Sono orgoglioso di poter ripubblicare con il mio nome questo romanzo che scrissi tra il 1999 e il 2000 e fu pubblicato su URANIA FANTASY nell’estate del 2001.
Tempi lontani e, soprattutto, ispirazioni lontane nel tempo che, rileggendo il testo per questa nuova versione, mi hanno riportato a interessi forse un po’ tralasciati in questi ultimi tempi, ma mai completamente sopiti.

Davanti a lei c’era un destino glorioso: sarebbe diventata una concubina dell’imperatore nella lontana Tengri, la meravigliosa capitale di una Cina leggendaria e fuori dal tempo, un principe si sarebbe innamorerato di lei e avrebbe dato alla luce un erede al Figlio del Cielo. Ma la sua storia comincia con una ragazzina impaurita, il cui destino si incrocerà con quello di un barbaro di nome Amra, viene fatto schiavo dai nomadi della steppa e che dovrà riconquistare la libertà a prezzo di una lotta durissima e con quello del principe Kung, cugino dell’imperatore, attraverso eventi di portata incalcolabile: il tramonto del glorioso Regno di Mezzo sotto i colpi degli invasori venuti da occidente e la sconfitta della tenebrosa magia di Suyodhana, capo degli eunuchi di Tengri e discendente della stirpe dei demoni Yama.

TITOLO: L’ultima imperatrice.
AUTORE: Stefano Di Marino.
GENERE: Fantasy.
COPERTINA: Franco Brambilla.
PAGINE: 495.
EDITORE: Delos Digital.
PREZZO: euro 3,49 (eBook); euro 15,30 (cartaceo).

