«L’esile volume di 146 pagine sfidava la nostra immaginazione di diciottenni innamorati delle visioni di Jim Morrison e di William Blake con una visionarietà ironicamente erudita, minuziosa fino a sembrare perversa e abbastanza vaga da spingerci a cercare di decifrarla come una lingua straniera. Ora “Finzioni” torna in una nuova e splendida versione italiana accresciuta dai tre racconti che Borges vi aggiunse… E a percorrere di nuovo i sentieri biforcuti dell’argentino, a rileggere certi memorabili attacchi, ci si accorge non solo che il loro potere pacatamente incantatorio è immutato, ma in qualche modo si è ramificato, come in un racconto di Borges. Che cosa è successo? Solo che quasi tutta la letteratura degli ultimi quarant’anni, da Calvino a Pynchon a Molina a infiniti altri, si è confrontata o scontrata con l’universo onirico e lievemente delirante scaturito da “Finzioni”.» (Giuseppe Montesano)

Titolo: Finzioni.
Autore: Jorge Luis Borges.
Traduzione: a cura di Antonio Melis.
Genere: antologia di racconti.
Editore: Adelphi.
Prezzo: euro 11,40 (copertina flessibile).
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Recensione? Io come lo recensisco un capolavoro di questa portata? Voglio dire, qualsiasi cosa potrei scrivere risulterebbe comunque non sufficiente a definirlo.
In questa raccolta c’è praticamente di tutto. Tematiche universali, ogni genere letterario (compresa la saggistica), considerazioni meta-letterarie e, in ultimo ma non ultimo, artifici artistici per cui lo stesso racconto non sarà mai lo stesso se riletto a distanza di tempo (da cui il nome stesso Finzioni).
Non vi tedierò con la descrizione singola di ogni racconto perché veramente servirebbe una recensione a sé stante (o forse sarà proprio quello che farò, in futuro), ma credo in ogni caso che Finzioni sia una raccolta che vada letta e riletta (e, sei vuole imparare a scrivere, anche adeguatamente studiata) nel corso del tempo, da chiunque, e in ogni fase dell’età.
Insomma, questa non è una raccolta di racconti, è LA raccolta di racconti. Un punto di riferimento letterario, frutto di genio inarrivabile.
E, non a caso, è uno dei libri che ho vivisezionato (e adeguatamente citato) nello scrivere La Coltre.

Al di là del Ponte, appare Nebula, intrisa di nero inchiostro e popolata da semantica. Galleggia e si staglia nel bianco eburneo della Coltre, e si preserva nell’Empasse del contrasto. Così è, imperscrutabilmente oscura tanto più è magnificamente chiara, e impeccabilmente limpida, laddove è definita e nera.
Per chi ci vive e la visita, Nebula è anche un luogo confortante, a patto che non diventi mai interessante. Il tempo, del resto, ha valore di disturbo, e come tale non deve assolutamente accadere. Niente deve rompere l’Empasse.
I suoi cittadini si sentono tutelati e felici. Adorano l’indiscussa universalità delle leggi, e dei loro invalicabili confini.
Per raggiungerla, quindi, bisogna predisporsi a saltare. Cambiare piano, allinearsi.
Solo così si può entrare a far parte di Nebula.

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Copertina creata con Canca. Immagini: foto di Alessandro Giannotta inviata dallo stesso + cover del libro recensito.