I greci e i romani, al di là delle profonde differenze tra le due culture, vivevano i rapporti tra uomini in modo molto diverso da quello in cui lo viviamo noi oggi. Per i greci e i romani (ovviamente, salvo eccezioni) l’omosessualità non era mai una scelta esclusiva. Amare un altro uomo non era un’opzione fuori dalla norma, che esprimeva una diversità. Era “solo” una parte integrante dell’esperienza di vita: era la manifestazione di una pulsione vuoi sentimentale vuoi sessuale che nell’arco dell’esistenza si alternava e talvolta si affiancava all’amore per una donna. Questo brillante saggio, stimolante e pungente, sulla bisessualità a Roma e Atene ne esplora i contorni e ne rilegge le dinamiche più profonde, grazie all’accurato utilizzo delle fonti più diverse (testi giuridici e medici, poesia, letteratura filosofica). Un libro importante e al contempo di gradevolissima lettura: il rituale educativo dell’amore per gli adolescenti in Grecia e lo stupro nell’antica Roma vengono riletti come gli elementi cruciali, per quanto rinnegati, del mondo classico. Una tesi che ancora adesso suscita scalpore.
A quasi tre decenni dalla sua uscita, il saggio di Eva Cantarella “Secondo natura-La bisessualità nel mondo antico” è stato ristampato da Feltrinelli (lo trovate anche in eBook al prezzo di euro 6,99; se preferite il cartaceo, il prezzo sale a euro 12,00).
Con un linguaggio accattivante (il saggio è veramente alla portata di tutti), Eva Cantarella ci apre le porte su un argomento che -diciamolo- a scuola nessun insegnante di latino o di greco ha mai toccato. Analizzando testi giuridici e medici, poesia e letteratura filosofica, l’Autrice spiega in modo esaustivo e mai banale un elemento cruciale del mondo classico: il rapporto amoroso e sessuale fra uomini.
Al giorno d’oggi, siamo abituati (d’accordo, abituati è un termine forse troppo ottimista) a vedere unioni civili fra uomini o fra donne. Anche se la normativa giunge tardi per alcuni e non dovrebbe nemmeno esistere per altri. Ma la realtà è questa: nel nostro Paese, come in tanti altri, vengono riconosciuti legalmente i rapporti fra uomo e uomo e fra donna e donna.
Nel mondo antico greco e romano, la situazione era ben diversa. Eva Cantarella si sofferma soprattutto sulla Grecia, dove era normale che un rapporto del genere si instaurasse fra un adolescente e un uomo maturo. L’affetto e il sesso, però, erano “sublimati” da un ulteriore rapporto che si creava fra questi due soggetti: l’adulto fungeva da mentore nei confronti del ragazzo, consigliandolo, istruendolo, operando per farne un cittadino operoso e onesto. In pratica, contribuiva alla paideia, cioè alla formazione civile ed etica di un nuovo membro della polis.
A che età si instaurava questo legame? Generalmente, fra i 12 e i 17 anni. E cessava con il compimento della maggiore età, anche se si riscontrano casi in cui proseguiva oltre.
Nessuna riprovazione sociale veniva rivolta a questo rapporto che, anzi, era visto come qualcosa di naturale e utile, purché avvenisse secondo regole ben precise. Innaturale, e socialmente riprovevole, sarebbe stata la “passività“, una volta raggiunta l’età adulta. Infatti, “per greci e romani la bipartizione fondamentale tra comportamenti sessuali non era tra etero e omo-sessualità, ma piuttosto tra attività e passività. Per loro, la virilità significava e imponeva ‘attività‘. Un uomo era tenuto a essere attivo in tutti i campi, dalla guerra, in cui doveva vincere, alla politica, in cui doveva imporre le proprie idee, all’amore, in cui doveva sottomettere non solo le donne ma anche alcuni uomini. Tutto ciò a una condizione: in Grecia, che il sottomesso (detto eromenos, ‘l’amato’) fosse un pais, vale a dire un ragazzo, destinato a diventare uomo ma non ancora tale perché ancora debole, intellettualmente e sessualmente incerto, e quindi equiparato alle donne. Quando il pais diventava un uomo, cosa che avveniva al compimento dei diciotto anni, egli non poteva e non doveva più essere un ‘amato’. E dopo qualche anno, quando aveva raggiunto la piena maturità, doveva diventare a sua volta un erates (‘amante’), vale a dire il partner attivo non solo di una donna (la moglie o le amanti che gli erano ampiamente consentite) ma anche -non necessariamente, ma abitualmente- di un pais, che diventava il suo ‘amato’.”
Per quanto riguarda, invece, Roma, l’autrice ci ricorda che anche lì un uomo poteva avere rapporti sessuali con altri maschi (sempre nel ruolo attivo, però), ma mai con ragazzi romani, bensì con gli schiavi (adolescenti o adulti).
In conclusione, quando Eva Cantarella parla di “bisessualità”, dobbiamo essere consapevoli che questo termine -riferito a Greci e Romani- indica il comportamento di chi, nel corso della propria vita, aveva rapporti con persone di entrambi i sessi, ma solamente secondo alcune regole vincolanti, pena la riprovazione sociale (e pene severe, a volte). Ovviamente, di bisessualità si può parlare solo per gli uomini. Le donne, infatti, potevano aver rapporti solo con un uomo, il marito.
Un’ultima annotazione. L’espressione “contro natura” (para physin) che troviamo nei testi antichi (Leges, Platone) non si riferisce all’omosessualità, bensì ai rapporti non finalizzati alla procreazione. Quindi, anche a quelli eterosessuali, quando non attuati a tal fine. “Contro natura” (kata physin), quindi, erano tutti i rapporti, omosessuali ed eterosessuali, che non avevano come obiettivo la procreazione. Come scrive Paul Veyne (citato dall’Autrice), “quando un antico dice che una cosa non è naturale non intende affermare che è mostruosa, ma che non è conforme alle regole sociali”.
Consiglio la lettura di questo agevole saggio. Scandagliando l’antichità, Eva Cantarella ci ricorda chi siamo e come pensiamo.
Grazie del consiglio, Babette. Molto interessante.
Allora, nell’antica Roma c’erano delle unioni civili o non c’erano? C’era l’usus prima dell’anno. Prima della trinoctii usurpatio. Questa unione era una unione civile simile a quella di oggi ? Chi puó rispondere?