Disegno di Paolo Parente per la prima edizione

Prima di tutto emerge, e ancora si vede, il mio grande interesse per la narrativa orientale, soprattutto cinematografica, che in quegli anni occupava gran parte dei miei interessi. Avevo appena pubblicato la prima edizione di un saggio sul cinema di Hong Kong, ero reduce da alcuni viaggi in Cina e già da diverso tempo avevo una collezione invidiabile di VHS (i dvd non c’erano ancora) che tuttora conservo perché di molti titoli poi non sono uscite delle versioni digitali.
Erano anche gli anni di La Tigre e il Dragone, film di Ang Lee che aprì alle platee occidentali tutta la magia del cinema cavalleresco orientale. Il Wuxiapian era, per me, materia nota, essendo un filone fantastico e cavalleresco sviluppato prima a Shanghai e in seguito a Hong Kong sin dagli albori della storia del cinema. Avevo gli occhi pieni delle magnifiche immagini di King Hu e di Tzang Cheh che ne furono i maestri del filone (basti citare film come A Touch of Zen, Dragon Gate Inn, The One Armed Swordsman e Blood Brothers), paragonabili a Kurosawa ma con quel tocco di fantastico tipicamente legato alla cultura cinese.
Non era, tuttavia, il mio scopo quello di riproporre una mia versione del Wuxiapian (letteralmente Storie di cavalieri erranti e spadaccini) perché giudicavo quei film troppo fantastici per il mio gusto.
Le famose scene con gli spadaccini volanti avevano una loro ragione all’origine perché attingevano da quella tradizione letteraria basata su vicende marziali fortemente intrise di filosofia confuciana che rendevano credibili e accettabili senza riserve dal pubblico orientale le evoluzioni dei protagonisti. In Oriente le discipline basate sul controllo del Qi, l’Energia interna, erano da secoli legate a imprese epiche nelle quali i protagonisti sfidavano le leggi della fisica compiendo veri e propri voli che, a Hong Kong venivano realizzati con il sistema del wirework (ossia con i cavi che venivano cancellati in fase di editing) e in occidente furono realizzati da Ang Lee e altri registi (Zhang Ymou e Yuen Woo Ping nelle coproduzioni moderne tra Asia e USA) grazie ai ritrovati della computer grafica, allora in piena espansione nelle produzioni.
Non era il genere di storia che volevo raccontare, benché qualcosa di quei ricordi di magia e tradizioni esoteriche sia rimasto nel romanzo.
La verità è che mi trovo anche oggi più in linea con una produzione successiva orientale della quale Il romanzo dei Tre Regni, tratto da un classico, realizzato da John Woo qualche anno dopo, ha portato all’evoluzione del genere. In pratica alla rappresentazione di un medioevo favoloso orientale fatto di magie e poteri esoterici, si sostituì un altrettanto pittoresco universo di guerrieri, spadaccini, imperatori e concubine, calati in un contesto più realistico.
E lì volevo arrivare.
Raccontare una storia fantastica per ambientazione, in un mondo che potrebbe essere successivo o antecedente al nostro, infilandovi tradizioni differenti, un Oriente che conoscevo e ricostruivo senza troppi legami con la storia vera e che, tra l’altro, strizzava l’occhio alla fine della dinastia Manchu che avvenne proprio con la rivolta dell’imperatrice vedova, ma ai primi del Novecento.
C’era poi un altro fattore che mi influenzò moltissimo in quel periodo. Avevo appena finito di leggere il primo volume del Trono di Spade di George R. Martin e ne ero rimasto affascinato. Quello era il genere di racconto che avrei voluto sviluppare.
Pura fantasia e massima libertà nel delineare l’ambiente (che nel mio caso era orientale e si basava su moltissimi film e visite in loco) ma un intreccio di passioni, di desiderio di potere, di battaglie in cui la magia, e quegli elementi che di solito si associano al Fantasy, restassero sullo sfondo.
In pratica una sorta di storia alternativa in cui i fenomeni sovrannaturali avevano lasciato sì qualche traccia che emerge soprattutto nel finale, ma il fulcro della vicenda riporta gli uomini (e le donne in particolare) al centro dell’azione.
Così, dopo un accurato studio della geografia, dei popoli con le loro usanze e diversità, una comparazione con la storia della Cina classica e di quella moderna, nacque l’ambientazione dell’Ultima imperatrice che, nell’edizione originale, recava il sottotitolo “Una storia di perfidia” perché buoni o cattivi tutti i personaggi mantengono sempre una sfumatura ambigua, cercano il potere, la realizzazione personale e spesso stringono e rompono alleanze e amicizie in nome del proprio progetto. In questo senso pur raccontando una vicenda marcatamente fantastica, credo di aver messo in scena una vera e propria guerra per il potere che, alla fine, è ancora attualissima.

Storia e Fantasy

L’ultima imperatrice è un romanzo fantasy ambientato in un mondo inventato, geograficamente molto simile al nostro, benché vi siano alcune differenze. Potrebbe essere la Terra in un’Era primordiale, prima dell’inabissamento di Atlantide o magari un pianeta di una dimensione differente, solo apparentemente parallela alla nostra. Di fatto i suoi abitanti vi si riferiscono come alla Terra e non hanno coscienza di quella che è la nostra realtà. Lo scenario in cui è ambientata la vicenda è un Oriente ispirato alla Cina del cinema Wuxiapian, anche se gli avvenimenti politici cui si allude sarebbero molto più moderni. L’ultima imperatrice, infatti, è ispirato a Cixi, l’imperatrice vedova, ultima regnante della dinastia Manchu conclusasi (come nel romanzo) con l’arrivo dei barbari occidentali. Il quadro dell’azione è un continente ritratto in maniera geograficamente molto simile all’Asia che noi conosciamo. Vi sono, tuttavia, alcune differenze. Un altro importante dettaglio che differenzia il nostro mondo da quello ritratto nel romanzo è la magia. Non solo sono possibili malie e incantesimi (benché se ne farà un uso limitato), ma sono presenti anche razze di demoni, mutanti e semidei con tutta una mitologia che influisce sulla vita dei protagonisti. Di base si tratta, però, di un’avventura realistica, più un romanzo cavalleresco che puramente fantastico.

