ti fai chiamare, vero? Fai un favore a te stesso. Non dimenticarmi, perché tornerò a cercarti. Adesso ordina ai tuoi uomini di lasciarmi passare e ringrazia che non ho voglia di sporcarmi i vestiti con il vostro sangue. E tu, piccolo ratto…” – puntò il dito contro il ragazzino che gli era sfuggito – ci rivedremo.”
Intontito dal glamour, il vecchio poté soltanto obbedirgli e la barriera di corpi si aprì per lasciarlo passare. Raistan tirò segretamente un sospiro di sollievo e si dileguò in una ventata.
“Vuole lasciarmi il cappotto, signore?” disse l’addetta al guardaroba, guardando Raistan con interesse. C’era un summit di modelli strafighi quella sera e non l’avevano avvertita? Nel momento in cui il gigante biondo posò gli occhi su di lei, tuttavia, la voce le morì in gola: non c’era niente, in quegli occhi, della dolcezza del tipo che l’aveva preceduto. Puro ghiaccio. E… fame.
“No, sto bene così. Anzi… proprio bene non sto… Sheila. Vorresti aiutarmi a stare meglio?”
“Io… se posso…”
“Oh, certo che puoi. Te la caverai benissimo.”
Con un balzo, il vampiro scavalcò il bancone e abbrancò la ragazza, tappandole la bocca prima che quella riuscisse a emettere il minimo suono. La trascinò nella parte più nascosta del guardaroba e fece uno spuntino, per poi incantarla affinché non ricordasse nulla.
“Ottimo, Sheila, sei stata bravissima.”
L’aiutò a rialzarsi, le leccò il collo per velocizzare la cicatrizzazione delle due minuscole ferite e le spazzolò persino il vestito con una mano. Sheila lo fissava con lo sguardo istupidito di chi si è appena svegliato da un sogno bizzarro. Raistan appoggiò una banconota da dieci sterline sul banco, le fece l’occhiolino ed entrò nel locale.
3
Lo Steel flamingo non era un posto di classe.
Non che fosse propriamente sordido. Guillaume aveva un’idea precisa di come un posto sordido dovesse essere. Avrebbe potuto stillare un freddo campionario dell’evoluzione del genere nei secoli, vantando una gamma di esperienze sul campo pressoché illimitate. Certe cose non cambiavano mai, e tra queste vi era la tendenza all’abiezione e allo squallore che l’umanità sembrava rincorrere da sempre con una convinzione indegna di presunte scimmie senzienti.
Quel particolare locale non era così male.
Vi si muovevano umani a diversi stadi di ubriachezza ed eccitazione, indotta da svariate sostanze o solo da una genuina sovrapproduzione di ormoni stimolata dalla vista di esemplari di ambo i sessi abbigliati con i succinti paramenti della caccia serale. Guillaume non riusciva a smettere di stupirsi di come fosse possibile che, in un’epoca in cui il corpo umano veniva esibito e ostentato in ogni modo e in ogni forma, si potesse ancora trarre motivo di eccitazione da una scollatura o da una maglietta attillata che definiva un torace scolpito o pantaloni che fasciavano glutei marmorei. A lui quelle cose facevano ancora effetto, beninteso, ma come sovente amava ricordare, lui era un gentiluomo d’altri tempi.
Gli umani stavano appoggiati con indolenza al bancone, o sedevano sprofondati nei divanetti che circondavano la pista da ballo. Perché c’era anche una pista da ballo, sissignore, sulla quale corpi discinti e sudati si dimenavano al ritmo di una cacofonia dissonante e fragorosa.
In una parola: perfetto.
Guillaume sorrise soddisfatto, reclinando il capo all’indietro e godendo per un lungo istante delle vibrazioni dei bassi sparati dagli amplificatori che gli attraversavano il corpo trasmettendogli un piacevole formicolio.
Aveva preso posto a un tavolo accanto alla pista, dal quale poteva godere di un colpo d’occhio soddisfacente su tutto il locale. Non che si illudesse di potervi trovare un qualche diversivo alla noia. Ma per quella sera si era già divertito a sufficienza, con quel succulento Mark Norren e la sua inutile forza bruta, l’odore salato del suo sudore e della sua paura, mentre, nell’oscurità del vicolo, a un passo dalle luci di Leicester Square, si scopriva suo malgrado vittima.
Le labbra gli si piegarono in un sorriso morbido a quel ricordo e una ragazza al banco, pensando fosse rivolto a lei, lasciò quasi cadere il proprio drink. Si riprese subito, tuttavia e si diresse decisa verso il suo tavolo, portando con sé un’amica. Un altro aspetto di quell’epoca che lasciava Guillaume incantato e sconcertato a un tempo. L’incoscienza con cui uomini e donne si cercavano, offrendosi con una sfrontatezza inconcepibile fino a pochi decenni prima, almeno fuori dai postriboli e da contesti apertamente votati alla promiscuità. Non faceva certo onore al progresso dell’umanità, ma riecco la teoria dei luoghi sordidi, con tutti gli annessi e connessi.
Il sorriso di Guillaume si allargò, mentre faceva cenno alle ragazze di accomodarsi. Non udì i loro nomi nel fracasso generale. Non che avessero importanza. Richiamò l’attenzione di una cameriera perché portasse loro ciò che più gradivano.
Mentre tornava a rivolgersi alle due graziose creature, rassegnandosi a quello che sarebbe stato probabilmente il suo diversivo per il resto della serata, la sua attenzione fu catturata da una nuova presenza nel locale. Immediatamente i suoi sensi si allertarono, facendo trillare innumerevoli campanelli, come sonagli d’argento di una slitta lanciata in un galoppo sfrenato.
