Diario di una Prof, di Macrina Mirti
Mi sono lasciata convincere da quella secchiona della mia collega Lucilla Seravelli. Così, stamattina, invece di starmene seduta comodamente in classe, ho portato gli angioletti della IIIB alla manifestazione della “Settimana della legalità” che la Provincia ha organizzato presso un cinema cittadino. I ragazzi sono contenti come pasque, c’era il compito di matematica in programmazione, ma la manifestazione è importante, è previsto anche l’intervento dei due fratelli del giudice Borsellino. Alle otto e trenta la sala è aperta, ma dei nostri studenti nemmeno l’ombra. Mentre la Seravelli già grida al boicottaggio, il Giom ha la brillante intuizione di andare al bar. Li troviamo intenti a giocare a briscola.
«Vi porto subito in classe» minaccio.
«Perché?» domanda Bircolotti.
«Vuole giocare anche lei?» mi chiede la Rottini.
«Pennacchiotti ci lascia in pace, quando giochiamo» dice l’Alessi.
Il momento è solenne, ma loro non l’hanno ancora capito. Entriamo nel cinema trasformato in sala congressi e prendiamo posto proprio mentre le autorità si siedono al loro tavolo. Una breve introduzione e poi inizia la proiezione del film “ Alla luce del sole” sulla vita e la morte di don Giuseppe Puglisi.
«L’abbiamo visto!» esclama indispettita quella saccente della Francescato.
«Ḕ vero» dice Giommetti. «L’hanno appena dato in televisione.»
Non riesco a trattenere una smorfia di raccapriccio. Se l’hanno già visto, adesso, questi qui chi li tiene? Rimango in silenzio mentre le immagini scorrono sullo schermo. Per fortuna, il film è commovente. Quando si accendono le luci in sala, qualcuno ha gli occhi lucidi. Ma il bello deve ancora arrivare. Salvatore Borsellino prende il microfono e parla, per più di un’ora. Ḕ un fiume in piena. Racconta del fratello Paolo, della sua lotta contro la mafia, dei suoi ultimi giorni di vita, della sua fede incrollabile nelle istituzioni e nello Stato. Ci dice anche dell’agenda rossa che il giudice portava sempre con sé, misteriosamente sparita dal luogo dell’attentato, degli inutili tentativi fatti per ritrovarla, dei depistaggi e delle oscure manovre del potere politico per delegittimare magistrati e collaboratori di giustizia. È un uomo anziano, piccolo e insignificante. La voce ogni tanto trema ed è rotta da colpi di tosse. Ma le sue parole hanno la potenza di un tornado. Mentre racconta la storia di suo fratello e della scorta, mettendo il dito sulle magagne di una repubblica malata e corrotta, la commozione s’impadronisce dei presenti. Non riesco più a trattenere le lacrime. Rottini Anita mi offre i suoi fazzolettini di carta.
«Ce li ho, grazie» rispondo rovistando all’impazzata nella borsa.
Con la coda dell’occhio sbircio Giommetti. Ha gli occhi lucidi. Persino quell’imbranato di Bircolotti Francesco singhiozza. Oggi è accaduto un miracolo. Mille ragazzi, in quel cinema, sono rimasti per più di un’ora in silenzio, commossi, ad ascoltare un uomo vecchio e dolente che parla di cose lontane e fuori moda come: Stato, Legalità, Giustizia, Onore.
Al termine del discorso siamo tutti in piedi, con i lucciconi agli occhi, ad applaudire. Poi, la Seravelli rompe l’incanto. S’impossessa del microfono e inizia una lezione cattedratica sulla mafia, le sue origini e il suo sviluppo storico. Dopo cinque minuti, dalla platea partono i primi fischi, ma lei, imperterrita, prosegue. Dopo dieci minuti le autorità cominciano a dare qualche segno d’insofferenza. Dopo quindici minuti il Giom ed io iniziamo a sbracciarci. Ma è tutto inutile. In sala i ragazzi rumoreggiano. Partono le prime pernacchie. Giommetti si alza, le si avvicina, le toglie il microfono dalle mani e lo posa sul tavolo delle autorità.
La Seravelli boccheggia. «Non ho finito!» urla. Ḕ rossa come un pomodoro, ma, priva com’è di microfono, nessuno può più sentirla. I ragazzi applaudono il gesto coraggioso del bel Giom. Lei tenta di riprendersi il microfono, ma una salva di «Buuu!» la convince che è meglio sedersi.
A manifestazione terminata, andiamo a salutare il dottor Borsellino.
«Siete insegnanti?» ci chiede. Giommetti ed io annuiamo mestamente.
«Dovete lottare» ci dice. «Il futuro di questo paese dipende da voi. Vogliono distruggere la scuola pubblica perché non vogliono che ci siano più persone capaci di pensare liberamente. Il vostro compito è questo: insegnare ai ragazzi a pensare con il proprio cervello.»
Giommetti annuisce. Io sono senza parole. Come faccio a insegnare ai ragazzi a pensare se tutto, in questa maledetta società, congiura contro? Come faccio a spiegare che devono lavorare sodo, se i messaggi che arrivano da giornali e televisioni sono altri? Come faccio, vorrei chiedergli. Eppure, oggi qualcosa d’importante è accaduto. Mille ragazzi in silenzio, commossi fino alle lacrime, ad ascoltare quell’uomo solo e vecchio che raccontava la storia di un magistrato coraggioso morto ammazzato.
OoO
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Deve essere stata un’esperienza davvero particolare. Io che ho solo letto avevo la pelle d’oca, posso solo immaginare come vi siate sentiti voi in quella sala.
Grazie per aver condiviso tutto questo.
Patrizia
Sì, Patrizia, è stato bellissimo. A volte il lavoro dà di queste soddisfazioni che ripagano di tanti momenti bui e di sconforto.