Disegno di Paolo Parente per la prima edizione

La regione geografica

Al centro, sterminato e dotato di una grande varietà di paesaggi e regioni, c’è il Regno di Mezzo, il paese creato dagli dei tra Cielo e Terra, una civiltà antichissima e progredita solo recentemente unificata dopo secoli di guerre tra piccoli regni.
Il regno dei Qin copre una vastissima porzione di territorio all’interno del quale convivono differenti culture. Prima di tutto quella dei Sette Regni, anticamente popolati dai discendenti di sette fratelli, figli di un unico padre e di sette concubine differenti. Si tratta di un popolo unico, con una cultura comune differenziatasi leggermente durante l’Era dei Regni Combattenti, ma ora riunificata dai Qin. In seguito all’assestamento politico (avvenuto centt’anni prima della nostra storia), il Regno di Mezzo ha ampliato i propri confini estendendosi a sud verso le giungle di Vendyhan, a sud-ovest verso l’antico ma ormai decaduto Impero dei Due Fiumi (corrispondente a quello che noi conosciamo come il mondo arabo) e a nord sino alle steppe gelide della Grande Pianura, una regione vastissima dove vivono ancora popoli nomadi, predatori in perenne lotta tra loro e contro l’impero.
A sud-est e a oriente si trova il mare degli Inganni, una sterminata distesa d’acqua dalla quale emergono arcipelaghi di varie dimensioni. Il più importante è quello di Chipangakan, dominato dall’Impero del Sole Nascente, una civiltà più rozza anche se imparentata con i Qin. Il mare ha favorito l’isolamento di Chipangakan che, pur restando una delle potenze della regione, non ha ancora sviluppato contatti regolari con i suoi vicini. Sappiamo che gran parte della regione sud-occidentale del globo è occupata da un potentissimo impero, Gondwanaland, che comprende grosso modo le nostre Africa, Sud America e Oceania, ma con il quale, nella nostra storia, non c’è interazione.
A ovest, invece, si estendono le Marche Occidentali, occupate da un gruppo di monarchie staccatesi dall’Impero di Atla. Sono reami barbarici secondo gli standard di civiltà dei Qin, ma sicuramente più evoluti e organizzati dei nomadi delle steppe. Si tratta di regni guerrieri, con eserciti ben organizzati e una forte classe mercantile avida di nuovi territori ove espandere le propria influenza.

