LUCY
Matteo è al settimo cielo. Perché agli uomini la paternità farà quest’effetto? Penso che sia la “sindrome di dio” o “del seminatore”. Dal loro semino nasce un virgulto. Le nostre ovaie sono un mero incidente.
Questa gravidanza è stato un incidente. Decisa a non far più sesso con Matteo e non potendo farlo con Marco, ho smesso di prenderla. La pillola, intendo.
Però non sono riuscita a resistere a Matteo e ci sono rimasta come una collegiale scema.
E neppure lui mi ha chiesto come mai! Eppure, che la prendo lo sa. Un giorno l’ho sondato… — Non ti spiace, sai…
— Di cosa? — stava guardando i risultati di calcio. Avevo scelto un momento soft, qualsiasi discussione l’avrebbe lasciata a livello superficiale.
— Del bambino?
— Quale?
Forse era un momento troppo soft. — Che sono incinta!
Ha posato il telecomando e anche tuttosport, da tenere sott’occhio durante ilcalciominutoperminuto. — Ma figurati! Sono felicissimo.
— La pillola…
— Hai smesso di prenderla, perché avevi deciso di fare il terzo. Sarà una bambina, la chiameremo come Lallina.
Si è anche dimenticato che sono in rotta con mia sorella. Eppure, dovrei perdonarla.
Matteo si è girato, mi ha passato un braccio attorno alla vita, ha dato un colpetto alla mia pancia, ancora piatta. — Ciao, Lallina. Bella stella di papà. — Mi ha pure baciato la pancia.
Il mostro! Ha dato per scontato che volessi fare un figlio, anzi una figlia, anzi una Lallina, proprio con lui.
La mia pancia crescerà. Non ci posso credere. Tutti sono felici tranne io. A Natale si è anche brindato alla nascita.
CLELIA
E Natale è passato. E anche Capodanno e l’Epifania. Il matrimonio con Umberto si farà a maggio. Chi l’ha deciso? Quando cerco di ricordarlo mi viene una gran confusione. Non io, Clelia Samperi. Ma è mai esistita Clelia Samperi?
Dovrei essere felice. Fra pochi mesi mi sposo con un uomo adatto, con piena soddisfazione delle nostre famiglie.
Tutto previsto.
Quando dico che sono fidanzata e non convivo la gente mi guarda come un’aliena.
A Natale, Umberto e sua madre sono venuti a pranzo da noi. Certo, avevo già conosciuto sua madre! Una signora compita, poco invadente, correttissima. Anche affettuosa del tipo “sarai la figlia che ho sempre desiderato”. Che, resti fra noi, ho sempre trovato imbarazzante, come quel “Chiamami mamma”. Io, una madre che decide tutto per me l’ho già.
Tutti mi lasciano libera di decidere tutto. Tutto quello che non decidono loro. La chiesa della Ruta di Camogli: perfetta, panorama mozzafiato, né troppo grande né troppo piccola (sono previsti molti invitati). Rinfresco allo Splendid, adatto per gli ospiti di riguardo che di certo verranno.
Mia madre è incerta fra vestire azzurro polvere o verde salvia. Blu? No, troppo banale.
È stata un po’ incerta per l’abito da sposa: Milano, Roma… Poi “è la scelta che fanno tutte, andiamo contro corrente. Qui a Genova, Carolina Tabor.”
Per le bomboniere Romanengo, ovvio. Ma il Romanengo vero. E non quelle pacchianerie come angioletti di ceramica o di porcellana fasulla. Sacchetti di autentico raso di seta, con cordoncini a coda di topo… Tinte pastello, perché il tutto bianco non usa più. Per quelle di maggior pregio la fermezza sarà d’argento.
Viaggio di nozze? Non hanno ancora deciso.
Tutti dicono che dovrei essere felicissima: lui è così premuroso, innamorato di certo.
Non so se lo amo. Ma in un matrimonio è importante l’amore? Ho provato a chiederlo a mia madre e mi ha risposto che meglio di così non potrei trovare.
E se fossi più felice con uno peggio?
Non ho avuto il coraggio di dirlo, ma lei mi ha letto la domanda negli occhi e ha ribattuto che la felicità non ha niente a che fare con il matrimonio. Nella nostra condizione, sposarsi e sposarsi bene è un obbligo sociale.
