Argomento serissimo questo mercoledì: la violenza (descritta) in tre generi: il giallo, il thriller e il noir (con qualche digressione da parte delle addette ai lavori per il mafia romance e il dark).
Apre le danze Ornella Albanese con una suggestione tratta da un grande classico: Considero emblematica la scena di un film di Hitchcock: Il sospetto. Quanta suspense è riuscito a creare con un bicchiere di latte? Conteneva del veleno, e lui, inserendo una piccola lampadina nel latte per renderlo luminoso, ha creato una scena terrorizzante. Un bicchiere di latte e una lampadina.
Macrina Mirti: Non amo la violenza, anche se, dal momento che scrivo anche gialli e noir, studio i diversi modi per uccidere il prossimo. Nei gialli c’è sempre almeno un morto, ma se proprio devo organizzarne la fine, preferisco farlo con il veleno. In “Finché morte non ci separi” c’è una scena di avvelenamento piuttosto brutale. In realtà, io preferisco scrivere di ciò che esiste “oltre” la violenza, cioè del modo in cui la morte arriva o del momento in cui le vittime sono state già uccise. E credetemi, è già orribile senza stare a descriverne l’attimo. Oggi vedo che in molti gialli, sulla scia di alcuni noir di successo, ci si compiace di descrivere il momento dell’omicidio. Non mi piace. Il giallo riguarda l’investigatore che indaga, e non l’assassino che uccide. In certi romanzi, si rischia di farne un eroe. E poi, anche nell’horror, non è la violenza in sé a fare paura, ma la sua attesa, il sapere che prima o poi si scatenerà qualcosa di terribile, ma non si sa né il quando né il come. Un po’ come l’erotico, se volete.
Linda Lercari: Lo chiedete a me che ho descritto come il Killer di “Invisibile” punisce tre ragazzini che stanno per dar fuoco a un gattino con la benzina? E, sì, l’ho scritto con sommo piacere! Non che farei mai quello che ha combinato il killer, ma il messaggio era “non fate agli altri ciò che non volete venga fatto a voi, soprattutto se incappate in un pazzo pericoloso e con un senso della giustizia tutto suo”. Penso che la violenza non debba essere fine a se stessa per il gusto di inorridire o sgomentare, ma debba sempre essere utile alla storia e contenere un significato profondo, altrimenti sono parole buttate.
Amalia Frontali: La violenza nei gialli (in senso lato) per me è come il sesso nei romance, bisogna saperla scrivere. Deve essere adeguata all’ambientazione e deve essere funzionale alla trama e al contesto, ma bisogna anche saperla narrare, con il linguaggio adeguato e con la capacità di dosare la violenza narrata e quella suggerita.
Uno dei romanzi letti negli ultimi tempi che ha un ottimo equilibrio non è un thriller, ma un diario e la violenza è quella subita. Facilissimo indulgere al patetico, ma l’autrice ha una penna di incisività rara e si mantiene sul confine del non descrivere per forza e del non mostrare mai un eccesso di partecipazione, sicché la brutalità per contrasto emerge ancora più chiaramente. ll romanzo è “la mia lotta per la libertà” di Yeonmi Park.
Tornando ai gialli/thriller/noir, toccare le mie corde di paura – esattamente come quelle erotiche – è difficile. Mi sconvolgo poco e mi annoio facilmente, quindi lo scrittore deve saperci fare. Niente è peggio dei serial killer super-gore che ti fanno sbadigliare.
Sono assai più sensibile alla violenza verbale e soprattutto morale, che scatenano quasi subito l’immedesimazione e l’effetto disturbante.
Non sopporto, non sopporto proprio, ed evito di leggere, romanzi che parlino di violenza sugli animali e sui bambini. Con rarissime eccezioni.
Un’altra cosa che mi disturba è quando la violenza è veicolo di piacere. Nella deriva erotica molto di moda, si tende a usare un lessico erotico anche per la violenza, il che, a meno che la penna non sia sopraffina (Patrick Süskind) mi fa chiudere il libro.
Come scrittrice, vado meglio con la violenza che col sesso, penso sia colpa (merito?) dei gioco di ruolo.