Disegno di Paolo Parente per la prima edizione

I popoli

Il mondo dell’Ultima imperatrice è fondamentalmente dominato dagli esseri umani. Ciò non esclude che vi vivano altre creature senzienti, alcune delle quali vengono quasi considerate “normali”, altre sono accettate e altre ancora sono temute e perseguitate.
Gli Umani sono in tutto e per tutto simili a noi, comprese le divisioni etniche, ma fanno eccezione i Figli di Atla che possiedono un colorito azzurrino, occhi e orecchie allungate e, in qualche modo, possono essere avvicinati agli elfi della tradizione fantasy. Salvo che in rarissimi casi non li incontreremo in questa avventura. Di loro sappiamo solo che, nel continente da cui provengono, la magia è una disciplina assai più evoluta e diffusa che nel resto del mondo e i suoi praticanti hanno non comuni doti di precognizione e ipnosi.
Tra le altre creature le più simili all’uomo sono i Cangianti, una razza di sembianze umane che intrattiene tuttavia uno strettissimo legame con il mondo animale. I Cangianti sono una delle razze antiche, appartenenti a un’era precedente dove i non-umani dominavano il pianeta. Un tempo tutti i Cangianti erano in grado di trasformarsi a piacimento nel loro animale totemico: chi in un lupo, chi in un orso, chi in un serpente, una scimmia o in qualsiasi altro animale. Con il tempo questa abilità si è andata riducendo, sino a manifestarsi solo in caso di necessità o di pericolo di vita. Il timore ispirato dai Cangianti tra gli uomini ha portato a un’evoluzione della razza che, nei secoli, ha cercato di sopprimere la propria natura animale. Ciò, assieme alle unioni miste, ha avuto come conseguenza la perdita quasi totale per i Cangianti della capacità di trasformarsi in animali. Fisicamente possono al massimo mutare qualche tratto esteriore prendendo somiglianza con il loro animale totemico. L’abilità di avvertire il pericolo, di sopravvivere nella natura selvaggia o persino di comunicare con le fiere è sopravvissuta in alcuni individui, i Prescelti, che tuttavia devono ricevere una particolare istruzione per canalizzare le loro capacità, pur restando inseriti nella società degli uomini. Benché i Cangianti siano ancora molto numerosi, i Prescelti sono solo una minima parte di loro e, generalmente, è impossibile distinguere un umano da un Cangiante se non lo si conosce approfonditamente.
Abitualmente i Prescelti fanno parte di alcuni nuclei tribali che vivono oltre la Grande Pianura, ai piedi dei monti del Drago che la dividono dalle Marche Occidentali.
Questi agglomerati sono clan guerrieri: la loro principale occupazione è la lotta contro i clan vicini, dai quali si sentono profondamente diversi sia per aspetto fisico (sono alti e bianchi di pelle) che per cultura. La fondamentale attività artigianale è la forgiatura dei metalli, che hanno portato con sé dal Grande Nord oltre i monti del Drago, terra da cui provengono. Le spade, lance e frecce fabbricate da queste genti sono ricercate su tutti i mercati del Regno di Mezzo. I Cangianti vivono in una regione impervia a contatto con la natura selvaggia, tra fiere (come i lupi dai denti a sciabola) e bufali muschiati. Gli altri popoli della pianura li temono e li odiano al tempo stesso. Li chiamano varengh, che, nel dialetto della Grande Pianura, significa “nemico”, ma anche “diverso”, “ostile”.
Malgrado le loro caratteristiche, i Cangianti non sono gli esseri più bizzarri né i più pericolosi della Terra di Mezzo.
Per comprendere bene il mosaico di esseri che compaiono nella saga è necessario ripercorrere brevemente la storia del pianeta nelle sue Ere precedenti. In una di queste dominarono i demoni: figure da incubo solo vagamente umanoidi, erano dotati di straordinari poteri distruttivi, della capacità di mutare aspetto, sputare fiamme e altre simili piacevolezze. Non si sa esattamente per quale cataclisma il mondo dei demoni ebbe termine. È solo noto che, in seguito a un evento catastrofico, la loro civiltà si estinse. Non esistono più demoni su questa terra, e anche se qualche negromante è convinto di poterli evocare, ciò può avvenire solo ed esclusivamente attraverso un “veicolo” umano del quale prendano l’aspetto. I demoni, in pratica, sono stati relegati in un’altra dimensione dalla quale non possono tornare direttamente. Ciò non significa che non possano esercitare una nefanda influenza sul mondo, e questo può avvenire in due modi. Innanzitutto, la magia in qualunque forma è un retaggio dell’Era dei demoni. Nessun negromante, sensitivo e persino Cangiante potrebbe esercitare il proprio potere sulla natura delle cose se non fosse per le sopravvivenze del passato.