Avrà ragione.
Lo amo? Domanda mal posta. Veramente non so se l’uomo che amo è davvero lui, come è lui davvero. Che la Arnolfini sia davvero la strega che lui mi ha dipinto e abbia avvelenato la mela? Non riesco a togliermi di testa quello che mi ha detto.
Ho sbagliato ad andare da lei. Cosa ho ottenuto? Niente. Umberto è stato momentaneamente trasferito ad altra sede, dicono un avanzamento… Mah? In compenso io ho tanti dubbi.
L’altro giorno mi cade l’occhio sulla pubblicità di un’agenzia investigativa.
Io, Clelia Samperi, sono andata. Correttissimi, ufficio pulito, ho esposto il mio problema e l’investigatore, un ex finanziere, non ha mostrato sorpresa.
Volevo soltanto sapere se in un hotel di Saint-Germaine-en-Laye, c’era stata una prenotazione a nome Follini Umberto e Arnolfini Laura.
— Sa il nome dell’Hotel?
— So soltanto che era di lusso.
Mi ha chiesto il periodo che mi interessava. Gliel’ho detto.
Mi ha spiegato che potevano volerci alcuni giorni se desideravo la massima riservatezza.
— Certamente, non ho alcuna fretta.
Invece ho fretta.
Ho la sensazione che maggio sia sempre più vicino. La settimana prossima andrò dalla Tabor a dare un’occhiata… Solo un’occhiata, mia madre mi ha rassicurato: — Se non ti piacciono, Clelia cara, andiamo a Milano o a Roma. Abbiamo tempo, ancora quasi un mesetto prima di prendere una decisione sulla sartoria.
Da qui a maggio ho una tabella di marcia fittissima.
MAURA
Mi guardo allo specchio e mi chiedo cosa mi è successo? Io, Maura, non ho voglia di uscire. Non ho voglia di vedere gente, di conoscere amici nuovi.
Sarà un fatto ormonale: da tre mesi sono più casta di una suora. L’altro giorno ho cominciato a rileggere “Via col vento” e ho pianto. Io, Maura.
Eppure, mica posso andare da Aldo e dirgli “Sono innamorata di te”. Non fosse un amico, potrei. Ma così!
Laura. Laura mi evita. Ci si vede sul lavoro, si parla di lavoro. Lo capisco: deve essere spaventata da quello che mi succede.
Come quando senti che uno ha la varicella… No, la varicella più di una volta non si fa. La scarlattina. Ecco, come avesse paura di pigliarsi la scarlattina. Che anche lei, poveraccia, ha una faccia da far paura.
Appena rotto con quello stronzo di Umberto, era sul ripiggiu. Testa nuova, abiti nuovi, uscire la sera… Casa nuova.
Oh, quella casa! È colpa di quella casa se ho cominciato a vedere Aldo. Prima c’era ma era invisibile. Mi avesse chiamato una volta, dico una volta! Intendo Aldo, eh!
Dicevo di Laura. Sembrava pronta a partire a razzo per una nuova vita, ora si è ammosciata.
Non sul lavoro. Su quello è una specie di fulmine che dove passa lascia terra bruciata. Si spera solo che non stia sublimando le frustrazioni amorose lavorando da dannata.
Deve essere in rotta con la sorella. Me ne ha accennato, l’altra volta. Io, questa sorella non la conosco… Ha buttato là che ha problemi amorosi. Subito ha cambiato discorso come fosse sul bordo di un precipizio. Ha paura di parlarmi di problemi amorosi. Non parlare di corda in casa dell’impiccato.
Sono sola come un cane.
LAURA
Venerdì sera
Fine gennaio. Giorni della merla. Qui, a Genova, sono i giorni più freddi, arriva la solita aria dalla Siberia. Sa di neve, anche quando non nevica. L’epidemia di influenza è al top.
Tutti quelli che conosco hanno già preso l’influenza e parlano solo di come sono stati male o di come stanno male.
Mi sento un po’ in colpa per essere stata scansata dai virus. Neppure l’antinfluenzale ho fatto: all’epoca ero sotto l’influsso di Umberto e lui era contrario.
Mi sento un po’ in colpa perché dovrei stare bene (non ho l’influenza) invece sto male. Forse perché l’effetto silenzio nella mia vita sta aumentando.