Stefano Di Marino: Sicuramente nel genere che pratico, il thriller spionistico e avventuroso, la violenza fa parte di quei fattori che sono ineliminabili. Il lettore cerca azione, quindi anche violenza. Per mio conto cerco sempre di coreografare le scene d’azione che a volte possono essere anche molto cruente, per dettagli e immagini evocate (Sam Peckinpah è il mio nume tutelare in merito), ma sono concepite come confronti sportivi. Mi spiego. Non mi piacciono e mi danno anche fastidio le scene di violenza in cui una delle parte subisce. Nella realtà, sono i casi più frequenti ma la fiction è tale proprio perché compie un’astrazione. Per cui se non è proprio necessario evito, e se la trama lo richiede cerco di farlo senza compiacimenti. Il confronto corpo a corpo, la sparatoria ad armi pari invece approdano a un altro livello. Diventano quasi dei balletti. E in quel caso la tecnica narrativa scende nei particolari, a volte anche molto realistici e cruenti, ma che in qualche modo sottraggono la scena alla cruda realtà. Il pubblico mi pare apprezzare.
Maria Masella: Per me è una questione importante, sia come lettrice sia come scrittrice. Butto giù qualche osservazione, soprattutto per chiarirmi le idee.
Comincio dalla fine: dal commento di una collega che si chiede perché non ho citato gli horror. Svista? Rimozione involontaria? Esclusione volontaria?
Potrebbe essere una svista (sono sempre più svanita, pur non perdendo peso), non lo è.
Potrebbe essere una rimozione involontaria (non ho un buon rapporto con gli horror, perché da un lato sono di spavento facile e dall’altro sono di riso facile), non lo è.
Esclusione volontaria? Sì. Perché i parametri di gialli-thriller-noir sono diversi da quelli del romanzo horror.
Obiettivo dichiarato del romanzo horror è suscitare paura, spesso irrazionale. Il lettore è di fronte a qualcosa di sconosciuto che non può essere affrontato con gli strumenti della ragione. Poe, Lovencraft: i loro sono horror. La ragione si è fermata. Nell’horror voglio il sangue, la carne maciullata, i vermi nel corpo putrefatto, le puzze e le puzzette.
Nel giallo-thriller-noir la ragione persevera. L’obiettivo non è suscitare paura ma scoprire: 1) nel giallo classico la triade chi, come e perché; 2) nel thriller chi, come e perché, ma le risposte sono finalizzate a impedire che “il delitto” si ripeta; 3) nel noir si presentano le tipologie precedenti, ma l’attenzione è predominante sul perché, sul movente. Quindi analisi psicologica e sociologica.
E la violenza? La violenza è all’origine del delitto nel giallo classico, nel thriller è all’origine e si vuole evitare che suggelli la conclusione della vicenda, nel noir è anche il brodo di coltura in cui è ambientata la storia. La ragione si ferma? No. Ma soprattutto nel noir se ne può evidenziare la momentanea impotenza, “le mani legate”.
Quanta violenza raccontare, quanto sangue far scorrere, quanti dettagli descrivere? Tutto quello che serve, non di meno e non di più. La descrizione della violenza non è un puntello per storie deboli, come l’abbondanza di scene di sesso non è un puntello efficace per romance poverelli.
Capita che in un giallo-thriller-noir abbondino scene violente e ci si accorga che sono fumogeni per nascondere nodi narrativi che l’autore non è riuscito a districare. Si verifica soprattutto nei thriller e nei gialli. Nei noir a volte la cortina fumogena è costituita da pagine e pagine “di analisi sociologiche”.
Sono un’appassionata di teatro: nei classici greci l’atto violento è fuori scena e maledettamente emozionante. Nel teatro elisabettiano si gira intorno alla violenza e quando entra, dopo lunga attesa, è dirompente.
Ho sempre la buffa convinzione che troppe scene violente provochino assuefazione.
Che poi la violenza non sia solo sangue che scorre, ma esista la violenza verbale molto mi piace. Ne uccide più la lingua che la spada.
Quando ho scritto i Maritano ho usato un registro più violento, anche nei dialoghi, rispetto ai Mariani. Questo ha sconcertato alcuni lettori.
Anche su questo sarebbe opportuno confrontarci. Sul cambiamento di registro espressivo pur continuando a scrivere il medesimo genere.
Se fate tap sul nome degli autori, si apre la loro pagina su Amazon.
Qui sotto, invece, le Pagine-Autore delle scrittrici che compaiono solo nei poster:
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