Che altri Immortali fossero presenti nel locale, non si era dato nemmeno la pena di verificarlo. La loro essenza si discostava talmente poco da quella degli umani da rendere fin da subito manifesta la loro giovane età.
Ma l’uomo che aveva appena fatto la sua comparsa dall’altra parte della pista da ballo, beh, era tutto un altro discorso. Improvvisamente l’esito della serata non gli parve più così scontato. Seguì con lo sguardo la sua avanzata, mentre le due ragazze gli si accomodavano addosso pretendendo di far udire le proprie adorabili sciocchezze. Fendeva la folla anonima del locale come una nave rompighiaccio, un araldo argenteo e terribile col capo aureolato da nubi tempestose. Tutta la sua figura emanava forza, brutalità, una spaventosa bellezza. Certo, il lezzo di pattumiera che emanava dalla sua gloriosa figura e che celava in parte il profumo inebriante del suo sangue antico avrebbe potuto scoraggiare un eventuale approccio. Ma Guillaume non era tipo da lasciarsi abbattere per così poco.
Concentrò lo sguardo sull’Immortale scagliando contro di lui una scarica di energia abbastanza forte da ottenere la sua attenzione senza nuocergli.
La reazione non tardò a manifestarsi: Raistan si bloccò di colpo, poi si voltò lentamente nella sua direzione, stringendo gli occhi in due fessure piene di diffidenza mentre sembrava studiarlo, valutarlo. Dentro e fuori.
Il labbro superiore salì a rivelare zanne di tutto rispetto in un’espressione davvero poco amichevole, ma la smorfia fu anche accompagnata da un veloce inchino, in un bizzarro contrasto che confuse e divertì Guillaume. Che diavolo significava un atteggiamento simile? ‘Ti ho visto, riconosco la tua superiore età, ma stammi alla larga perché ti stacco la testa a morsi’? Era una sfida troppo interessante per rinunciarvi.
Continuò a fissarlo anche quando l’altro si voltò, dandogli le spalle, e si diresse verso un divano in penombra. I due originari occupanti fuggirono come se avessero avuto il diavolo alle calcagna non appena ebbero alzato gli occhi su di lui. Ed eccolo lì, stravaccato come se non avesse un problema al mondo, le braccia aperte sullo schienale e le gambe distese davanti a sé, a guardarsi intorno con aria annoiata.
Di tanto in tanto Guillaume lo perdeva di vista per l’andirivieni degli umani sulla pista da ballo ma sapeva che era là. Se si concentrava ne percepiva l’aura potente e malefica e ne era attratto come una falena dalla fiamma.
“Ehi, tesoro, sei molto distratto… che cosa dobbiamo fare per attirare la tua attenzione?” gli chiese una delle ragazze, cercando di farlo voltare verso di lei. Gli sfiorò una guancia con un dito e notò il gelo della sua pelle, ma decise che non era una sua priorità.
“Perdonami, cherie. È che ho visto entrare un… collega e volevo salutarlo. Volete accompagnarmi?”
“Uhm… e dov’è?” chiese la seconda, guardandosi attorno incuriosita.
“È laggiù, vedi? Quello seduto sul divano, tutto solo. Sono certo che potrebbe gradire un po’ di compagnia.”
Le ragazze allungarono il collo per individuare la persona di cui il loro nuovo amico stava parlando, e sgranarono gli occhi quasi in contemporanea: “Quello è un tuo collega? Ci dici dove lavori? Se sono tutti come voi mi faccio assumere all’istante!” disse Megan, la bionda delle due. L’altra, Stacey, ridacchiò e annuì con entusiasmo.
“Temo che non sia così facile, ma possiamo parlarne. Perché voi ragazze non andate avanti? È il ritratto della solitudine, non vi pare?”
Le due ragazze non se lo fecero ripetere. Lasciarono la propria postazione e si diressero verso Raistan, facendosi largo tra la folla assiepata sulla pista da ballo.
4
Raistan le vide arrivare. Le valutò con sguardo del tutto neutro, continuando a sperare di non essere il loro obiettivo, anche se sembravano appetitose e al giusto grado di ebbrezza. Ma era il vampiro a cui si accompagnavano e che era rimasto a osservarlo dal proprio tavolo che lo preoccupava un po’.
Innanzitutto era più antico di lui, e questo comportava una deferenza e un rispetto che non aveva nessuna voglia di manifestare, al momento. Secondo, aveva qualcosa negli occhi che faceva trillare i suoi di campanelli d’allarme. C’era una sorta di feroce… allegria in essi e di bramosia, che gli facevano formicolare i nervi. Cazzo, e dire che la serata era già cominciata abbastanza male…
Si guardò intorno come a cercare una via di fuga, ma era troppo tardi. Non gli rimase che alzare fieramente il capo e gratificarlo con un’altra flessione del busto, appena accennata, anche se non sorrise e continuò a fissarlo negli occhi con atteggiamento di sfida. Sapessi dove vorrei ficcartelo il rispetto, stronzo…
Guillaume rispose a quel saluto sollevando la flute di champagne posata sul tavolo dinanzi a lui e inarcando un sopracciglio con aria serafica. Riusciva quasi a percepire il rancore che scaturiva dagli occhi del vampiro e crepitava attraverso tutta la pista da ballo, fino a lui. In un neonato un atteggiamento così strafottente, seppur malamente mascherato da una deferenza fasulla, sarebbe stato da imputare a incoscienza e ingenuità. Ma quell’essere era antico, Guillaume poteva percepirlo, e se si preoccupava così poco di mostrare rispetto era perché, evidentemente, sapeva di poterselo permettere. Questo rendeva il gioco quanto mai interessante! Una cosa che annoiava terribilmente Guillaume De Joie era la prevedibilità a cui le regole basate sull’anzianità e l’antichità del sangue condannavano coloro i quali, tra i membri della stirpe, pretendevano di vivere civilmente. Come se non fosse chiaro per chiunque, per i vampiri come per gli umani, che la sola legge a prevalere, alla fine, era quella del più forte. Così era sempre stato, così sarebbe stato fino alla fine dei tempi. Non c’era bisogno della Rinascita per saperlo.
