Babette, stai scherzando vero? Valorizzare la professionalità? No dico, non mi piratano nemmeno, non mi bloccano, non mi affossano. Io sono di rigore tra le hobbiste.

Il mio primo libro come Colette Kebell (Senza tacchi non mi concentro!, n.d.r.) è una storia d’imprenditoria e amicizia, due temi a me molto cari. Non lasciatevi ingannare, non è uno shopaholic, c’è una storia d’amore, ma è solo una parte della vicenda. Allora, ho scritto un libro, ho avuto qualche recensione, ho guadagnato qualche soldino.

La realtà dei fatti? È un hobby, c’è chi spende soldi per andare a sciare, chi dipinge quadri a casa propria, chi fa il decoupage. Io faccio anche la pizza in casa, ma non sono una pizzaiola; di sicuro non è la mia professione.

E invece chi scrive sembra diventare immediatamente e di diritto un autore. Non me la sento di parlare di professionalità di autrice, scusa Babette. Qui, a casa mia, non c’è nulla di professionale.

Scrivere può essere un hobby costoso o dare anche qualche soddisfazione in termini monetari. Di fatto se consideriamo un libro un prodotto (e lo è), valgono le semplici regole finanziare che applicheremmo per qualunque altra impresa. La pizzeria, ad esempio.

Fate una pizza schifosa? Ne venderete un po’, ma dato che i clienti non sono scemi, non ritorneranno. Avete una pizza che è favolosa? Bene, ma se i camerieri sono dei tagliagole, o se la vostra pizzeria è proprio di fianco a cento altre pizzerie, farete fatica. Anzi, probabilmente fallirete. Il problema è che gli autori, a differenza delle pizzerie, non falliscono mai. Gli hobby non falliscono, semplicemente non hanno successo. E se un hobby non porta al successo si rivedono le aspettative, di solito al ribasso. Probabilmente molti di voi avranno un primo lavoro, quello che genera reddito, e la scrittura è un’attività secondaria. Una pizzeria che vende pizze a 99 centesimi l’una, o ne vende migliaia o chiude, perché non può sostenere i costi.

Lo stesso accadrebbe se cercassimo tutti di vivere di scrittura: la gran parte chiuderebbe bottega e sarebbe costretta a fare altro.

Per riprendere il concetto, il minimo sindacale per definire un libro come tale è costituito da: forma corretta, buona copertina, sinossi chiara, storia accattivante. Senza quegli ingredienti, di fatto si sta tirando un pacco al cliente. I lettori non sono stupidi e alla lunga chi vende un prodotto scadente si mette fuori mercato. Va anche detto che un prodotto noioso ottiene lo stesso effetto, ma questo è un altro discorso.

C’è stata una lunga discussione ieri sui libri a 99 centesimi. Hanno un loro essere, sollecitano l’acquisto compulsivo, ma dato che stiamo trattando l’argomento “professionalità’”, far diventare la scrittura  a 99 centesimi una professione richiede un venduto notevole.

2 libri all’anno che vendono 20mila copie e che continuano a vendere 5000 copie gli anni successivi. Dopo 4 anni si arriva a circa 15mila euro all’anno e a quel punto si può parlare di professione.

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16665857_451413858582899_6648111826918291217_oIeri ero al supermercato e sono passata di fronte al settore delle patatine. Patatine Mc Coy, un pacchetto a una sterlina e settanta. Come metro personale per valorizzare la mia professionalità, ho indicizzato i prezzi dei miei libri alle patatine. Semplice: potrei rendere i miei libri più appetibili delle patatine, ma ho deciso altrimenti. I miei libri costeranno sempre qualcosa in più. Le patatine McCoy vendono a 1.80? Bene, il mio libro va a 3 euro e venti. Scendono a 1.70? 2.99.

Anche il prossimo, che è più una novella che un vero romanzo, verrà venduto a 1.99.

Tenete presenti le patatine, sono un argomento importante.

Se si parla di professionalità, allora valgono le regole di qualsiasi professione: entrate, uscite, guadagno. Se si parla di hobby, vale qualsiasi cosa: basta che mi leggano, basta che mi ripaghi la copertina o il copyedit, basta che mi faccia sentire migliore degli altri, scrivo per piacere personale. Tutti validi motivi per un hobby.