Maura: ho paura di parlarle, perché non voglio metter mano alla sua vita. Aldo pure.
Però ho chiamato Pupa. Segreteria telefonica: lascio messaggio, ma senza grandi speranze.
Infatti, non richiama.
Mi sento moscia e melanconica. Non è il mio genere. Mi capita la tristezza e l’incazzamento… Non la melanconia, non lo spleen. Sono strana.
Anche se è venerdì sera non ho voglia di uscire. E non è per il freddo. Preferisco il caldo, ma un po’ di freddo non mi ha mai fermato.
Uscire e andare dove? Con chi?
Gli anni con Umberto mi hanno fatto tagliare tanti legami che, anche se tenui, tutti insieme costruivano una rete di salvataggio. Dopo aver rotto con lui ho legato con Maura e il suo giro. Ma ora con Maura ho proprio paura. E se le combino un disastro come con Lucy?
Potrei rendere umana la mia casa. Non ne ho voglia.
PUPA
Laura ha richiamato, ero fuori e mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria “Ciao Pupa sono Laura mi richiami?” detto tutto di fila senza prender fiato.
Insiste.
Ho smesso di fumare da due anni ma ora ne ho proprio voglia. Io non ne tengo, ma Jerry sì. Anche se abitualmente non fuma, ogni tanto ne accende una.
Cerco nei suoi cassetti. Che non le abbia finite!
— Paola…
Mi giro, ero tanto indaffarata a cercare che non ho sentito Jerry entrare.
Devo essere diventata viola, perché mi chiede cosa c’è.
— Avevo voglia di una sigaretta.
Mette una mano nella tasca dell’imper e ne toglie pacchetto ed accendino. Me li porge.
— Non volevo ficcare il naso nelle tue cose.
— Nessun problema, davvero.
Prendo il pacchetto, sto per sfilare una sigaretta. Da due anni non fumo: i primi tempi sono stati duri. Lo so, se ne accendo una, ricomincio. Butto la sigaretta nella pattumiera e rendo a Jerry il pacchetto. — Grazie, meglio di no.
— Come vuoi.
Come vuoi: in due parole il mio rapporto con Jerry. Conviviamo, è molto pratico, così dividiamo le spese. Nessuno dei due si fa illusioni sull’altro. Un po’ d’amicizia, una discreta intesa a letto, quando capita, senza patti di fedeltà reciproca o anche unilaterale. Libertà.
Il rapporto perfetto per una come me.
Nessuno dei due interferisce con la vita dell’altro. Forse ha avuto altre donne, forse è anche innamorato di una che non può avere… Liberissimo! Garantisce anche a me la medesima libertà d’azione e di cuore.
È in quel preciso momento che Jerry si avventura in un territorio proibito. — Cosa ti è successo? Per aver voglia di ricominciare — dicendolo indica il pacchetto rimasto sul comodino.
Secondo le regole non doveva farmi una domanda così. Ed io non dovrei rispondergli, ma è l’unico essere umano che ho a portata di mano. — Una mia amica di tanti anni fa. Avevamo litigato. Ha richiamato.
— Cosa ti ha detto?
Dovrei dirgli che sono cazzi miei. — Segreteria telefonica.
— E non l’hai ancora richiamata?
— No. Penso di non richiamarla. Non è la prima volta che chiama.
Mi gira le spalle, lo sento entrare in cucina e trafficare. — Cosa fai?
— Mi faccio un caffè. Ne vuoi, Paola?
Jerry mi chiama Paola, non Pupa. — Sì, Jerry. — Lui si chiama Gerardo, dice che sono l’unica a chiamarlo Jerry. Gerardo mi fa ridere, a lui fa ridere Pupa.
Prima di andare in cucina passo in bagno, mi guardo allo specchio. Ho la faccia gonfia: devo aver pianto senza accorgermene. Mi rinfresco il viso con l’acqua gelata. Poi mi do anche un colpo di pettine.
Quando entro in cucina Jerry è accanto al fornello pronto a spegnere il gas appena il caffè ha finito di filtrare. Non siamo innamorati, siamo amici, ma appena appena. Dopo un po’ che ci si frequentava, eravamo già andati a letto, ma così, senza impegno, ha detto che cercava casa, anche con qualcuno per dividere la spese.
Gli ho proposto di venire da me.