Le due ragazze, nel frattempo, avevano preso posto ai lati di Raistan.
“Non dovresti stare qui tutto solo” osservò Megan, sporgendo le labbra carminio come se consolasse un bambino. “Il tuo amico è preoccupato che tu sia triste. Non vuoi unirti a noi? C’è niente che possiamo fare per farti sentire meglio?” tubò, lasciando scivolare lo sguardo vellutato sulle ampie spalle, sulle quali i capelli ricadevano come un manto argenteo.
Stacey non parlava, limitandosi a sorridere e a spiarlo tra le lunghe ciglia.
Raistan le squadrò entrambe, lasciando che lo sguardo indugiasse sui colli candidi e immaginando di affondarvi i canini, mentre le tratteneva per i capelli. Lo spuntino con l’addetta al guardaroba gli aveva soltanto stimolato la sete e sarebbe stata dura resistere. Indossava le solite lenti a contatto verdi per nascondere le pupille verticali, da rettile.
“Potreste farmi un bel pompino, ma immagino che ci sia un po’ troppa gente, per questo. Dunque no, non potete fare niente per farmi stare meglio e vi consiglio di tornare dal vostro amichetto. Non mi va di fare conversazione e non sono dell’umore adatto per essere gentile. Alzate i vostri bei culetti e lasciatemi in pace.”
Le ragazze lo fissarono per un attimo, incredule, poi si alzarono di scatto dal divano, come se fossero state morse da una vespa.
“Ma sai che sei proprio stronzo?” sibilò Stacey. embrava sul punto di schiaffeggiarlo, ma il gelo assoluto nei suoi occhi la bloccò. Prese l’amica a braccetto e si girò, riattraversando con lei la pista da ballo, ma non resistette alla tentazione di voltarsi e di mostrargli le due dita aperte a V. Raistan le rispose con una strizzatina d’occhio che la irritò ancora di più.
Guillaume, che aveva seguito tutto lo scambio, atteggiò le labbra in una smorfia di delusione.
Non era stato affatto cortese quell’energumeno a rifiutare il suo dono. E il modo in cui si era comportato con le due soavi ninfe delle quali era stato pronto a privarsi per fargliene gentile omaggio non era stato da gentiluomo, no davvero.
“Il tuo amico è un pezzo di merda. Si fotta” dichiarò Megan, lasciandosi cadere praticamente sul suo grembo.
D’accordo, ritirata qualsiasi considerazione riguardo le ‘soavi ninfe’. Ma restava la poca cortesia dimostrata. Mentre Megan gli si strusciava contro come una gattina, lamentando la mancanza di buona creanza del suo presunto ‘amico’, Guillaume valutò oziosamente se fosse il caso di far valere le tradizioni con tutti i loro annessi e connessi. Diritto di anzianità, Maestà, Rispetto. Bla. Bla Bla.
No, non era da lui nascondersi dietro tutta quella sterile burocrazia, né tenere il broncio troppo a lungo. Il vampiro era un tipo tosto, voleva fare il duro? Meglio così! Una sfida senza un po’ di attrito non avrebbe avuto più gusto di una minestra di semolino.
Liberando una mano dall’abbraccio di Megan, che aveva iniziato frattanto a leccargli il collo con diligenza, richiamò di nuovo la cameriera.
Sarebbe stato inutile sperare di trovare in un locale del genere una bottiglia degna di tale nome. Il bellimbusto dall’altro lato della pista avrebbe dovuto accontentarsi.
“Una bottiglia di vodka – sì, era definitivamente un tipo da vodka, o doveva esserlo stato quando ancora l’alcol poteva rappresentare una qualche attrattiva per lui -, la migliore che avete, per il signore laggiù.”
Ciò detto scoccò un’altra occhiata serafica al vampiro dai capelli argentei. Poi posò la mano sulla coscia ben tornita di Megan, insinuando le dita sotto l’abito corto e nascose il volto nella nuvola serica dei suoi capelli, cercando il suo collo con le labbra.
5
Raistan stava giusto valutando se alzarsi e raggiungere il bancone per procurarsi un drink, quando la cameriera gli si avvicinò porgendogli l’omaggio di Guillaume.
“Da parte del signore laggiù, sul divano” cinguettò, spingendo il fianco in fuori, come per mettere in bella mostra la propria merce.
Il vampiro la fissò, lanciò un’intensa occhiata alla bottiglia e poi gliela sfilò di mano con lentezza, come se stesse ancora valutando l’offerta.
Al diavolo, se vuole sprecare i suoi soldi comprandomi da bere non sarò io a fermarlo. Avevo giusto voglia di un goccio di vodka…
“Interessante. Portami un bicchiere e naturalmente ringrazia quel tipo da parte mia. Ma non ti allargare troppo, ok?”
Notando che lo sguardo del vampiro più antico non accennava ad abbandonarlo, alzò la bottiglia in un gesto simile al suo di poco prima, sperando che la questione fosse chiusa.
La sua attenzione tuttavia fu attirata da una staffilata di paura proveniente da un qualche punto del locale, assieme all’odore degli ormoni che la accompagnavano. Con esso giunsero quello della lussuria, della violenza e, sopra ogni altro, l’aroma del sangue.