Se non fosse che noi hobbiste stiamo uccidendo un mercato, e lo stesso mercato ospita gli hobbisti e i professionisti. Ce la possiamo raccontare, ma con le tonnellate di libri a 99 cent (libri buoni e cattivi) stiamo abituando il pubblico ad aspettarsi quel prezzo. C’è un pubblico che spende 9.99 per un libro mezzo vuoto di Fabio Volo, gente che spende 700 euro per un iPhone (=2000 libri a 99 cent). Ricordo che Apple ha 247 miliardi di dollari in contanti, e c’è gente che fa la fila per comprarne uno nuovo quando quello vecchio funziona benissimo. Andate a leggere le recensioni su Amazon di quel libro di Fabio Volo: una mi ha colpito in particolar modo. Un tizio si è lamentato per il prezzo troppo alto e poi ha detto: non mi sarei lamentato se fosse costato 3 euro. Ripeto 3 euro. Riflettiamo un momento su questo.

Ci sono anche i lettori accorti, per carità, ma anche quelli poi si aspettano 99 centesimi. Il tutto grazie al nostro Hobby.

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E questo ci porta a un’altra questione, quella dei 99 centesimi. Se non lo metto a 99 centesimi, non vendo. Sono balle. Di fatto, se prendiamo una piattaforma di pubblicazione come smashwords.com, che rivela i propri dati, si scopre che ci sono più download a 2.99 che a 99 cent. Allora se non si vende a 2.99 il motivo non è il mercato, non ancora. C’è qualcosa di sbagliato nel nostro libro. Lo dico per la poca esperienza che ho, da hobbista. Ho scritto un altro libro sotto pseudonimo: a 2.99 non vende. Le motivazioni? Semplice, c’è un difetto nel libro. L’argomento, la copertina, la sinossi, lo stile; non ho ancora capito cosa, ma di sicuro non è colpa del pubblico. Infatti ne ho scritto un altro che vendo a 4.99 e non va affatto male. Se ci riesco io a 4.99, ci possono riuscire anche altri. Ma bisogna guardare bene i nostri lavori e decidere se stiamo frustando un cavallo morto cercando di farlo correre più velocemente o se abbiamo tra le mani un campione.

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Ci sono poi altre giustificazioni: ah, ma la Newton mette tutto a 99 centesimi. Qui si sta confondendo un’azienda con una scelta individuale. Vi ricordate delle patatine menzionate sopra? I produttori di patatine abbattono il prezzo quando vogliono evitare che un nuovo concorrente entri nel mercato: di fatto, facendo sconti affossano la concorrenza. O abbassano i prezzi per guadagnare una fetta di mercato. Se avessi una casa editrice, probabilmente farei come la Newton: la gente dice, a parità di prezzo (99 centesimi), compro dalla Newton invece che da un self published. Avete svegliato un mostro, che adesso butta fuori libri a 99 cent e, scusate, ci sta inculando alla grande. Tanto di cappello! In un settore poco innovativo, la Newton si sta riappropriando di una fetta di mercato, quella che i self avevano conquistato con sudore. Grazie a tutti quelli che scelgono il prezzo di un libro a seconda della luna calante, delle paure personali, delle insicurezze irrisolte invece di fare una valutazione basata sui numeri.

Volete sapere una verità? Non è il prezzo che fa vendere il vostro libro, di sicuro non sono i 99 centesimi. Quello che fa vendere è raccontare balle al consumatore, o se preferite, raccontare loro una bella storia. E più le balle sono grosse e consolidate, già sentite, meglio è. Magari vanno presentate in modo diverso, ma il senso è quello.

Credete veramente che la maggioranza compri un libro perché è grammaticalmente corretto? Perché avete fatto ricerca? Perché ci avete lavorato sei mesi?

La gente crede al bianco che più bianco non si può, crede che un vino abbia più sapore se bevuto in un bicchiere che costa venti euro, compra le Nike a 100 euro (costo di produzione molto inferiore) perché anche loro hanno bevuto la storia del Just Do It, salvo poi indossarle per andare al supermercato invece di usarle per andare a correre. Mette un iPhone 6 perfettamente funzionante in un cassetto e va a comprare il nuovo modello perché qualcuno gli ha messo nella testa una storia. Lo sapevate che, qualche anno fa, la Ford Mondeo era esattamente uguale alla Volvo v70? Appartenevano entrambe alla Ford e condividevano parecchio, a parte il prezzo, maggiore per la Volvo. È la storia ad essere diversa. E via di questo passo. Crediamo ai mulini bianchi, a Cracco che dice che “La cucina ha bisogno di audacia” come pubblicità delle patatine San Carlo. Patatine=>audacia. Che c’azzecca?

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Fabio Volo vende libri semivuoti perché ha venduto, o la gente crede che venda, “common sense”, buon senso. (vedere recensioni sopra).

E allora forse non abbiamo imparato a scrivere le storie giuste. No, non mi riferisco al romance, al fantascientifico, erotico, distopico o altro. Forse non abbiamo una storia avvincente sul perché dovrebbero comprare i nostri libri. Marketing e finanza. Anche quello aiuta a valorizzare la professionalità.

Notate che non ho detto una parola sulla dignità.