Risparmio un bel po’. Per i lavori domestici, ognuno pensa alla sua camera e per l’altro si fa una settimana per uno. È abbastanza ordinato. È di aspetto gradevole.
Non si impiccia nella mia vita. Fino a poco fa quando mi ha chiesto cosa mi era successo.
Ha messo sul tavolo due tazzine e la zuccheriera.
Versa il caffè. Devo ammettere che per il caffè ha buona mano, lui dice che dipende da sua madre che è di origine napoletana.
Ci sediamo al tavolo di cucina.
Mi sento già meglio.
— Così non la richiami — è Jerry.
Dovrei dirgli di smetterla, di non impicciarsi nella mia vita, che quello che faccio non lo riguarda… Insomma, dovrei fargli sbattere il naso sul cartello PROPRIETA’ PRIVATA DIVIETO D’ACCESSO. Invece ho quel maledetto groppo dentro. — Vorrei chiamarla, ma mi ha fatto troppo male.
Non commenta. Finisce il caffè, prende le due tazzine (è la sua settimana) le mette nell’acquaio.
Per fortuna che non ha cominciato a chiedermi spiegazioni o, peggio, a dirmi cosa dovevo o non dovevo fare.
La mia vita è la mia.
Me ne vado a letto, ma prima prendo dal cassetto la foto. È bellissimo. Il mio amato irraggiungibile.
Ma perché l’ho incontrato?
E Laura lo sa. Non ha mai detto niente, ma lo sa. Quella volta che mi ha buttato in acqua ad un passo da lui l’ha fatto per aiutarmi a rompere il ghiaccio.
Non voglio romperlo, il ghiaccio intendo, non ho mai voluto. Quell’uomo irraggiungibile è un sogno. È lì e mi tiene caldo. Qualunque cosa accada, quel sogno resta intatto.
Senza, sarei nuda ed indifesa.
Sento Jerry uscire. Mi sento strana… Sola.
LAURA
Da sabato
Certo che ero strana ieri sera, oggi cerco di alzarmi da letto e mi gira tutto attorno. Lumetti e caldo e freddo e anche nausea.
Termometro. Trentotto e sei.
Dai sintomi è influenza. Novalgina.
Precipito in un mondo annebbiato di sogni confusi dove gente che non si conosce si incontra. Mondo capovolto.
In qualche modo riesco, verso sera, a scaldarmi un po’ di latte avanzato con i due biscotti rimasti per non prendere medicine a digiuno. Ma le tazze sporche le lascio nel lavello.
Se continua così lunedì non c’è da pensarci che riesca ad andare in ufficio… Dovrò telefonare… Sulla segreteria una chiamata senza messaggio: ieri sera devo averla lasciata inserita. Controllo chi mi ha chiamata: numero sconosciuto, qualcuno che ha sbagliato. Ma ho esaurito quel po’ di energia che ancora avevo.
Maura. La chiamo per avvisarla. Non riuscissi a chiamare di persona. Probabilmente è fuori, le lascio un messaggio sulla segreteria.
Invece risponde.
— Ciao, Maura.
— Cosa c’è, Laura? Ti sento strana.
— Febbrone, influenza. Lunedì non vengo a lavorare. Se non ce la faccio, li avvisi?
— Ma sì, certo. Ti serve qualcosa?
E non sento più niente.
Buio.
Mi trascino e sono così pesante e anche leggera, fatta d’aria e di piombo. Mi trascino sul letto. Non ricordo niente, non so niente…
— Laura! Laura! Svegliati!
Poi un’altra voce: — Io la tengo su e tu le fai bere il latte.
Apro gli occhi e subito li richiudo. Che chiaro! Ma poi, piano li riapro.
Dove sono? Per un po’ non riconosco la nuova camera… Maura e china verso di me, ha una tazza in mano. — Si è svegliata. — Non parla con me, con chi parla?
— Forse dovremmo chiamare la guardia medica.
La voce la conosco.
— Forse, si riprende, Aldo. — Allora è Aldo che mi sorregge la schiena. — Su, Laura, devi berne ancora un po’.
— Troppo dolce. — Protesto, ma poi butto giù.
— Lo so che non ti piace dolce ma lo zucchero ti tira su, hai avuto un calo di pressione.
