Ho avuto la malaugurata idea di chiedere “Ma (notare il “ma” all’inizio della frase… da bocciatura) avete mai bruciato qualcosa, mentre stavate scrivendo un romanzo/racconto?”
Le risposte sono arrivate. Toni ironici, apocalittici; qualcuna ha rispolverato la storia. Quella con la S maiuscola. Leggete, se avete coraggio… e alzi la mano colei/colui che NON ha mai bruciato qualcosa in cucina. O NON ha dato fuoco alla cucina (sì, è successo anche questo).
Letizia Draghi apre la carrellata con questa “perla di saggezza” (sono parole sue, intendiamoci).
La scrittura non c’entra. È innocente come una colomba pasquale. In realtà è tutta colpa del multitasking. È lui la causa. Perché non è solo il rapimento estatico della digitazione compulsiva a rovinarti (questa immagine, poetica, dello scrittore in piena ebbrezza creativa andrebbe rivisitata). È la mail che arriva, e a cui rispondi mentre ti prendi un attimo di pausa. È la capatina su Facebook, mentre non ti viene la frase e ti gingilli un po’. Dopodiché è ovvio che la chiara dell’uovo à la coque diventerà marmorea.
Ironia della sorte, è proprio mentre cerchi il termine giusto per rendere un aroma particolare, combattendo contro un senso, l’olfatto, così difficile da riprodurre in narrativa, che ti arriva l’inconfondibile odore di bruciato alle narici. Allora corri in cucina. Preghi che sia solo quel bruciacchiato “ancora mangiabile” e che la torta non abbia raggiunto lo stadio della carbonizzazione letale. Il vero problema è che, mentre stavi torturando il Thesaurus per estrarne la parola giusta, hai anche risposto al messaggio WhatsApp di un’amica. Il nostro cervello non può fare troppe cose insieme, ma noi donne adoriamo il multitasking. Ce lo abbiamo nel DNA. E per questo accade che le nostre creazioni culinarie si inceneriscono…
Libro consigliato: Daniel J. Levitin “The organized mind”.
Segue Monica Lombardi, che tira in ballo gli uomini (sleale!).
Cara Babette, io quando scrivo non sono parziale e tendo a dimenticare un po’ di tutto. Telefonate da fare, l’IVA trimestrale da pagare, l’acqua che bolle sul fuoco, l’elenco è piuttosto vario e in cucina adotto il sistema “timer” per non combinare troppi pasticci.
Ma sul cucinare ho una considerazione più generale, sul perché capiti più spesso alle donne che non agli uomini di bruciare o scuocere qualcosa. Io, donna, metto qualcosa sul fuoco o in forno e poi rispondo al telefono, stendo il bucato, ascolto la lezione del figlio, finisco la pagina che sto traducendo o il capitolo che sto scrivendo, faccio mille altre cose insomma, perché il tempo è prezioso e fare una cosa alla volta sembra un tale spreco! (Senza aggiungere che, spesso, non possiamo proprio permettercelo) Lui, marito, uomo, nel pieno rispetto del M.O. “una cosa per volta, altrimenti il flow chart potrebbe diventare troppo complicato”, quando cucina sta in piedi ai fornelli. Fermo. Fisso. Incollato alle piastrelle manco i piedi avessero messo radici. E se il figlio passa di lì e gli chiede qualcosa, qualsiasi cosa, la risposta sarà “non posso: sto cucinando”.
Avevo parlato della storia, quella con la S maiuscola? Non poteva mancare Adele Vieri Castellano, nelle vesti (succinte) dell’ancella Adeles.
Lucullo perse la testa al suo ritorno, da qualche parte tra l’impluvio e l’atrio. Poco prima di andare in senato, quella mattina, era passato dalla cucina e aveva scoperto, nella dispensa della domus, un piatto coperto da una campana d’argento.
Sotto, una ciotola.
Aveva subito capito di cosa si trattasse, era quel dolce di miele e nocciole di cui andava ghiotto e che la sera prima, a una cena con amici, non aveva consentito alla schiava Adeles di servire.
In quel momento, col canto mattutino degli uccelli e l’arietta fresca dei primi di settembre sulle spalle, aveva avuto abbastanza forza da ricoprire la ciotola e chiudere la porta, ma era uscito concentrato sul suo contenuto.
Vizioso miele di corbezzolo e l’impareggiabile sapore delle nocciole italiche, uniche, tonde, perfette. Al solo pensiero di schiacciarne una tra i denti e di provare quella sensazionale, intollerabilmente meravigliosa esperienza di pienezza, aveva accelerato il passo.
Si era visto già là, seduto al suo tavolo di marmo screziato, davanti al suo tesoro, nell’assoluta riservatezza del suo appartamento privato, senza l’impulso incontrollabile della fame ma in compagnia del solo, sviscerato amore per il cibo.
Ebbene, appena rientrato, appena messo di nuovo piede nella domus, mente e cuore si erano concentrati su quel tavolo dove, entro pochi istanti, avrebbe ritrovato la sua crema di miele e nocciole.
Ma, superando la soglia, un odore ripugnante colpì le sue narici.
