Di recente ho letto alcuni articoli interessanti sulla condizione dell’istruzione femminile.

Ne ricordo uno, a firma di Viviana Mazza sul Corriere della Sera del 17/11/2015 (http://27esimaora.corriere.it/articolo/ragazze-a-scuola-in-afghanistan-e-nigeria-il-problema-principale-gli-insegnanti/), dove si raccontavano le immani difficoltà che  bambine e ragazze affrontano ogni giorno per andare a scuola In Afghanistan e in Nigeria.

Ad esempio, nel Nord della Nigeria, più del 50% delle ragazze tra i 15 e i 24 anni non sono mai andate a scuola e solo il 29% frequenta la scuola secondaria (rispetto ad una media nazionale del 53%). Il rapimento delle 219 ragazze di Chibok nell’aprile 2014  ha aumentato la paura dei genitori; nello stato di Borno molte scuole restano tuttora chiuse.

Per fornire un altro confronto, invece, in Afghanistan, un ragazzo ha il doppio delle chance di una ragazza di imparare a leggere e scrivere: il tasso di alfabetizzazione dai 15 ai 24 anni per i maschi è del 61,9%, mentre per le femmine è del 29,9%.

Il 24 gennaio i giornali hanno poi dato ampio spazio al fatto che in una provincia del Sudafrica, proprio quest’anno, si è deciso di attribuire sedici borse di studio a studentesse che avevano presentato la domanda e che sono volontariamente rimaste vergini. Un modo, è stato spiegato, per incoraggiare altre studentesse a «rimanere pure e concentrate sulla scuola». La borsa di studio verrà rinnovata per altri tre anni fino alla laurea o comunque «finché le ragazze produrranno un certificato che garantisca la loro verginità».

Insomma, questo ci dà l’idea di come – nel 2016 – imparare a leggere e a scrivere, e magari qualche nozione in più, non venga considerato un diritto acquisto, ma un privilegio legato alla ricchezza della famiglia o all’apertura mentale dei genitori o alle condizioni di sicurezza della scuola o alle condizioni fisiche della stessa studentessa.

Sei già nata donna, quindi perdente e nulla ti è dovuto.

Devi lottare e devi dimostrare comunque qualcosa per guadagnarti il privilegio dell’istruzione.

Uno può ribattere: questi sono paesi e culture lontani dalla nostra, in Italia è differente.

Sì, io mi chiedo, ma da quanto noi donne di questo Paese abbiamo ottenuto la sicurezza di un’istruzione libera e uguale a quella dei maschi? Siamo ancora sicure di non subire alcun condizionamento?

È una questione che mi pongo come donna che ha avuto accesso a un grado d’istruzione di buon livello, che è potuta andare all’estero, e che come madre sarà chiamata presto a garantire ad altre piccole donne questa fortuna.

Vorrei raccogliere opinioni e pareri in merito, e con la prima puntata di questo piccolo viaggio (molto rosa e poco polemico, perché a noi interessa sapere e raccontare di donne che studiano e sono felici di studiare) vi lascio un mio ricordo familiare.

La mia nonna materna veniva da una famiglia agiata e poco prima della seconda guerra mondiale sposò un medico, addirittura un chirurgo. Tra gli anni ’40 e ’50 ebbero dieci figli.

Mio nonno, a sua volta, aveva fatto incredibili sacrifici per studiare, lavorando di giorno e studiando di notte, ottenendo prima la maturità da privatista e poi l’ammissione alla facoltà di medicina all’Università di Padova.

Era un uomo senza dubbio con una cultura forte e con una mentalità più moderna della media per la società di allora, eppure s’impuntò sulla questione dell’istruzione delle sei figlie femmine. Certo, studiarono tutte, con la sua approvazione, sino alla terza media (per allora comunque un ottimo risultato). Però poi mio nonno pretese di avviarle a un lavoro, impedendo a tutte di proseguire gli studi, a differenza dei maschi a cui erano destinati liceo e università. Non per soldi, ma perché erano “femmine”.

Ci fu la ferma opposizione di mia nonna, ci furono le ribellioni delle figlie studentesse, ci furono consigli di famiglia infuocati.

Alla fine mia nonna ottenne di mandare tutte le figlie a scuola, anticipando i soldi e agendo poi per vie legali contro mio nonno per ottenere il rimborso (per allora, un altro risultato non da poco).

Mio nonno si rassegnò a quella decisione, ma non rivolse più la parola a ogni figlia femmina che si iscriveva alla scuola superiore. Per anni ignorò mia madre, pur vivendo nella stessa casa, senza riuscire a superare l’onta della disobbedienza.

Mia madre ha continuato a studiare, ha lavorato, poi si è sposata e ha scelto liberamente (mio papà non era d’accordo) di rimanere a casa per crescere i suoi figli.

A suo modo, anche lei ha lottato per ottenere qualcosa che per i maschi era scontato. Non credo che abbia nessun rimpianto.

Però questo accadeva in Italia, pochi decenni fa.

E voi: quanto è stata importante la vostra famiglia per studiare o non studiare? L’essere donna vi ha penalizzato o no? Cosa volete per le vostre figlie?