In secondo luogo, prima della loro estinzione i demoni fecero in tempo a interagire con gli esseri umani, spesso accoppiandosi con loro e dando origine a razze differenti, alcune delle quali terribili come i demoni Yama (creature in grado di imitare perfettamente le nostre sembianze ma dotate di poteri paranormali). Malgrado ciò, gli Yama tendono a mimetizzarsi con gli uomini e ricorrono solo in casi disperati alle loro magie, preferendo acquisire il potere in maniera più tradizionale attraverso l’intrigo e il tradimento; ciò evita il pericolo di attirare l’attenzione su di sé. L’ultima razza semi-umana che incontreremo è quella degli Occhi-Rossi: sono i più simili a noi perché discendono solo alla lontana dai demoni. Esteriormente gli Occhi-Rossi sono identici agli uomini con cui si mescolano, ma sono dotati di poteri paranormali e di solito diventano sciamani o negromanti, soprattutto tra i popoli della Grande pianura. Quando esercitano le loro arti magiche il colore degli occhi si avvicina a quello della brace rovente e le tre pietre-spettro che hanno incastonate lungo la spina dorsale brillano di un’energia potentissima che consente loro il dominio sugli elementi. Il potere di cui godono, tuttavia, è di breve durata e tende a esaurire le loro risorse, portandoli a un invecchiamento precoce. Per questa ragione, gli Occhi-Rossi si accontentano per lo più di piccole magie non dannose all’organismo. Ci limiteremo ora a specificare l’organizzazione e gli usi dei popoli che vedremo direttamente coinvolti nella storia. I regni e i popoli del pianeta sono quantomai diversi e potremo, nel caso di future avventure, conoscerne altri. Nell’Ultima imperatrice faremo principalmente la conoscenza con i popoli del Regno di Mezzo, della Grande Pianura e delle Marche Occidentali, salvo sporadici incontri con rappresentanti dell’Impero dei Due Fiumi. Fondamentalmente si tratta, a eccezione degli invasori occidentali, di popoli asiatici con caratteristiche mongoliche, pelle olivastra, capelli neri e lisci e vari gradi di organizzazione civile. Cominciando da nord incontriamo subito i monti del Drago, una lunga catena con vette che arrivano sino a quattro leh (unità di misura che corrisponde più o meno al chilometro) coperte di foreste e nevai. Qui vivono i Varengh, delle cui origini sovrumane abbiamo già accennato. Attualmente si tratta di un popolo dei boschi, diviso per clan che vivono di guerra, caccia e commercio con i popoli della pianura, con i quali scambiano pelli e armi di metallo. Ogni clan ha il suo Rus, o capo, che svolge una funzione politica, militare e magica nell’iniziazione dei Prescelti: è il Rus a guidare questi “mutanti” alla scoperta della loro natura “cangiante”. Amra, uno dei protagonisti della nostra storia, è un Prescelto, ma, come tutti i giovani al di sotto dei quattordici anni, ancora non lo sa. I ragazzi varengh sono allevati al contatto con la natura, ma prima dei riti dell’iniziazione hanno solo una vaga nozione dei Misteri dei Cangianti. Gli stessi Prescelti vengono addestrati a controllare i loro poteri solo dopo la cerimonia dei quindici anni. I Varengh possiedono una vasta mitologia sulle loro origini, venerano Aesgard, un reame mitico che non è di questa terra – in realtà si riferisce a un’Era precedente – dove, dopo la morte, i guerrieri valorosi potranno incontrare gli antenati e vivere in completa armonia con la natura.