Bruciato.
Quell’odore pericoloso, distruttivo, lo guidò verso la dispensa. La crema di Adeles. L’oscuro voluttuoso piacere scomparve, sostituito da una pericolosa premonizione.
Spalancò la porta.
La campana d’argento era rovesciata sul tavolo e la ciotola scomparsa. Quasi si accasciò contro lo stipite, sulla lingua restò solo immaginato quel sapore che avrebbe potuto gustare, che avrebbe teso un’imboscata ai suoi sensi. L’interno della sua bocca formicolò insieme al cervello, che prese fuoco.
«Adeles!» urlò con quanto fiato aveva in gola.
Ci fu un tramestio, nella cucina. Voci concitate e, quando la porta si spalancò, la schiava parve uscita dalla lotta contro un incendio. Capelli strinati, la tunica bruciacchiata, il viso sporco di fuliggine.
Lui, Lucullo, ancora avvolto dalla brama gastronomica, ricostruì l’accaduto, solleticato dall’odore aspro, pungente, che gli ricordava la brace appena spenta da uno scroscio d’acqua.
«Padrone» disse lei in un sussurro e abbassò gli occhi.
«Adeles» ruggì lui, proprio come le belve del Circo.
Dal capo chino della donna uscì ancora un mormorio, che faticò a interpretare.
«… così l’ho riscaldata affinché fosse più morbida, ma mi sono distratta ed è bruciata.» Gli occhi si sollevarono speranzosi. «Ve ne farò un’altra, padrone, lo giuro!»
Lucullo godette di quel lampo di gloria, che le vide brillare nelle iridi. Pensò alle seconde possibilità della vita, al fatto che lei si sarebbe ancora più impegnata e forse, la seconda volta, la crema sarebbe stata migliore, perfetta, ancora e ancora.
Ma non bastava, il suo tesoro, tanto sognato, agognato, immaginato, era stato guastato dal fuoco, divorato, distrutto.
«Tu, incosciente!» sibilò. «Come hai potuto dimenticare sul focolare la mia densa, sensuale, crema di nocciole e miele?»
Adeles smise di respirare un istante, così breve, vago, che Lucullo pensò di averlo immaginato. Così fece qualche passo, fissandola come il falco fissa la sua preda.
Si immaginò l’effetto della sua rude presa sulle braccia della schiava, i sonori schiocchi del nerbo sulla pelle candida. Adeles, sottile e fragile, sostenuta solo dalla forza straziante di coloro abituati a lavorare sodo da troppo tempo.
Lei indietreggiò.
«Non ti uccido solo perché allieti il mio palato, ma devo sapere. Perché l’hai dimenticata? Perché?»
Le spalle di lei tremarono ma poi parve scomparire la donna affumicata e affranta e con la voce più sicura, gli rispose:
«Stavo scrivendo le tue memorie, padrone.»
E lui, sciocco, la perdonò.
La prossima puntata? Il 25 ottobre.
Brava Babette che raccogli i nostri vaneggiamenti su FB su una piattaforma più stabile! Su FB vanno giù-giù-giù, e anche se sono sempre lì in realtà è come se sparissero. Letizia, secondo me il nostro multitasking è talmente sviluppato ormai che si è “attaccato” anche al nostro inconscio, assumendo toni quasi paranormali: “sa” che cerchi una sensazione, un termine relativo all’olfatto et voilà, te la fornisce su un piatto d’argento 🙂
Buona giornata a tutte!
Paranormali, eh? Tutto, pur di giustificare quelle pentole bruciate!
interessanti queste scene del dietro le quinte della scrittura, perchè, parliamoci chiaro, sono pochi gli scrittori che possono chiudersi in uno studio per essere liberi di creare. La maggior parte delle pagine vengono composte con quel rumore di sottofondo che é la vita. Anche a me è successo di bruciare la cena o dimenticare di rifare il letto. Da quando sono mamma approfitto di ogni momento in cui il pargolo dorme e pur di scrivere lo faccio al cellulare. Mi rintano come una ladra col telefono in mano. 🙂
Non mi piace quel “come una ladra”. Non dovrebbe essere così, sentirsi in colpa perché si scrive.
Eppure è così, Babette. 🙂 Ci si sente in colpa perché, pur di scrivere, si rinuncia a fare qualcos’altro. Il tempo libero non esiste. 🙂
Il dilemma di quasi tutte le donne, Fernanda. Sarebbe bello se poteste scrivere senza sensi di colpa.
Condivido in pieno il Monica Lombardi pensiero! Anche mio marito quando cucina (rare volte) si incolla lá davanti fermo come uno stoccafisso!
Io di norma non cucino ma cuocio (eheheh) cose molto veloci quindi sarebbe proprio difficile far bruciare qualcosa. Piuttosto mi ritrovo, mentre scrivo, ad acconsentire a richieste azzardose dei figli che poi non ricordo affatto e che mi si ritorcono contro!
I tuoi figli devono essersi accorti che, mentre scrivi, non capisci nulla della vita reale. E quindi ne approfittano. I furbastri.