Non fu l’unico a percepirli: nel momento in cui si alzava dal divano, la testa sollevata per cogliere ogni atomo di quel profumo inebriante e la sua provenienza, anche l’altro vampiro riceveva gli stessi segnali e drizzava la schiena, improvvisamente all’erta.
Con un movimento fulmineo che nessuno colse, il vampiro Olandese si voltò e si diresse là dove la traccia olfattiva lo conduceva, facendosi largo a spallate tra la folla del locale.
Le toilettes.
Quella delle donne, stranamente deserta, in quel momento. Appena si affacciò alla porta basculante, udì i gemiti inconfondibili di una femmina e i grugniti altrettanto inequivocabili di un maschio.
Ti ho detto di stare zitta, troia, o questo culo te lo spacco.
Uhh, situazione interessante. Stupro in corso. Terzo cubicolo da sinistra, impossibile sbagliare.
Raistan si diresse a passo lento e tranquillo in quella direzione, poi bussò alla porta. I rumori all’interno cessarono per un istante, ma non i mugolii della ragazza, come se stesse tentando di urlare da dietro una mano premuta sulla bocca.
Dì che è occupato. Dì che stai male. Se fai la furba ti taglio la faccia, attenta.
“O… occupato…” pigolò una voce dall’interno. “Non… non mi sento bene…”
Altro silenzio carico di tensione. Come in attesa.
Raistan bussò di nuovo, ridacchiando tra sé e sé.
“Ho detto che sto male!” strillò la donna, a un passo dall’isterismo.
Altri colpi leggeri con le nocche, che ottennero l’effetto sperato: il tizio all’interno, probabilmente strafatto e infastidito da quel continuo battere, mise da parte ogni prudenza e spalancò la porta, facendola rimbalzare all’indietro. Si bloccò di scatto, quando si accorse che a bussare era stato un uomo. Raistan inclinò la testa da una parte e lo guardò con un vago sorriso: quella bestia puzzava di fumo e di alcol e aveva gli occhi iniettati di sangue.
“Questo è il cesso delle femmine” disse il losco figuro, ansimando.
Sporgendosi oltre la sua spalla, Raistan sbirciò all’interno della toilette, dove una ragazza semisvenuta, con i vestiti strappati e il viso ridotto a una maschera di sangue stava cercando a fatica di strisciare via dal suo assalitore, ma non trovava la coordinazione necessaria per farlo. Le dita dalle unghie spezzate raspavano il pavimento chiazzato di rosso, mentre dalla gola le sfuggivano penosi lamenti inarticolati.
“Lo vedo” rispose il vampiro. “Anche tu rientri nella categoria?”
La lama di un coltello balenò alla luce fredda dei neon.
“Adesso ti insegno io a impicciarti di cose che non ti riguardano, stronzo.”
“Non vedo l’ora che tu lo faccia” rispose Raistan e sorrise mettendo in mostra i canini in un ghigno indiavolato. Un istante dopo, il cranio del tizio entrò in rotta di collisione con la parete piastrellata di bianco, regalandole una decisa nota di colore con il sangue che ne sprizzò copioso. Il corpo stramazzò a terra con un tonfo sordo e Raistan si pulì la mano sul cappotto. Era un peccato sprecare tutto quel ben di dio, ma c’era qualcosa di più saporito che lo aspettava, in fondo.
Trascinò il cadavere nel cubicolo più lontano dall’ingresso, poi tornò dalla ragazza. Sembrava essersi un po’ ripresa e cercava di risistemarsi i brandelli di vestiti con mosse nervose, il trucco sbavato che si mischiava al sangue.
“Grazie… io… quel bastardo…”
“Dovere, figurati. E conosco il modo in cui puoi sdebitarti” le rispose Raistan, sbarrandole l’uscita con il proprio corpo massiccio. Poi sorrise di nuovo e fece un passo verso di lei, che sgranò gli occhi tumefatti e si mise a strillare un attimo prima che il respiro le si mozzasse in gola per la stretta del vampiro. L’odore del suo sangue era talmente intenso da ubriacare l’Olandese, che si preparò a morderla, le pupille dilatate dalla sete e dalla brama di cibo. Sarebbe stato un pasto soddisfacente, se una voce dalle sue spalle non lo avesse raggelato, con i denti a pochi millimetri dalla gola della femmina.
“Ti ho regalato un’ottima bottigla di vodka. Non trovi che sarebbe educato contraccambiare?”
Non conosceva quella voce, ma non aveva bisogno di voltarsi per distinguere la potente aura che emanava dall’Immortale alle sue spalle. A quanto pare, era giunto il momento di fare conoscenza.
6
Guillaume sorrideva come un venditore di Bibbie porta a porta la domenica mattina.
O come qualcuno che avesse molto da farsi perdonare.
Si staccò dallo stipite a cui era appoggiato, le braccia conserte, e colmò con pochi passi la distanza che lo separava dall’altro vampiro. Mentre lo faceva, i suoi occhi blu seguivano la scia di sangue tracciata dal corpo dell’assalitore fino al luogo del suo ultimo riposo. La bella bocca carnosa si contrasse in una smorfia quando la punta delle sue eleganti scarpe di cuoio, probabilmente italiane, lambì quella traccia fresca. Ma quando sollevò lo sguardo su Raistan sorrideva di nuovo.
“Un bel casino, n’est-ce pas?” commentò, col tono di uno studente che avesse sorpreso un compagno a fumare erba nel bagno della scuola.
Dal momento che il vampiro davanti a lui non dava l’impressione di voler replicare e la ragazza tra le sue mani non era certo in condizione di farlo, Guillaume si risolse a proseguire da solo con i convenevoli.