Li sento che si affannano attorno a me, cuscini sprimacciati, luce offuscata e tutti quei riguardi verso i malati. E così, mi sono buscata anch’io l’influenza! Come tutti! Rido.
— Se ride, si sta riprendendo — voce di Maura. — Hai preso già qualcosa?
— Novalgina.
— È giusta. — Questo è Aldo, sembra molto competente. — Anch’io ho fatto l’influenza, a me ha fatto bene la novalgina.
Richiudo gli occhi, li sento parlare in lontananza. Poi è di nuovo Maura: — Aldo è andato a comprarti qualcosa, non hai niente in casa.
Vero, pensavo di uscire ieri, poi non mi sentivo in vena e ho rimandato a oggi…
— Non hai niente. Neppure un po’ di latte e dei biscotti.
Aldo e Maura hanno deciso di restare con me a curarmi e tenermi compagnia, da sabato. Penso che abbiano dormito qui. Ora la febbre sta scendendo, mi sento rotta, ma connetto.
Appena ho cominciato a connettere, verso mezzogiorno, ho chiesto come sono arrivati a casa mia.
— La tua telefonata mi ha spaventata — mi risponde Maura. — Mi sono ricordata che Aldo aveva ancora le chiavi, perché doveva aiutarti a tinteggiare la ringhiera del poggiolo.
— Ti ricordi, Laura? — Si inserisce Aldo. — Avevamo sempre rimandato per la mia influenza.
Faccio segno di sì anche se ogni gesto mi costa fatica.
— E così gli ho telefonato, cosa potevo fare? Sono stata fortunata, l’ho trovato in casa.
— Da un po’ ho meno voglia di uscire, si incontra sempre la stessa gente, si fanno le stesse cose… Senza scopo. — Aldo guarda Maura. — Sono passato a prenderla in moto, così abbiamo guadagnato tempo.
— Ci siamo spaventati davvero, Laura.
— Non mi è mai successa una cosa così — borbotto, un po’ a disagio. Sono sempre stata fiera della mia resistenza ai malanni.
— Non farci caso, Laura, capita a tutti di star male — mi conforta Aldo. — Io esco a comprare il giornale e ti noleggio un film. Così te ne stai a riposo e ti distrai.
Senza aspettare risposta esce.
Maura siede accanto al mio letto. — È stato davvero bravo, sai?
— Sì, davvero.
— Non avevo mai parlato con lui. Parlato veramente, solo chiacchiere. La notte l’abbiamo passata a parlare, sai che non ce ne siamo neppure accorti. Parlato e basta, mi credi?
Faccio segno di sì.
— Di tutto, sai? E abbiamo scoperto che abbiamo fatto il Buonarroti negli stessi anni, lui geometra, io ragioniera. E non ci siamo mai conosciuti. E prima che ci fosse da sistemare questa casa non ci eravamo mai parlati davvero…
Fa una pausa.
— Vuole mettersi in proprio. Capisci, Laura? Ha un progetto! Finalmente qualcuno che ha un progetto!
— Ti sei innamorata di quello giusto, allora?
— Direi di sì. — Pausa. — E penso di piacergli. Cosa ne dici, glielo dico?
— Perché no?
— Non mi riterrà sfacciata?
— Maura! Non regredire all’Ottocento, please! Io mi sento meglio. E voi mi lasciate qui, sola.
— Sola?
— Ti fai dare un passaggio fino a casa o dove vuoi. E prendi il toro per le corna.
— Ma stai bene?
— Palle, Maura! Non nasconderti dietro la divisa da crocerossina. Grazie per quello che hai fatto e lascia che sia io a fare qualcosa per te. Punto e stop.
Così li ho mandati via da questa casa, che, a voler essere sincera, è più loro che mia. L’hanno trovata, ripulita, messa in sesto, con amore.
Un’ora dopo che sono andati via ricevo un messaggio sul cellulare. Da Aldo.
“L’ho battuta sul tempo. Ho parlato per primo.”
Faccetta sorridente e cuore.
Sono felice per loro, ancora più triste per me. Brutta cosa l’invidia. Subdola, ti si insinua sottopelle e ti accorgi che c’è solo quanto duole.
PUPA
La telefonata di Laura ha sconquassato la mia vita che scorreva placida.
Ieri Jerry mi ha detto che ha trovato un’altra casa. Ha intenzione di traslocare al più presto. Pagherà la sua parte di spese fino a fine mese. — Tanto un altro lo trovi.
