Molti autori di romance erotici fanno parte del Gruppo di Babette Brown, su Facebook. È capitato di parlare di questo genere così amato soprattutto dal pubblico femminile. Due interventi meritano di venire riportati qui: quello di Celeste Degli Iblei, che ha aperto la discussione, e quello di Mariella Mogni, che ha risposto adeguatamente.

CELESTE DEGLI IBLEI. Ieri è uscito un mio racconto e la casa editrice sulla copertina ha messo la dicitura “Racconto Erotico”. Io ero contenta della pubblicazione e mi sono detta “Vabbè Lucia, basta scappare, è una storia in cui credi, è delicata, che ti interessa di non scrivere con il tuo nome, dillo che sei tu…”

Non l’avessi mai fatto.

Mi contatta una persona e mi dice che è contenta per me, ma pensa non mi convenga pubblicizzare il libro: i lettori si stanno lamentando del fatto che ci sia scritto erotico, un genere che mi abbassa a un livello a cui credevano io non appartenessi! Resto basita. Soprattutto perché si tratta di persone che hanno letto “50 sfumature”, commentando riga per riga l’intera trilogia, con parole di delirante ammirazione. Questo in un gruppo di cui faccio parte. Anch’io ho letto le Sfumature e non me ne vergogno per niente.

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MARIELLA MOGNI. Scriviamo erotici perché ci piace, immagino, e perché è un genere comunque letto e richiesto. Però ci sentiamo in imbarazzo. Mesi fa, ho scritto un post in cui chiedevo alle mie colleghe autrici perché usassero quasi tutte uno pseudonimo e le risposte, tranne alcune eccezioni, sono state tutte dello stesso tenore. Paura di essere infastidite dai soliti ometti piccini, piccini, ma anche, e soprattutto, difficoltà nei confronti di parenti, amici e conoscenze varie.

Come madre non farei leggere quello che scrivo a mio figlio adolescente, perché penso che il sesso e l’amore dovrà scoprirli da solo, vivendoli. Però mio figlio sa che cosa scrivo e partecipa ai miei alti e bassi di autrice. Tutti gli altri, persone adulte e vaccinate, mi lasciano indifferente. Liberi di leggermi o no, liberi di apprezzare o meno la qualità di quello che scrivo. Ma i giudizi morali proprio non li accetto. Io non giudico “criminale” chi scrive di efferati omicidi e nessuno deve mettere in discussione la mia moralità o la mia vita in quanto autrice di erotici.

Il fatto è che spesso le prime a vergognarci siamo noi, noi che ci nascondiamo sotto nomi improbabili, noi che siamo il prodotto di una cultura sessista e retrograda e non riusciamo a scrollarcela di dosso (e mi stupisco che questi condizionamenti siano forti anche in donne molto più giovani di me). Non è un caso che le critiche più feroci arrivino proprio da altre donne. Forse il problema è tutto qui, nella difficoltà di superare cliché stantii che ci vogliono asessuate, docili, sempre al nostro posto. Sarebbe l’ora di tirare fuori un po’ di orgoglio nella scrittura come nella vita.