“Guillaume Marie De Joie, deliziato” si presentò, splendido come una schiera di cherubini. “Anche da te, mia cara, o sono certo che lo sarò tra poco” si affrettò ad aggiungere, strizzando l’occhio alla ragazza.
Niente da fare, il bestione non collaborava. Eppure la sua voce l’aveva fatta udire forte e chiara quando aveva liquidato le due ragazze poco prima. Segno che il gatto non gli aveva mangiato la lingua.
“La tua eloquenza è pari solo alla tua avvenenza” sospirò il francese, lanciando un’occhiata distratta alle proprie unghie perfette. “E vogliamo parlare della tua prestanza? Devo davvero lodare…”
“Sì, tutto molto bello. Che cazzo vuoi?” ringhiò l’altro, arricciando appena il naso e rivelando così in un colpo d’occhio ancora più impressionante le zanne snudate. La ragazza tra le sue mani riprese a dibattersi e pigolare, inutilmente.
Piuttosto scontroso. Un po’ di selvatichezza a Guillaume non dispiaceva, soprattutto se supportata da un’estetica adeguata. Per quanto lo riguardava quell’essere avrebbe potuto esprimersi a grugniti, e ne avrebbe apprezzato ugualmente le indubbie attrattive. Certo, c’era sempre quella questione del rispetto dovuto all’anzianità, che a lui dava tanto l’idea del segnare il territorio col proprio odore. Avvilente.
“Permetti?” Non attese risposta, infilandosi nel cubicolo a sua volta. La situazione si stava facendo sovraffollata, là dentro ma a lui non dispiaceva. Quando allungò le mani verso la ragazza, fece attenzione a non toccare l’altro vampiro. A non toccarlo troppo. Raistan poté notare che dalle maniche del giubbotto da motociclista fuoriuscivano i polsini di seta della camicia color avorio, chiusi da gemelli di granati e argento. All’Olandese fu chiaro che quello che stava garbatamente reclamando era il primo assaggio.
Gli fu altrettanto chiaro che il tipo aveva appena fatto uno sbaglio madornale.
Raistan era solito rispettare i vampiri più anziani di lui, se non altro per evitare i guai che non farlo comportava. Questo non significava che un qualunque stronzo vestito da fighetto potesse fregargli la cena come se niente fosse, età o non età. E vaffanculo alle conseguenze. Di quelle si sarebbe preoccupato dopo.
Si spostò di lato, frapponendosi tra la ragazza rannicchiata in un angolo e il nuovo arrivato, fingendo noncuranza. In realtà sentiva i muscoli tendersi ed era a un passo dal soffiargli in faccia, ma non voleva che il suo gesto fosse scambiato per una manifestazione di paura.
“Perdonami, ma sono un tipo schifiltoso. Non mi piace mangiare gli avanzi altrui. Come hai detto che ti chiami, a proposito?”
“Guillaume Marie De Joie. E io con chi ho l’onore di parlare?”
“Raistan Van Hoeck. Guillaume, uh? Conoscevo un Guillaume. Era un vero pezzo di merda. Gli ho polverizzato un ginocchio con un proiettile esplosivo d’argento solo per divertirmi un po’. E non aveva nemmeno cercato di fregarmi la cena, pensa un po’…”
Gli sorrise, candido. Le luci sul soffitto presero a sfarfallare, mentre i due tizi si studiavano senza muovere un solo muscolo.
“Mai conosciuto un Raistan” affermò Guillaume, dopo mezzo secondo di riflessione. “C’è sempre una prima volta” commentò allegro.
Non aveva smesso di sorridere nemmeno un istante. Eppure c’era qualcosa, nel suo sorriso, che ricordava certe bambole di porcellana bisquit, sinistre, spaventose. Si passò la lingua sulle labbra e solo per un attimo Raistan poté intravedere le punte dei canini farsi più pronunciate. Poi storse il naso dritto e regolare.
“A proposito, sei tu che puzzi in questo modo? Di pattumiera, intendo…” specificò, aggrottando le sopracciglia bionde. “Mi rendo conto che visto il luogo e l’occasione possa sembrare un’osservazione leziosa ma anch’io sono parecchio schifiltoso, sai. Non mi piace mangiare qualcosa che è stato nell’immondizia” concluse, serafico.
Di nuovo il naso di Raistan si arricciò e Guillaume fu quasi certo di averlo sentito ringhiare. La tensione all’interno dell’abitacolo si stava facendo insostenibile.
Il francese fece per parlare ancora ma si zittì udendo la porta del bagno aprirsi sul frastuono del locale. Con la velocità di un respiro s’infilò per intero nel box, chiudendo la porta alla proprie spalle. Per farlo dovette premersi contro Raistan, che nel frattempo si era affrettato a chiudere la bocca della ragazza con la mano. Ora i tre aderivano l’uno all’altro, nello spazio angusto, come una mostruosa creatura tricefala. E la testa che svettava su tutte, quella di Raistan Van Hoeck, ostentava un’espressione a dir poco inferocita. Guillaume sollevò l’indice e glielo posò sulle labbra, facendogli segno di tacere. Non che servisse a molto, a quel punto. Chiunque fosse entrato avrebbe visto il sangue sul pavimento e sarebbe corso a chiamare la sicurezza, ammesso che in quel postribolo ci fosse qualcosa degno di tale nome. Ma la faccia dell’Olandese nel vedersi toccato con tanta confidenza meritava quel diversivo inutile.
“Ma guarda che schifo, ‘sto posto” borbottò una voce femminile oltre la porta. L’alcol rendeva le sue parole incerte.
“Sì, infatti. Tanto vale pisciare nel vicolo” le rispose un’altra voce femminile, ugualmente impastata. Guillaume giunse alla conclusione che la clientela del locale fosse troppo esclusiva perfino per lui. Tutte contessine e principesse del sangue, quella sera!