Scendendo più a sud incontriamo i popoli della Grande Pianura, che pur essendo tutti nomadi e guerrieri sono divisi da faide e lotte tribali: tutti indistintamente odiano i Varengh, con i quali a volte commerciano, ma che sentono profondamente diversi.
Tra le prime popolazioni della pianura troviamo gli Jurchen, un ceppo primitivo di cavalieri e cacciatori che combattono coprendosi di pelli di bufalo e usano copricapi ornati di penne e corna. Sono clan disorganizzati e nomadi, privi di un legame comune. Combattono con lance, frecce e mazze da guerra; solo pochi usano la spada, ma lo fanno in maniera del tutto istintiva. Si servono di rozzi archi lunghi con i quali riescono a essere abbastanza precisi. Le loro orde abitualmente combattono con i cani, una razza speciale di semi-lupi addestrati alla lotta. È un popolo rozzo e violento con leggi semplici e draconiane stabilite dagli sciamani – di solito Occhi-Rossi – e applicate dai Nantan, i capiguerra.
Loro feroci avversari sono i Tungut, un altro popolo nomade che proviene dal deserto che separa a sud-ovest la Grande Pianura dalle propaggini dell’Impero dei Due Fiumi. Il deserto di Fuoco è un’estensione vastissima e inospitale dove chi sopravvive è più simile a un animale che a un uomo: e i Tungut, o Popolo dei Mantelli, risponde perfettamente a questa regola. Vivono di razzie, cavalcano tozzi cammelli capaci di percorrere desolazioni in cui nessun altro animale sopravviverebbe. I Tungut, malgrado tutto, possiedono una cultura leggermente superiore a quella degli Jurchen per via dei contatti con l’Impero dei Due Fiumi e con il vicino impero dei Qin. Ai nostri occhi appaiono con caratteristiche simili a quelle delle popolazioni islamiche; pur essendo di ceppo mongolico hanno la pelle più chiara, vestono mantelli di stoffa blu, si tatuano il volto o se lo ricoprono di polvere bianca. Le loro donne sono abili tessitrici di tappeti e forgiatrici di gioielli in oro, argento e turchese.
Come guerrieri sono abili cavalieri, usano archi piccoli e precisi e soprattutto sciabole ricurve e pugnali, nell’uso dei quali sono maestri. Anche i Tungut sono organizzati in bande di non più di cento, centocinquanta guerrieri, comprese le donne che combattono a fianco degli uomini quando è necessario. I loro capi sono conosciuti come Shek e godono di un potere assoluto su tutta la tribù. La magia non è molto diffusa, benché i Tungut siano un popolo dominato dalla superstizione, estremamente timoroso soprattutto dei Jinn, spiriti del deserto che vengono esorcizzati dalle sciamane della tribù. I Tungut orientali sono anche pastori e commercianti, e spesso si spingono nella Grande Pianura per i Powow, le grandi fiere dove i nomadi barattano i loro averi, stringono alleanze e partecipano ai combattimenti di gladiatori che si tengono in arene di terra e calce.
Il terzo popolo della Grande Pianura è quello degli Hung-nu. Essi costituiscono la maggioranza dei nomadi e vantano una cultura in qualche modo più elaborata, grazie agli stretti contatti con l’Impero del Regno di Mezzo e con Chipangakan; anzi le leggende vogliono che la stirpe dei Qin e gli abitanti dell’arcipelago siano discendenti degli Hung-nu, i quali si sarebbero spostati verso sud e verso est a ondate successive. Gli Hung-nu sono divisi in orde a capo di ciascuna delle quali c’è un Kai, ma tutti i Kai sono fedeli al Kaikan, capo supremo del popolo che risiede nella capitale Kun-lun, una roccaforte tra le inaccessibili montagne di Batorul al limite orientale della Grande Pianura. Da qui gli Hung-nu lanciano periodiche invasioni verso ovest e sud, per difendersi dalle quali il Regno di Mezzo ha eretto una muraglia che protegge le lande di confine dell’impero.