Ha ragione, troverò di sicuro un altro o un’altra per dividere le spese. Ma con Jerry stavo bene.
Chissà da cosa dipende la decisione improvvisa di cambiare casa. Vorrei chiederglielo ma invaderei la sua privacy…
Però lui ha invaso la mia.
Chiederglielo o non chiederglielo?
Lui è tutto allegria e letizia: ha cominciato a fare i suoi bagagli fischiettando.
Tento un compromesso. — La posta dove te la mando?
Mi guarda come fosse scema. — Messaggio e passo a prenderla quando non ti dà noia.
Uomini stronzi! Così, con savoir faire, non mi ha detto dove va a stare.
Uomini stronzi? E da quando Jerry è diventato “un uomo”? Non in quel senso lì, chiaro. Che era uomo con tutta la dotazione standard lo sapevo (funziona anche tutto ok), ma UOMO, nel senso di… Non so neppure io.
E anche sullo stronzo ci sarebbe da discutere: sta ai patti.
Ci giurerei che si è messo con una. E non mi riguarda. Me lo ripeto mentre mi preparo qualcosa da mangiare. Tutta colpa di Laura.
CLELIA
È tutta colpa di Laura Arnolfini. Ero felicemente fidanzata con un uomo apprezzabile. Ora sono fidanzata con un bugiardo.
L’investigatore privato (io, Clelia Samperi, mi sono rivolta ad un investigatore privato! Fatico ancora ora a crederci!) mi ha telefonato, ieri mattina, per comunicarmi che ci sono novità. Gli ho risposto che sarei passata nel pomeriggio verso le cinque.
Con molto tatto mi ha confermato che a Saint-Germaine-en-Laye c’è un solo hotel di lusso, e che nel periodo indicato risulta una prenotata per cinque giorni una suite a nome Umberto Follini e Arnolfini Laura.
Allora la Arnolfini non aveva mentito… Ma continuo a sperare.
L’investigatore continua precisando che la signora ha pernottato soltanto le prime due notti, il signore soltanto la seconda.
Pagamenti separati. Lui ha chiesto un parziale rimborso delle tre notti non utilizzate. Lei no.
Saldo il conto senza fiatare. In borsetta ho infilato senza guardarle le fotocopie dei registri dell’hotel. È stato così zelante da accludere alla documentazione anche un dépliant con la descrizione dell’hotel.
Esco. Mi vergogno. Perché è il mio orgoglio a soffrire e basta.
Cosa devo fare? Vorrei saperlo.
Ho due possibilità: far finta di niente, lasciare che questo matrimonio vada avanti per inerzia. Non mi aspetterò la luna e le stelle e mi accontenterò di qualche brillio.
Oppure dare battaglia. Affrontarlo. Lo farei anche, ma come spiegare alla mia famiglia che siamo stati ingannati? Dovrei raccontare che Umberto mi ha parlato della Arnolfini… Poi dell’investigatore privato.
Mi vergogno.
Lo so, starò zitta e buona. Allora perché sono andata dall’investigatore? Forse per sapere di che morte devo morire.
Non ho alternative: ricordo troppo bene la voce di mia madre: — Non è una bellezza, è così scialba. E timida.
Parlava di me, sei anni fa.
— Nemmeno un ragazzo, niente. Vestiti firmati: è goffa lo stesso. Buone scuole e buone frequentazioni: non spiccica una parola. Anche danza le ho fatto fare sperando in un buon portamento. Niente. Il marito glielo dovremo comprare.
Quando l’ho sentita ho creduto di morire. Che ero bruttina lo sapevo, tante care amiche si erano premurate di farmelo sapere. Che non ero spiritosa, disinvolta, di compagnia… Te ne accorgi, perché sei sempre tu a chiamare.
Ma speravo che, almeno mia madre, vedesse in me qualcosa di buono. Nemmeno lei.
Sapevo che i soldi di famiglia (e la posizione) erano la mia maggior attrattiva, ma speravo che Umberto un po’ mi volesse bene. Almeno non mi trattasse come una bambina senza cervello.
Non posso dirlo alla mia famiglia. Starò zitta. Mi terrò il marito che mi hanno comprato, fingendo di credere al suo amore per me.
Odio l’Arnolfini.
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