Le due ragazze lasciarono il bagno strascicando i piedi, ma Guillaume non si staccò subito dall’Olandese. Anzi, al suo tentativo di muoversi premette più forte il dito sulle sue labbra e si strusciò contro di lui sussurrandogli: “Stt… ascolta!”
“Cosa?!” sibilò quello, ogni centimetro del corpo possente teso verso l’unico e il solo obiettivo di saltargli alla gola, al punto che Guillaume si sentì lusingato da tanta attenzione.
Restarono in ascolto entrambi, per un lungo momento.
“Il silenzio” sussurrò infine Guillaume, lo spazio di un respiro tra il suo volto e quello di Raistan. “Non senti com’è bello?”
Questa volta l’Olandese non si limitò a ringhiare. Emise un vero e proprio ruggito, mentre si scrollava di dosso quell’assurdo damerino e lo mandava a rovinare contro la porta del cubicolo con tale violenza da spalancarla.
7
L’espressione di Guillaume era quella di uno che fosse stato invitato a una festa a sorpresa. Si rassettò con noncuranza il giubbotto, tirò fuori i polsini della camicia raddrizzando i gemelli, si passò la mano tra i capelli biondi tirandoli indietro.
Poi si lanciò di nuovo dentro il cubicolo, afferrando Raistan Van Hoeck e inchiodandolo alla parete mentre frammenti di mattonelle schizzavano in ogni direzione.
L’Olandese non parve stupito da quell’assalto. Che fosse un combattente era chiaro, come lo era il fatto che non sarebbe bastata una sola dimostrazione di forza a piegarlo.
Ma Guillaume non aveva alcuna intenzione di piegarlo, no. Lui voleva solo divertirsi.
“Scegli, Raistan Van Hoeck” gli soffiò sul volto, tenendolo bloccato contro il muro. Storpiava leggermente il suo nome, l’accento francese che ammorbidiva le consonanti con un suono di fusa. “Beviamo entrambi da lei dividendocela da bravi fratelli, o tu ti godi il tuo pasto in solitudine, e poi io ti aspetto fuori e assaggio direttamente te. Che ne dici, raggio di sole? Non che la seconda ipotesi mi dispiacerebbe, anzi…” concluse roco. Gli occhi avevano assunto una tonalità d’acqua torbida.
Questo stronzo è pazzo. Ed è anche fottutamente forte, accidenti a lui. Ho la testa che rimbomba come il campanile di Notre Dame…
“Ascolta…” gli disse, stringendosi la radice del naso tra pollice e indice, come se fosse esausto. “…sto cercando di mantenermi calmo. C’è stata un’apocalisse nucleare là fuori, di cui non sono a conoscenza, per la quale questo è l’ultimo essere umano rimasto? Perché in caso contrario non vedo la necessità, per te, di bere proprio da lei. È mia, l’ho trovata prima io. E poi guardala, è pelle e ossa, ce n’è a malapena per uno. Dal tuo odore direi che ti sei già nutrito in abbondanza, quindi perché non mi fai il favore e non ti levi dal cazzo?”
Non fu difficile sibilargli queste parole a un millimetro dalla faccia, visto che erano già a brevissima distanza. Il biondino continuava a sorridergli come se fosse fatto di qualcosa e la pressione della sua mano contro il petto stava iniziando a diventare dolorosa ma Raistan non aveva intenzione di cedere. Non dopo essere stato chiamato “Raggio di sole” da quel frocetto.
“Uhm… non lo so… è che mi stavo annoiando e adesso non mi annoio più. E poi hai rifiutato il mio dono, offendendomi. Avresti potuto averne due, di fanciulle in fiore, ma non le hai volute, quindi mi prenderò anche questa. Ti ho anche proposto un’equa condivisione, ma tu… no, no, è tutta mia! – gli fece il verso, simulando una voce di diverse ottave più bassa – Sai come dicono gli umani? Chi troppo vuole, nulla stringe. Ricordatelo, per la prossima volta… cheri.”
A quel punto fu il ghigno di Raistan a sbocciare, mentre con una mano artigliava i gioielli di famiglia del francese, strappandogli un rantolo: “Il tuo proverbio è sbagliato, fighetto. Qualcosa sto stringendo, adesso.”
Gli occhi blu di Guillaume si spalancarono per la sorpresa e le labbra si composero in una O perfetta. Poi gli angoli della bocca tornarono a incurvarsi all’insù e dalla sua gola scaturì un suono come di metallo tintinnante. Raistan non mollò la presa, ma non poté fare a meno di aggrottare la fronte. Che accidenti aveva adesso da ridere quel matto figlio di puttana?
“Rozzo e affrettato, bifolco” disse Guillaume, senza smettere di ridere. Quando la mano dell’Olandese strinse più forte strizzò gli occhi. “Ma anche un modo molto, molto virile, per farmi capire quello che vuoi.”
“Vuoi startene zitto?” sibilò Raistan, un attimo prima che la testa di Guillaume gli si abbattesse con violenza in pieno volto. Il mondo gli esplose intorno in una conflagrazione di stelle danzanti e avvertì il sapore del proprio sangue invadergli la bocca.
Guillaume arretrò di un passo, senza fretta, sfiorandosi distrattamente la fronte. Un taglio profondo l’attraversava, nel punto in cui aveva colpito la bocca dell’altro vampiro. Sangue scuro e corposo colava sulla pelle candida, fino agli occhi, al naso.
“Guarda che hai combinato!” gemette, mostrando a Raistan il polsino della camicia. Una singola macchiolina di sangue si andava allargando come un fiore scarlatto sulla seta.