La civiltà degli Hung-nu, benché nomade e decisamente barbara, mostra livelli di sviluppo e organizzazione ignoti agli altri popoli della Grande Pianura. In particolare l’esercito, formato dalle varie orde, possiede un inquadramento che lo rende un avversario temibile anche per le difese imperiali. L’armata del Kaikan è formata essenzialmente da guerrieri tra i sedici e i cinquant’anni, divisi in cavalleria pesante e leggera. La prima indossa armature in metallo, cuoio e legno bollito, ed è armata di pesanti scudi, lance per il combattimento a distanza e asce o scimitarre per quello ravvicinato. Si tratta di una forza d’urto che nessun esercito dell’epoca può permettersi di sottovalutare. La cavalleria leggera, più numerosa e agile sul campo di battaglia, è costituita invece da guerrieri protetti solo da armature di cuoio bollito e cotte di maglia di ferro. Gli arcieri, che ne rappresentano la forza di penetrazione a distanza, sono armati di piccoli archi compositi decisamente più potenti e precisi di quelli di tutte le altre popolazioni. Un arciere hung-nu è in grado di scaricare una pioggia di frecce sul nemico a una cadenza che nessun altro è in grado di realizzare. Nelle cariche, che si svolgono a ondate, gli Hung-nu della cavalleria leggera passano rapidamente dalle frecce all’uso di fruste e corte sciabole ricurve. I falconi, di solito usati per la caccia, trovano uso anche sul campo di battaglia per creare scompiglio tra le file nemiche. Benché a volte si servano di frecce incendiarie, gli Hung-nu non conoscono l’uso del carro da guerra, né di altre macchine belliche. In compenso sono dotati di un sistema di comunicazione in battaglia efficientissimo, basato sull’uso di bandiere, tamburi e un rapido scambio di messaggeri (a volte cavalieri, fra cui le ragazze sui loro velocissimi pony, a volte uccelli). In campo aperto sono quasi imbattibili, ma il loro punto debole è negli assedi e nei combattimenti su terreno accidentato.
Malgrado tutto gli Hung-nu non sono esclusivamente guerrieri: hanno saputo generare poeti, e, unici tra tutte le popolazioni della Grande Pianura, hanno sviluppato un sistema di scrittura e di conteggio (oltre che un’unità di misura in denaro, lo scudo) che li avvantaggia sia durante le campagne belliche sia negli scambi commerciali. Nasce da loro l’uso dei Powow che si svolgono nella pianura, e che sono occasione di scambi e trattati con le altre tribù nomadi. Bestiame, tappeti, gioielli e tswin, un forte vino di riso fermentato, vengono barattati con carne secca, grano e riso. Le donne, abitualmente molto caste, in queste occasioni sfoderano tutto il loro fascino e la loro bellezza, concedendosi con una disinvoltura che in altre occasioni risulterebbe sconveniente. In questo contesto anche l’adulterio, abitualmente punito con la lapidazione, viene ammesso, e anzi sono numerosi i matrimoni celebrati e sciolti nel corso del Powow. Le ragazze che rimangono incinte durante queste feste, tengono i figli che andranno ad aumentare i ranghi dei guerrieri della tribù di adozione. Se la donna è sposata e il marito legittimo non vuole accogliere il figlio, questi viene adottato da una speciale associazione d’armi che si prenderà cura di lui, trasformandolo in un guerriero dell’orda. I tornei di gladiatori sono l’anima, insieme al ballo, di tutti i Powow. Quasi tutti i guerrieri partecipano agli incontri di lotta, dove non sono ammessi colpi pericolosi ed è possibile “schienare” l’avversario, ma non provocargli danni seri o irreparabili. Ci sono poi i duelli senz’armi, nei quali è consentito colpire con tutte le parti del corpo e che possono terminare con la morte di un contendente; e vari tipi di scontri armati dei quali la fine cruenta è inevitabile. Infine vi sono gli scontri tra uomini e animali, tra i più apprezzati dagli Hung-nu. Alle varie categorie di incontri può partecipare qualsiasi guerriero voglia assicurarsi la posta (di solito cavalli o una donna rapita durante qualche razzia al sud o a ovest), ma normalmente ci sono vere e proprie scuderie di gladiatori, abitualmente schiavi, che ingaggiano queste tenzoni per il divertimento del pubblico. Un guerriero di particolare valore, se notato da un Kai o dal Kaikan in persona, può venire affrancato ed entrare nell’orda grazie alle sue virtù marziali.

Una chicca.

Il personaggio di Amra il Guerriero è forgiato su Mark Dacascos, esperto di arti marziali e attore (Serie Hawaii Five-O), amico di Stefano Di Marino.