Con la stessa mano bloccò il pugno dell’Olandese prima che lo colpisse al volto. Quando strinse, Raistan avvertì il sinistro scricchiolio delle ossa.
“Eddai Van Hoeck” sbuffò Guillaume, imbronciato. “Voglio solo fare amicizia! Vuoi crearmi problemi?” Sembrava davvero dispiaciuto ora, il bel volto striato di sangue atteggiato a un’espressione grave che lo faceva apparire ancora più giovane. “Pace fatta?” propose, prima di lasciare il pugno di Raistan.
“Io invece voglio solo strapparti le braccia. Vuoi crearmi problemi?” gli sibilò in faccia l’Olandese, le labbra spaccate piegate in un ghigno.
8
Intanto la ragazza cercava di incunearsi sotto la paratia del cubicolo per sfuggire a quel consesso di matti, che parlavano di lei come se fosse stata una merendina. Che cosa le doveva ancora succedere, in quella serata del cazzo? Inoltre, un po’ per lo shock della precedente aggressione, un po’ per l’energia negativa sprigionata dai due energumeni biondi (vampiri?!! Non mi farò mai più di quelle dannate pasticche, giuro su Dio!) si sentiva mancare il fiato.Forza… ce l’hai quasi fatta… Il cuore minacciava di schizzarle fuori dal petto, mentre strisciava in avanti una spanna alla volta. Quando varcò il confine tra le due cabine si permise di respirare, poi, servendosi della parete come appoggio, si alzò e uscì zoppicando dalla toilette. Solo allora concesse all’isterismo di prendere il sopravvento e si mise a strillare, attirando l’attenzione di un gruppo di persone che stazionavano indolenti attorno alla pista da ballo.
“Là! Là dentro! Ci sono due… due… mi hanno aggredito…” singhiozzò, aggrappandosi frenetica a un individuo che sembrava appena uscito da un manicomio criminale e aspettava solo qualche diversivo interessante, per menare un po’ le mani.
“Calma, dolcezza, calma. Che cosa ti è successo?”
“Lui… quello… mi ha violentato… e poi loro… quei due… credo che quello alto lo abbia ammazzato… e poi volevano… sono…”
Rendendosi conto delle condizioni disastrose della ragazza, il tipo entrò all’istante in modalità Cavaliere dalla scintillante armatura. Richiamò con un fischio tre amici ben piazzati che si annoiavano quanto lui e fece ruotare le spalle avvolte nel nero della maglietta.
“Ci pensiamo noi, piccola. Nessuno ti farà più del male. John, vai a chiamare gli altri. Lì dentro ci sono due stronzi che hanno bisogno di una bella lezione di galateo. E che mi venga un colpo se non saremo noi a dargliela.”
Quasi nello stesso istante, Raistan, con il pugno ancora bloccato nella presa ferrea di Guillaume, si accorse che la loro allegra compagnia mancava di un membro.
“Ehi. Dov’è l’umana?” disse.
“L’hai lasciata andare?!” rispose Guillaume, perdendo per la prima volta un po’ del suo aplomb.
“È colpa tua, stronzo, mi hai fatto distrarre! Cazzo, adesso andrà a dare l’allarme!”
Non aveva nemmeno finito la frase che furono raggiunti dal brusio di voci irate subito all’esterno della toilette, poi la porta si spalancò con un tonfo fortissimo.
I due vampiri si fissarono per un attimo, poi Raistan abbatté il piede di piatto contro il ginocchio di Guillaume, frantumandogli l’articolazione.
“Scusa se non resto a fare gli onori di casa. Pensaci tu. È stato un piacere conoscerti.”
Mentre Guillaume urlava con le mani artigliate alla gamba e gli prometteva ogni genere di vendetta, l’Olandese schizzò fuori dal cubicolo, barcollando, con il sangue che ancora gli colava dalle labbra spaccate.
“È stato lui! È là dentro, prendetelo! È un pazzo! Oh mio Dio! Oh mio Dio!” urlò, caracollando verso l’uscita e indicando con gesti frenetici il cubicolo che aveva appena lasciato. Uno degli uomini cercò di trattenerlo, ma lui si sottrasse facilmente alla presa e si inoltrò nel night club, per poi dileguarsi.
“Oh, ma guarda cos’abbiamo qui. Pare che tu abbia combinato un bel casino, biondo. Mi sa che devi pagarne il prezzo, prima di finire al fresco. Non sei d’accordo?”
Guillaume alzò gli occhi sul manipolo di umani che lo circondavano e rimpianse di aver scelto lo Steel Flamingo per la sua serata.
Si alzò in piedi, per quanto il ginocchio gli permettesse di fare. Ma non era nelle sue corde permettere a chicchessia di incombere su di lui, non davvero. Il dolore dalla gamba si irradiava per tutto il corpo in scariche di energia cattiva.Molto scorretto, Raistan Van Hoeck. Non avresti dovuto.
Si aggiustò alla bell’e meglio il giubbotto, prima di rivolgere ai quattro umani uno dei suoi sorrisi disarmanti. Ma era evidente che gli animi si erano già scaldati un po’ troppo per cavarsela con quattro moine. Anche di questo avrebbe dovuto ringraziare il suo nuovo amico e le sue false accuse.
“Signori, sono certo che troveremo un modo per risolvere civilmente questa incresciosa situazione.”
Si pentì subito di aver usato il termine ‘incresciosa’. Probabile che quella gente non avesse idea di cosa significasse.
9
Quando dieci minuti dopo attraversò il locale per guadagnare l’uscita, non poté farlo con la velocità ultraterrena che avrebbe usato abitualmente in simili circostanze. Non ci teneva a farsi vedere in disordine e sporco di sangue, anche se solo in minima parte suo, ma il ginocchio era davvero ridotto male.
Megan e Stacey lo scorsero e agitarono le mani in segno di saluto, salvo bloccarsi subito alla vista del suo aspetto disastroso. Lui rivolse loro un cenno distratto e le lasciò con tutti i loro ragionevoli dubbi.
Prima di uscire dal bagno si era ripulito sommariamente, utilizzando l’unico lavandino rimasto attaccato alla parete dopo la colluttazione. Aveva tirato indietro i capelli per impedire che il sangue continuasse a gocciolargli sul volto e aveva dovuto disfarsi della camicia, ormai ridotta a uno straccio zuppo e inservibile. Ora indossava il giubbotto di Mark Norren direttamente sulla pelle, aperto sul petto. Non molto elegante, ma a Londra non ci avrebbe fatto caso nessuno.
Se non altro l’ingegnoso piano di fuga di Raistan gli aveva dato la possibilità di nutrirsi, e in abbondanza. Non aveva potuto fare molto di più, vista la scarsa propensione al dialogo dei suoi assalitori. Qualcuno di loro era perfino riuscito a colpirlo. Colpa del ginocchio inservibile. La cosa lo aveva fatto arrabbiare ancora di più.
Un volta sul marciapiede, levò il volto e annusò l’aria. Certo, sarebbe stato più ragionevole raggiungere la moto di Mark, parcheggiata in fondo alla strada, e allontanarsi in fretta prima che a qualcuno venisse in mente di andare a vedere cosa fosse successo nel bagno dello Steel flamingo.
Ma l’odore del sangue di Raistan Van Hoeck era ancora ben impresso nei suoi canali olfattivi e sarebbe stato un peccato perdere le sue tracce prima di aver appianato le loro divergenze.
A dire la verità gli sembrava di sentirlo così vicino…
“Ehi, fiorellino… ce l’hai fatta a uscire. Vuoi un passaggio da qualche parte? Con quel ginocchio, immagino che tu non abbia voglia di farti una scarpinata.”
Guillaume si voltò lentamente e vide il figlio di puttana dall’altra parte della strada, seduto comodamente a cavallo di una Harley. Non era quella diMark, ma un modello simile. Il bastardo aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro e sembrava di ottimo umore, adesso.
Guillaume ficcò le mani nelle tasche del giubbotto e attraversò la strada, zoppicando né più né meno come un umano.
Per un lungo istante rimase a fissarlo in silenzio, il traffico che scorreva loro accanto come un rutilante e rumoroso serpente.
Poi scrollò le spalle, un gesto talmente umano da risultare spaventoso in una creatura come lui.
“Perché no? Tanto ormai la serata è rovinata, grazie a te. Il minimo che puoi fare è darmi un passaggio” rispose con indolenza, posando le mani sulle ampie spalle dell’Olandese per prendere posto dietro di lui sulla moto. “Ah Dio, questo poi no!…” esclamò subito ritraendosi schifato.
Raistan si voltò a guardarlo con aria interrogativa.
“Che ti prende adesso?”
I lineamenti aristocratici del francese erano contratti in una smorfia che tuttavia non riusciva a celarne l’avvenenza. Era difficile immaginare un frangente in cui Guillaume De Joie non sarebbe comunque apparso scandalosamente bello.
“Hai ancora addosso quell’orribile cappotto col suo tanfo di discarica. Toglitelo. Non mi va di abbracciare un sacco di immondizia” chiarì, petulante. Era in piedi accanto alla moto, le braccia conserte sul petto nudo, i capelli che sfuggivano in avanti.
Rumori concitati giunsero dall’ingresso dello Steel flamingo e la sirena di un’auto della polizia prese a ululare pochi isolati più in là.
Raistan sbuffò. Presto ci sarebbe stato un bel casino da quelle parti. Avrebbe dovuto sapere che aspettare la principessa sul pisello sarebbe stata una pessima idea.
Non c’era tempo per discutere, questo era certo. Si sfilò il cappotto, senza darsi pena di quanto lo infastidisse doverlo fare, lo appallottolo in un fagotto e lo ficcò in una delle borse laterali della moto.
“Contento? Dai, muovi il culo!” intimò a Guillaume. Ma il francese ancora non si muoveva. La vista del petto e delle spalle di Raistan Van Hoeck libere da quella palandrana meritavano almeno un attimo di raccoglimento. Poi, facendo schioccare le labbra, saltò sulla moto e gli passò le mani sotto le braccia, cingendogli il torace.
L’Harley si avviò rombando.
“Dove ti porto?” domandò l’Olandese, prima di partire con un gran fragore. Le sirene erano sempre più vicine e la gente si stava riversando fuori dal locale in preda al panico.
“Imbocca la Piccadilly” rispose Guillame, così vicino al suo orecchio che se nel suo petto avesse albergato ancora il respiro Raistan lo avrebbe sentito caldo sulla pelle.
Ok, datemene ancora e nessuno si farà del male.
Lì amo
Calma. Metti giù la pistola. Le altre puntate sono già nella sezione “pianificazione”. Calma.
Grazie mille! Anche noi ci siamo divertite molto a scrivere di questi due pazzoidi, molto diversi tra loro, ma in qualche modo capaci di completarsi. Da qui il titolo. Il meglio deve Ancora venire! Stay tuned!
Sembra che il nuovo racconto stia assumendo la corposità di un romanzo breve…
L’ho letto tempo fa e subito adorato.
Ce ne sono altri tre in programmazione (più la seconda puntata di questo primo racconto). Federica e Lucia sono al lavoro sul nuovo racconto (molto lungo…).
Molto lungo e molto intenso, sia a livello di azione che di sentimenti. Personalmente, non vedo l’ora di farvelo leggere.